
Quando apparve per la prima volta, nel 1931, questo saggio si impose subito come un'opera in grado di gettare nuova luce su alcuni passaggi decisivi dell'arte medioevale in Occidente. E non mancò di sbalordire l'"occhio assoluto" che rivelava il suo giovane autore, nonché la sua capacità di individuare nel groviglio dei corpi, nell'esplosione del mostruoso, nell'oltranza antirealistica della plastica dei secoli XI e XII la segreta immanenza di un ristretto numero di schemi lineari fissi. Dietro l'apparente disordine e le violente sproporzioni della scultura romanica, Baltrusaitis intuisce così per primo la dialettica fra necessità architettoniche e una sorta di ossessione geometrica, di implacabile rigore formale.
É una brumosa serata d’inverno. Due amici, entrambi raffinati cultori d’arte (e non solo), si trovano sul far della sera, per una chiacchierata davanti a una tazza di caffè. Attraverso questo artificio letterario l’autore sviluppa cinque "conversazioni", quasi dei dialoghi filosofici, che ripercorrono i punti salienti dell’avventura umana e artistica di Vincent Van Gogh seguendo un’interpretazione originale e stimolante.
La tesi del libro è quella di compiere una lettura dell’arte di Van Gogh in chiave teologica, come contemplazione "essenziale" del mondo creato da Dio, quasi una rassegna degli archetipi che stanno "in mente Dei". Una raffinata diatriba estetico-filosofico-teologica, in cui compaiono strada facendo temi di grande profondità e spessore: la concezione del "genio" nel Romanticismo; il peso della psicanalisi nella storia della cultura contemporanea; il declino della teologia nell’orizzonte dei saperi del Novecento.
Il Volto e l'Anima - come insegnano l'antica fisiognomica e la più recente psicologia - non sono due entità che si contrappongono. L'anima prende forma nel volto, esprimendo quello che lei crede o che in quel momento vuole esprimere; il volto, da parte sua, condiziona l'anima e i suoi disagi: un naso storno, uno sguardo liquido, un mento sporgente... Non c'è un solo volto per l'anima di ciascuno, ma tanti volti. E ogni ritratto, per Pericoli, è un piccolo furto. La trattazione e l'analisi è condotta a partire da 18 varianti inedite del ritratto di Beckett nel centenario della sua nascita.
L'autore indagare quei movimenti artistici che radicalizzarono ulteriormente questo ritorno all'antico, scegliendo modelli a volte ancor più lontani nel tempo e comunque remoti. Si passano così in rassegna i Primitifs, un gruppo che si staccò dal pittore Jacques-Louis David estremizzandone l'insegnamento, i Nazareni, i Puristi, i Preraffaelliti e tutte quelle conventicole artistiche, per tanti aspetti precorritrici delle avanguardie novecentesche, che ebbero un comune denominatore nella teoria e nella pratica dell'"avanzare regredendo" e nel rifiuto della società industriale, percepita come una minaccia alla sopravvivenza stessa dell'arte.
Un merito universalmente riconosciuto a Vittorio Sgarbi è la sua capacità, il suo talento nel raccontare sia con la scrittura sia verbalmente, la storia dell'arte. Passando da racconti di vita personale a chiacchierate con studenti, a citazioni di Leopardi, Dickinson, Dante e molti altri fino a lezioni su opere d'arte note e meno note, Sgarbi vuole qui rendere omaggio ai due maestri della scrittura d'arte che sono stati i riferimenti principali della sua storia di critico.
Giudicare il museo è più facile che comprenderlo. Poche istituzioni sono state valutate in modo così contraddittorio: tempio o cimitero dell'arte, luogo della meraviglia o deposito polveroso, microcosmo o disordine organizzato, casa dei sogni collettivi o dimora dell'incoerenza, laboratorio o supermarket della cultura. Ma che cos'è veramente il museo? Questo libro cerca di svelarne l'identità, raccontarne la storia, spiegarne il funzionamento e prevederne il futuro. È una guida generale al museo, ma anche un invito a riflettere sui molti dilemmi che rendono oggi il suo equilibrio così delicato.
