
Fabrizio De André si è espresso artisticamente attraverso i brani che ha inciso nei suoi album e cantato durante i suoi concerti. Questo libro nasce dal desiderio di leggere, insieme e di nuovo, quei testi, scritti da Fabrizio De André o insieme ai suoi preziosi collaboratori, per riflettere sui contenuti che ha posto alla sua e nostra attenzione: gli ultimi, gli emarginati, il potere, la libertà, l'anarchia, la guerra, solo per citarne alcuni. In queste pagine sono raccolti più di quaranta brani che si sviluppano seguendo un nuovo percorso, curato dalla Fondazione Fabrizio De André Onlus, in cui le storie, i volti e i sentimenti cantati da Fabrizio De André non ci parlano solo di vite negate e di vite subite, ma anche di riscatto. Ad accompagnare i testi delle canzoni, le introduzioni e le riflessioni con cui De André presentava i brani in scaletta durante i concerti, alcune delle quali inedite o mai proposte in volume. Un libro non solo per gli appassionati del cantautore genovese ma anche per chi, come i più giovani, desidera scoprirlo. Da leggere nel proprio privato o in gruppo, per ascoltarne insieme le parole, come accade dagli anni Sessanta con i suoi dischi. Con una testimonianza di Dori Ghezzi.
Gli avori, capolavori di un mondo lontano e raffinato, fanno parte delle cosiddette "arti minori", nonostante la loro altissima rilevanza storico artistica estesa dall'antichità al Rinascimento.
Ecco finalmente la guida che fornisce tutti gli strumenti per avvicinarsi a conoscere questa arte così preziosa e regale, illustrata con splendide fotografie degli esemplari più significativi conservati presso il Museo Nazionale del Bargello, come la celebre Imperatrice Ariadne o il Flabellum di Tournus.
La varietà dei manufatti eburnei è entusiasmante. Una molteplicità di tipologie (pedine e schacchi, valve di specchi, pastorali...), generi stilistici ed iconografici ripropongono secoli di storia con immagini di sovranità, di devozione e di vita cortese.
Le sezioni illustrano, in maniera chiara e godibile, l'evoluzione di questa arte, a partire dagli avori etruschi e romani, passando per gli avori del Basso Impero (IV-VI secolo), gli avori bizantini, alto medioevali, carolingi e romanici, fino agli avori gotici e rinascimentali e a quelli orientali.
L'arte non è sospesa nel vuoto. Come scriveva T.S. Eliot, "quel che accade quando viene creata una nuova opera d'arte accade simultaneamente anche a tutte le opere che l'hanno preceduta". Ogni tassello che si aggiunge all'immenso patrimonio artistico dell'umanità ridefinisce la storia stessa e mette in prospettiva diversa ciò che era già stato creato. Arte e storia, uomini e capolavori, sono un tutt'uno nel fluire del tempo. Tenendo tutto ciò sempre ben presente, Martin Kemp ha scritto questo impeccabile compendio di storia dell'arte, un'introduzione da cui partire per intuire la complessità della nostra immensa tradizione pittorica e scultorea. Dalla Grecia di Fidia agli affreschi pompeiani, dai mosaici bizantini all'incredibile Medioevo italiano, alla ritrattistica olandese, al Rinascimento e al Barocco; da Vermeer a Canaletto, da Goya a Turner, dalla scuola ottocentesca francese fino alla rottura novecentesca degli schemi, per giungere alle ultimissime installazioni artistiche a cavallo del millennio. Questo breve libro è un 'tour de force' artistico ben congegnato: un libro necessario per immergerci nella bellezza del nostro mondo.
Stefan Klein, sulla base delle testimonianze più autorevoli e di una lettura attenta dei suoi scritti, entra con prosa avvincente nei dettagli della sua vita di uomo e di scienziato infiammato dal desiderio di conoscenza. Se c'è un personaggio storico che merita di essere definito «genio universale», nessun dubbio che esso sia Leonardo da Vinci, semplicemente un gigante. Leonardo è stato a tutti gli effetti il primo visionario della storia, ha inventato un nuovo modo di pensare e ha rivoluzionato ogni campo della conoscenza a cui si è applicato. Progettò i primi automi funzionanti, immaginò i computer digitali, affrontò i primi studi accurati di anatomia, inventò le prime macchine volanti, rivoluzionò l'ingegneria militare. Noi celebriamo giustamente Leonardo come il pittore che ha rivoluzionato l'arte del Rinascimento, l'artista del Cenacolo e della Gioconda, ma in realtà i suoi contemporanei lodavano e corteggiavano in lui più l'ingegnere, l'architetto, l'inventore di marchingegni terribili e portentosi, colui che impersonava una nuova era grazie alle sue scoperte meravigliose.
