«Mosè ricevette la Torah dal Sinai e la trasmise a Giosuè, e Giosuè agli anziani, e gli anziani ai profeti. E i profeti la trasmisero agli uomini della grande sinagoga. Questi dissero tre cose: siate cauti nel giudizio; educate molti scolari; fate una siepe intorno alla Torah». Queste parole del trattato di Abot contengono una promessa di fecondità e disseminazione: la pietà di Israele ha saputo congiungere la Voce divina del Sinai alle discussioni dei maestri e dei discepoli che hanno normato tutti gli aspetti della vita ebraica, fino a imprimersi - in una catena ininterrotta - sulle pagine del Talmud. La «siepe dei maestri» è un recinto pensato per custodire quel tesoro di sapienza inestimabile, destinato ad essere apprezzato da un uditorio più ampio. Disponendosi su questa soglia, Matteo Bergamaschi accoglie le scintille che promanano da quella tradizione secolare, irradiando il loro chiarore fino a noi. Sono trentasette luci dai trattati talmudici per illuminare il nostro comune essere umani.
Se alla filosofia di Pirrone di Elide e alle scuole di pensiero scettico orientali e occidentali antiche e moderne si sono dedicati e si dedicano studi e commenti innumerevoli, lo stesso non si può dire dello scetticismo di matrice ebraica, che continua a restare alquanto trascurato. In questa raccolta di saggi si approfondisce la riscoperta in età moderna della tradizione scettica ebraica, prendendo in esame sguardi diversi di pensatori ebrei e cristiani, che con lo scetticismo hanno in qualche modo fatto i conti. I diversi contributi, frutto anche di ricerche svolte presso il Maimonides Centre for Advanced Studies dell'Università di Amburgo, mirano a documentare la ricchezza e la potenzialità dello scetticismo per la storia e l'interpretazione della tradizione ebraica.
Nel 70 d.C. il Tempio di Gerusalemme cadeva sotto i colpi delle fameliche legioni romane al comando dell'imperatore Tito, 'delizia del genere umano'. Tre anni di guerra e di assedio che costarono oltre un milione di morti, la fine dei sogni d'indipendenza della Giudea e l'inizio della grande diaspora ebraica. Questo libro ne racconta la storia partendo da un secolo prima, il 63 a.C., quando le truppe di un altro generale 'santissimo', Gneo Pompeo Magno, si accorsero che proprio nel Tempio era raccolto il tesoro dello Stato. «Finché sarà in piedi il Tempio, si ribelleranno.» Profezia di un capo militare romano all'assedio di Gerusalemme nel 70 d.C.
In occasione del 92° compleanno di Benedetto XVI un volume inedito che tratta un argomento importantissimo e quanto mai contemporaneo.
Un ampio articolo del papa emerito che interrompe per un attimo il suo silenzio per un argomento – il rapporto tra ebrei e cristiani – che gli sta particolarmente a cuore. Un vecchio pontefice la cui parola si fa sempre più flebile come un’ eco che giunge da un mondo lontano e un giovane rabbino che vive nella Vienna sempre più laica e distratta del XXI secolo. Sono due autorevoli rappresentanti rispettivamente del cristianesimo e dell’ ebraismo.
Inizialmente l’ articolo di Benedetto, che tocca i punti più delicati del dialogo ebrei-cristiani, suscita perplessità tra gli esperti.
Anche il rabbino capo di Vienna, Arie Folger,gli risponde inizialmente con toni severi.
Benedetto, tuttavia, accetta la sfida che prende la forma di una corrispondenza di grande interesse culturale e religioso.
Il tutto si conclude con una visita privata di tre importanti autorità religiose ebraiche al papa emerito.
Il volume contiene l’ articolo di Benedetto, la replica di Folger, la loro corrispondenza, i documenti più importanti del dialogo ebrei-cattolici.
Il rabbino Folger scrive una prefazione di grande apertura e apprezzamento nei confronti del papa emerito.
Un libro per tutti: centri e parrocchie aperte al dialogo; interessati alla pace tra i popoli e le religioni; gli ammiratori del papa emerito e tutti coloro che vogliono avere un’idea chiara su un argomento importantissimo nel contesto attuale.
Questa nuova traduzione con commento integrale permette di ricostruire nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli i legami di Yeshua ben Yosef (Gesù) con l'ambiente ebraico d'origine, di risalire al contesto culturale e spirituale dell'ebraismo in cui viveva e in cui si è formata la prima Comunità. Nelle Lettere di Shaul/Paolo viene proposta un'interpretazione del pensiero e dell'opera dell'Apostolo in accordo con la più recente linea di studi paolini, secondo la quale Shaul non è un convertito ma un convertitore, la cui missione è inserire i pagani nella storia della salvezza. Esaminate nel quadro del loro contesto storico, profondamente segnato dall'oppressione romana e poi dalla distruzione di Gerusalemme e del Tempio, le Lettere apostoliche costituiscono un prezioso documento sulla vita delle prime Comunità messianiche, quando ancora non esisteva frattura tra ebraismo e cristianesimo. L'Apocalisse, affascinante per la ricchezza del suo simbolismo, ma concretamente ancorata alla drammatica situazione storica, non invita a una fuga dalla realtà o a un compromesso con il potere, ma, al contrario, esorta a restare in attesa della Venuta. Nuovo Testamento. Una lettura ebraica è un'opera scrupolosa che studia con serietà i testi cristiani per comprendere come l'antigiudaismo si sia inserito in scritti originariamente giudaici, è un contributo al futuro del dialogo ebraico-cristiano e al raggiungimento della pace per tutta l'umanità.