È la mostra longhiana del 1951 su Caravaggio e i caravaggeschi a dare la spinta iniziale alla ricerca di André Berne-Joffroy pubblicata nel 1959 come "Dossier Caravage. Psychologie des attributions et psychologie de l'art". Analizzando la grande letteratura critica artefice della "resurrezione" di Caravaggio (Kallab, Venturi, Voss e Longhi), Berne-Joffroy conduce il lettore all'avventurosa scoperta del vero Michelangelo Merisi, dipanando una sorta di romanzo psicologico. Dopo quasi cinquant'anni questo Dossier, amatissimo da Longhi, è ancora fondamentale per chi vuole entrare nella tortuosa storia della fortuna critica del più grande precursore dell'arte moderna.
Da Van Gogh a Picasso, da David a Boccioni, da De Pisis a Clemente: Alberto Boatto ripercorre la storia dell'autoritratto dall'inizio del moderno fino al suo tramonto. Il volume, qui proposto in una nuova edizione arricchita di nuovi profili e nuove immagini, è suddiviso in due parti: nella prima l'autore risponde alla domanda "che cos'è un autoritratto?"; nella seconda presenta circa novanta autoritratti, commentandoli e interpretandoli.
In questo libro l'autore analizza quella particolare tipologia di ritratti (e di autoritratti) che sembra derivare direttamente dalle icone bizantine e, prima ancora, dai ritratti di el-Faiyùm: immagini dipinte di volti o di busti ritratti frontalmente che, quasi sempre, fissano lo spettatore e nei quali gli occhi sono protagonisti assoluti. La selezione ha inizio con la ritrattistica tardoromana orientale, non tanto perché fu questa l'epoca in cui venne scoperta l'individualità, ma piuttosto perché i primi ritratti pittorici giunti fino a noi rimontano alle vestigia del mondo romano, all'epoca in cui le religioni misteriche orientali iniziarono a conquistare adepti.
Questo saggio di Paul Vulliaud è un'interpretazione di carattere esoterico di due quadri di Leonardo, il Bacco e il Giovanni Battista, con lo scopo di rintracciarvi un messaggio "neoplatonico" ed un riferimento alla mitologia tradizionale e ai suoi "misteri". L'autore si basa esclusivamente sul simbolismo pittorico, e ciò può apparire in contrasto con l'imposizione essenzialmente "scientifica" dei suoi studi e delle sue ricerche. Ma Vulliaud è convinto che questo grande uomo, dopo essere stato assorbito dai suoi progetti di ingegneria e dalle sue esperienze di saggio, abbia chiesto all'arte un mezzo per esprimere le sue idee mistiche. Recenti studi hanno portato molte prove a sostegno di tale tesi, corroborando le affermazioni del Vulliaud. L'incongruenza è quindi soltanto apparente, dal momento che il lato tecnico ed esteriore dell'opera evidentemente non incideva sulle idee, la filosofia e la "visione del mondo" intime di Leonardo. La sua opera è simbolica, o almeno il simbolo è il segno sensibile per mezzo del quale l'artista ha espresso il suo pensiero; e se noi decifriamo questo simbolo, tutto il mistero si dissolverà. A Leonardo, genio universale va dunque la gloria di avere riunito in una sintesi ineguagliabile il "vero" e il "bello", realizzando una grandiosa armonia tra verità morale e verità artistica. E se i pittori mistici hanno fatto discendere il cielo in terra, è giusto dire che Leonardo ha innalzato l'elemento umano sublimandolo nel divino.
All'inferno, ma ancora al lavoro, giudici, mercanti, notai, artigiani, continuano con i propri ferri del mestiere gli inganni esercitati in vita. È uno dei tratti più sorprendenti del Giudizio Universale della chiesa della SS. Annunziata a Sant'Agata de' Goti. Con la guida di un sapiente saggio di Chiara Frugoni, un percorso a più voci, per immagini e parole, alla scoperta degli affreschi di grande godibilità e freschezza dell'intera chiesa.

