
Domon Ken (1909-1990), maestro indiscusso della fotografia realista giapponese del dopoguerra e ancora oggi punto di riferimento per i circoli fotografici amatoriali, è rimasto inspiegabilmente quasi sconosciuto in Occidente.
La vastità e la diversità della sua opera fotografica, di uomo quasi rinascimentale, rivelano un’attenzione e un interesse instancabili verso la cultura, l’arte, i volti, la società, la politica del proprio Paese, riassunti in una quantità di pubblicazioni divenute iconiche. Formatosi nello studio più all’avanguardia degli anni Trenta, il Nippon Kōbō, lavora inizialmente come fotogiornalista, rispondendo alla crescente domanda di servizi propagandistici quando la guerra si avvicina. Tuttavia, la sua sensibilità crescente verso i temi culturali e sociali lo allontana presto dal mondo commerciale alla ricerca di un linguaggio diretto e senza filtri - che lui definisce come realismo sociale e in seguito socialista - che potesse raccontare la reale situazione di un Paese provato dagli eventi tragici del conflitto e in profondo cambiamento. Trova riparo prima nell’ovattato spazio del teatro bunraku e nella bellezza dei templi antichi, che visita in una sorta di pellegrinaggio per tutta la vita, anche quando la salute lo segna obbligandolo in sedia a rotelle. In seguito si dedica con perseveranza quasi ossessiva anche alla documentazione dei miseri villaggi di minatori nell’isola di Kyūshū e dei quartieri bassi di Tokyo attraverso lo sguardo dei bambini, culminando nell’opera dedicata alle vittime dello scoppio della bomba atomica a Hiroshima che ancora lottavano per la vita a 12 anni di distanza dalla fine della guerra.
Pubblicata in occasione della prima esposizione monografica all’estero dedicata all’opera di Domon Ken, la monografia presenta i testi di Kamekura Ysaku (Quando i bambini soffrivano di parassiti intestinali. Appunti di redazione), Takeshi Fujimori (Ricordo del maestro Domon Ken), Mari Shirayama (I tre rivali del fotogiornalismo giapponese), Rossella Menegazzo (L’approccio realista al Giappone che cambia: dalla fotografia d’arte alla documentazione sociale).
Roma, Museo dell'Arapacis
27 Maggio - 18 Settembre 2016
Tra le civiltà extraeuropee quella del Sol Levante rappresenta certamente una delle realtà più affascinanti per il complesso intreccio di storia, religione, filosofia, arte, e per le tradizioni centenarie ancora oggi presenti nella società giapponese nonostante la spettacolare fuga in avanti del Giappone contemporaneo. Il periodo trattato va dalle origini al periodo Edo, quando il Giappone si apre all'Occidente. La struttura segue fedelmente la falsariga della collana, con diversi capitoli dedicati ai personaggi, al potere e alla vita pubblica, agli aspetti religiosi e al culto dei morti, alla vita quotidiana. L'iconografia riunisce quanto di più interessante ha prodotto la cultura giapponese in tutte le sue sfaccettature, e il lettore vi troverà una profusione di rotoli, maschere, stoffe, giade, incisioni, porcellane, architetture e oggetti della cultura materiale.
Il volume racconta l'arte ukiyo-e, la pittura del Mondo Fluttuante che all'etica del samurai contrappone il godimento di ogni singolo momento, il piacere e il divertimento in ogni sua forma. Tante furono le scuole e gli artisti che si specializzarono in questi temi, tuttavia tre sono i maestri che ancora oggi rimangono punti di riferimento indiscussi: Katsushika Hokusai (1760-1849), Utagawa Hiroshige (1797-1858) e Kitagawa Utamaro (1753-1806). Attraverso una selezione di oltre 200 silografie policrome - tra cui l'iconica Grande onda e la serie delle Trentasei vedute del monte Fuji di Hokusai - e libri illustrati provenienti dalla prestigiosa collezione della Honolulu Academy of Arts, il volume mette in luce da una parte le peculiarità tecniche, l'abilità e l'eccentricità dei singoli artisti, dall'altra il mercato dell'immagine dell'epoca che richiedeva di trattare soggetti precisi, luoghi e volti ben noti al pubblico, temi e personaggi alla moda. Una domanda intorno alla quale crescevano inevitabilmente rivalità, prima ancora che tra gli stessi artisti, incisori e stampatori per dar vita a serie di stampe sempre diverse per soddisfare un mercato dell'editoria sempre più esigente e ampio, ricorrendo a espedienti come formati originali (verticali, orizzontali, in forma di ventaglio, in formato di libro) e inquadrature differenti dei soggetti.
L'entertainment non gode di buona reputazione rispetto alla cultura "alta", ma l'intreccio fra intrattenimento, spettacolo, politica e consumo è ormai inestricabile. Lo troviamo ovunque, nei media e nella pubblicità, ma investe anche il turismo e le crociere, la ristorazione e la moda, il gioco d'azzardo e la fitness, i parchi a tema, i centri commerciali. Una grande area di produzione e diffusione di contenuti culturali, che vale più del 10% dei consumi, e che incontra oggi Internet e i social network. Un linguaggio dominante, involucro necessario di ogni prodotto, evento, partito che voglia farsi scegliere.