Lungo tutto il primo millennio dell'era cristiana, le immagini religiose erano state elevate a una dignità che le avvicinava al potere simbolico del sacramento Nei secoli moderni, questa gloria storica dell'icona perde progressivamente significato. Si inaugura, con l'Umanesimo, quella che Giuliano Zanchi chiama «l'epoca dell'Arte e della Ragione», in cui il pensiero scientifico diventa lo strumento di interfaccia col mondo e l'immagine viene codificata secondo i canoni squisitamente qualitativi della formalità artistica. La cultura religiosa si ritrova così in esilio nella sua stessa epoca, guardata con sospetto e spesso assimilata alle regioni occulte della magia e della credulità. Eppure, la materia simbolica continua a muoversi, nella 'clandestinità' della devozione popolare. Compaiono immagini sacre 'residuali' che però riescono ad aprire brecce a quanto era stato lasciato fuori da porte ormai chiuse. 'Immagini vive' come quella del Sacro Cuore (ma anche le immagini miracolose, le apparizioni mariane, la Sindone di Torino) che esprimono un disagio e veicolano un rimosso. Storie che possono illuminare anche spazi della nostra 'civiltà delle immagini'.
L'opera d'arte "è una cosa concreta e tuttavia scaturita dal più eletto livello della dimensione del pensiero creativo. Il più deciso nemico della concezione dell'arte quale orpello o ornamento inutile se non nocivo e dispersivo è lo storico dell'arte". Il titolo che porta questo agile viaggio nell'attività di chi produsse arte, da Giotto a Caravaggio, mette volutamente l'enfasi sulla parola "mestiere". La storia che qui si intende fare è infatti quella dell'evoluzione del lavoro dell'artista, nella fabbricazione del capolavoro che "nasce sempre, dalla preistoria ad oggi, con una finalità specifica, che può essere, di volta in volta, di carattere pratico, simbolico, allegorico, economico, filosofico, decorativo"; in una formidabile galleria di personaggi grandissimi e di moltissimi dimenticati: dove cioè meglio sono rintracciabili contesti e circostanze, abitudini e tecniche, culture e ambienti, condizioni psicologiche, posizioni religiose e politiche. E l'arco temporale scelto è quello dall'Umanesimo e dal Rinascimento fino alla fine del Seicento, l'epoca in cui, dimostra l'autore, l'unità tra la competenza tecnica e la sostanza espressiva caratterizzava tipicamente e meravigliosamente il mestiere dell'artista. L'analisi di Claudio Strinati, nel modo colloquiale in cui si svolge, insegue dunque lo spostarsi di un punto di equilibrio o di sintesi. Quello tra l'efficacia pratica e la finalità da un lato; e dall'altro l'idea di verità e di bellezza che un'arte incarna...
L'11 ottobre del 1960 inizia il primo ciclo sperimentale di Tribuna elettorale della Rai. I partiti ed i leader entrano nelle case e nei locali pubblici di un'Italia animata da una grande passione ideologica e una diffusa partecipazione alla vita politica. Le Tribune della Rai, che nel 1964 diventano una rubrica permanente, rappresentano un momento importante del progetto di educazione degli italiani alla nuova cittadinanza repubblicana e democratica, realizzato dal Servizio Pubblico su mandato del Governo e del Parlamento. Il programma, nelle sue diverse formule ed edizioni - conferenze stampa, appelli, dibattiti, tavole rotonde - dà spazio alla parola politica ed ai suoi protagonisti, sempre rispettandone ed esaltandone l'importanza, il ruolo, l'autorevolezza. Le Tribune sono una perfetta "macchina scenica" e un "grande spettacolo" - termine a lungo non gradito ai politici ma ben chiaro agli uomini di televisione - che rispondono alle esigenze e agli interessi di una democrazia basata sulla funzione indispensabile dei partiti. Le fotografie delle Tribune provenienti dall'Archivio fotografico della Rai documentano gli allestimenti e i protagonisti, la scena e il fuoriscena, di un programma che per oltre trent'anni ha segnato la vita politica e il costume italiani tanto da diventare oggetto di satira, attraversando gli anni del boom e del centrosinistra, del compromesso storico e della violenza, del pentapartito e del riflusso nel privato, sino alla crisi della prima Repubblica.