Michelangelo Merisi detto Caravaggio, con il suo stile così rivoluzionario e distante dai modi di dipingere di tutto il Cinquecento, conclude la lunga stagione della cultura umanistica e rinascimentale. Le sue tele, ammirate, acquistate e imitate, con lui in vita o dopo la sua morte, accendono i bagliori di uno stile pittorico che si può dire tranquillamente europeo, una costruzione spaziale e compositiva della tela che è già moderna, nel senso novecentesco del termine, e una libertà nell'interpretare temi dell'iconografia classica e religiosa che non ha eguali in nessun autore a lui contemporaneo. Caravaggio è un artista pieno di contraddizioni, ed è la sua stessa vita a confermarcelo: sacra e profana, colta e umile, sofisticata e bestiale a un tempo. Quale miglior modo, dunque, per cominciare una collana di guide d'artista, se non quello di raccontare, attraverso la selezione di opere custodite solo in collezioni italiane, l'arte di un genio ribelle e fuori dagli schemi quale il pittore lombardo? Sfogliando questo volume il lettore si accorgerà con stupore che spesso la metà o più di un catalogo d'opere attribuite a un grande dell'arte italiana è visibile nel nostro paese, contrariamente a quanto si crede, e si trova all'interno di chiese, edifici pubblici, musei civici o collezioni private (pur tuttavia accessibili).
"WAM fu battezzato in una chiesa cattolica con i nomi di Johann Crysostom Wolfgang Theophilus, vale a dire "amico di Dio". Quel Theophilus si trasformò ben presto in Amadè, mentre il più solenne Amadeus non fu mai utilizzato nella famiglia Mozart, se non per scherzo. I nomi delle persone esprimono a volte i segni del destino: Wolfgang (ovvero "colui che ha il passo del lupo") preannuncia l'ardimento, la prontezza, la rapidità, mentre il nome Amadeus richiamava la fede in Dio, un'ancora di salvezza alla quale, in quei tempi contrassegnati da un'esistenza alquanto precaria, Mozart non rinunciò mai. Visse soltanto trentacinque anni, ma li attraversò col passo del lupo..." (Piero Melograni)
Per l'italiano medio come per quello colto, la figura e l'opera di Giuseppe Verdi potrebbero apparire un dato acquisito, parte integrante dell'identità nazionale. Forse, però, a duecento anni dalla nascita, non è più così. O forse l'immagine di un grande artista necessita comunque di un processo continuo di messa a fuoco. Sulla scorta di una ricerca internazionale che negli ultimi decenni si è dimostrata vivacissima, il libro di Raffaele Mellace propone una ricognizione completa del personaggio Verdi e del suo teatro musicale, con la sommessa ambizione di aggirare le secche del taglio tradizionale "vita/opere". La biografia verdiana è accostata attraverso la geografia delle città decisive per la vicenda dell'uomo e dell'artista, nel percorso politico tra Risorgimento e Unità, e nelle dinamiche della vita professionale e di quella privata. Il teatro di Verdi è discusso nel complesso dei suoi fondamenti estetici e drammaturgici e dei suoi riferimenti ideali, decifrato nel microcosmo abitato dai suoi personaggi, seguito dal primo all'ultimo titolo, senza tralasciare i lavori non operistici. Una serie di apparati completa il quadro dotando il lettore/spettatore di importanti strumenti d'indagine.
Nota di Marco De Marinis
Il gesto del riguardo. Presentazione di Ferdinando Taviani
Il teatro dell’arte di piacere. Esperienze italiane nel Settecento francese
La rivoluzione degli artisti e il terzo «Théâtre Italien»
La microsocietà degli attori. Una storia di tre secoli e più
L’attore, le sue fonti e i suoi orizzonti
Alla ricerca del Grande attore: Shakespeare e il valore di scambio
Modena rivisto
L’indipendenza prima di tutto. Il caso di Totò
Per una storia del teatro nel romanzo in Europa. Gli apici del «Pasticciaccio» e del «Castello»
Gesti parole e cose dialettali. Su Eduardo, Cecchi e il teatro della differenza
Nota bibliografica
Indice dei nomi
Un volume che raccoglie le trascrizioni del lavoro pedagogico e registico di Meejerchold condotto tra il 1934 e il 1935 con alcuni dei suoi attori, guidati attraverso la messinscena di "Trentatré svenimenti". Lo spettacolo è intitolato alla memoria di Cechov e nasce dalla composizione di tre vaudeville dell'autore: "L'anniversario", "L'orso", "Una domanda di matrimonio".
Andy Warhol (1928-1987) è una delle figure più significative dell'arte e della cultura del Novecento. A partire dagli anni Sessanta è stato tra i maggiori interpreti di una nuova visione del mondo e della vita, una visione estetica che è stata denominata pop. Ma, a differenza di altri protagonisti della Pop Art, l'opera di Warhol ha espresso una straordinaria capacità di penetrare nei tessuti della comunicazione contemporanea attraverso svariate modalità operative, creando un'inedita rete multimediale. Analizzando i vari linguaggi artistici utilizzati da Warhol (in particolare la pittura e il cinema) e le riflessioni disseminate nei suoi scritti e nelle interviste, questa introduzione tratteggia un profilo che evidenzia la singolarità della proposta estetica di Warhol, che sconfina continuamente nella cultura dei mass-media e del costume. Dai feticci industriali all'indagine sul divismo hollywoodiano, dal tema della morte al travestitismo, dal cinema underground all'arte commerciale, l'estetica warholiana rivela una continua sovrapposizione mimetica con la sua fonte iconica principale, l'America, metafora assoluta di una contemporaneità ridotta a superficie.