Il paesaggio italiano è stato smantellato, snaturato. Liquidato è la parola esatta, perché rende conto del guadagno ricavato. Sopravvivono molti frammenti ma l'antica interezza è perduta. Leonardo Benevolo ripercorre l'eclisse della progettazione territoriale e il degrado e lo sperpero dell'identità fisica italiana. Leonardo Benevolo è il più noto studioso italiano della storia dell'architettura.
"Il dramma dell'architettura oggi è quello di vedersi obbligata a tornare pura architettura, istanza di forma priva di utopia, nei casi migliori, sublime inutilità. Ma ai mistificati tentativi di rivestire con panni ideologici l'architettura, preferiremo sempre la sincerità di chi ha il coraggio di parlare di quella silenziosa e inattuale purezza." Così scriveva Manfredo Tafuri nella premessa alla prima edizione del 1973 di un volume destinato a polarizzare il dibattito teorico e critico in architettura. Il suo libro, polemicamente "di rottura", rilegge la storia dell'architettura e dell'urbanistica moderna e formula un progetto per un radicale ripensamento del ruolo dell'architetto e, più in generale, dell'intellettuale. Riscontrato il fallimento dei grandi progetti ideali degli architetti novecenteschi, Le Corbusier in testa, Tafuri sostiene la necessità di abbandonare facili utopismi ideologici e si scaglia contro la pretesa che l'architetto contemporaneo possa, con la sua opera, risolvere le insolubili contraddizioni della società di oggi.
I greci costruivano i loro anfiteatri ponendo grande attenzione all'orientamento della struttura rispetto ai punti cardinali, in modo che la luce naturale illuminasse al meglio le rappresentazioni all'aperto, ma è solo a partire dalla nascita del teatro moderno che si può parlare di una vera e propria tecnica scenica dei sistemi di illuminazione. In queste pagine Cristina Grazioli traccia il percorso storico seguito dalla luce, intesa nella sua qualità di oggetto scenico, a partire dai sofisticati "ingegni" quattrocenteschi di Brunelleschi, per giungere al complesso uso dell'illuminazione fatto dalle Avanguardie storiche primonovecentesche, fino ai nostri giorni e alle infinite prospettive aperte, per esempio, dalle nuove tecnologie. Snodo centrale della trattazione è il periodo a cavallo tra Sette e Ottocento, quando significative innovazioni tecniche si coniugano a una notevole quantità di riflessioni teoriche sull'illuminazione teatrale, preparando l'epoca delle grandi "rivoluzioni" del settore: l'affermazione del gas e poi della luce elettrica.
«Un illustre contemporaneo di Goldoni, Denis Diderot (grande illuminista, padre della Enciclopedia), ricorda la propria giovanile tentazione di fare l'attore, e si confessa con lucida onestà: "Quale era il mio progetto? Essere applaudito? Forse. Vivere familiarmente con le donne di teatro che io trovavo infinitamente amabili e che io sapevo molto facili? Sicuramente". Ciò che conta – nel sogno di diventare uomo di teatro – non è tanto il successo, l'applauso del pubblico, bensì la possibilità di una vita più libera e più libertina, con le belle attrici che risultano "infinitamente amabili" e al tempo stesso "molto facili", cioè di facili costumi. Ecco, Goldoni non ha la limpida trasparenza delle esternazioni di Diderot, ma appartiene allo stesso secolo e alla stessa visione del mondo».
Roberto Alonge cestina con un colpo secco la tradizione che ci ha consegnato il ritratto stereotipato del 'buon papà Goldoni' e illustra al contrario il profilo di un artista organicamente inserito nel Settecento libertino di Casanova e del marchese De Sade.