Il volume esamina la figura controversa di Paolo di Tarso, la sua ebraicità e il suo ruolo nella storia dei rapporti tra ebrei e cristiani, mostrando come non sia né il distruttore del giudaismo né l'inventore del cristianesimo. La ricerca contemporanea - segnata dall'affermarsi della Paul-within-Judaism Perspective - lo ricolloca a pieno titolo all'interno del giudaismo del suo tempo come seguace di Gesù e apostolo dei gentili, rivelando l'inconsistenza di letture successive che ne hanno fatto l'ellenizzatore della nuova fede e il fondatore dell'antigiudaismo e dell'esclusivismo cristiani. Paolo è ebreo e lo è per sempre. Il recupero della sua ebraicità apre la strada a una lettura condivisa da ebrei, cristiani e non credenti. La novità del vangelo di Paolo, quella giustificazione per fede che egli proclama, è un dono di grazia che si aggiunge ai doni della legge naturale e della legge mosaica, i quali "in Cristo" mantengono irrevocabilmente la loro validità ad allargare i confini della salvezza non solo ai giusti tra gli ebrei e le nazioni ma anche ai peccatori che si pentano delle loro opere malvagie.
Chaghigà significa letteralmente "festività", "festeggiamento". La Torà (Es. 23,16-17 e Deut. 16,16-17) prescrive che, in tre occasioni all'anno (Pèsach, Shavu'òt e Sukkòt), tutto il popolo debba recarsi in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. La Torà regolamenta con precisione i sacrifici pubblici da compiersi in queste occasioni. Aggiunge anche che il pellegrino, singolarmente, non doveva presentarsi a mani vuote, ma doveva portare delle offerte; non dice però chiaramente quali fossero queste offerte. Il primo argomento affrontato in questo trattato è appunto la definizione dei tipi di offerte da portare, essenzialmente dei sacrifici. Nel primo capitolo del trattato si discute sulla natura di questi sacrifici, sull'estensione del loro obbligo alle varie categorie di persone e sul tempo in cui essi dovevano essere offerti; su come regolarsi in base alle proprie condizioni economiche e al numero dei commensali; sui tempi in cui i vari sacrifici dovevano essere presentati nel corso della festa. Alla fine, si svolgono importanti considerazioni sui rapporti tra le regole consolidate e le loro fonti bibliche, che in alcuni casi possono essere molto limitate. I vari argomenti trattati, essenzialmente giuridici, offrono l'occasione a ampie e notevoli divagazioni aggadiche, racconti e aneddoti. La particolarità che rende famoso questo trattato è però nel secondo capitolo, in cui, prendendo spunto da argomenti delicati che è bene siano insegnati a un pubblico selezionato, si apre una parentesi fondamentale che raccoglie una serie di insegnamenti sulla mistica ebraica e rappresenta uno dei nuclei più antichi a nostra disposizione su questo argomento. Proprio in ossequio al principio che certi argomenti debbano essere trattati con discrezione, gli insegnamenti sono solo in apparenza comprensibili ed è molto più ciò che si nasconde di ciò che viene rivelato. Vi sono comunque delle storie affascinanti come quelle che riguardano i destini drammatici dei Maestri entrati nel Pardès (il "giardino" della mistica), da rabbì Aqivà uscito indenne, a Elishà ben Avuyà, detto Achèr, "l'Altro". Si passa quindi all'introduzione di un problema che occuperà tutto il terzo capitolo. La presentazione al Tempio e il consumo della carne sacrificale richiedeva l'attenta osservanza delle regole di purità. Nell'ambito delle famiglie rabbiniche e di un pubblico ristretto a esse collegate si era consolidata una tradizione di rigorosa osservanza delle regole di purità, da applicare anche nell'alimentazione profana. Coloro che seguivano queste regole (tra di loro si chiamavano chaverìm, "colleghi") dovevano necessariamente staccarsi dal popolo che, benché non disattento, non era puntigliosamente scrupoloso rispetto a tutti i dettagli e non dava totali garanzie di affidabilità. Durante i pellegrinaggi, quando tutto il popolo si riuniva insieme e circolavano merci e recipienti, questi problemi diventavano comuni e urgenti. Di tutto questo si occupa l'ultimo capitolo, con un esame attento di alcune regole speciali di purità e con una casistica su oggetti e beni. In sostanza, il trattato Chaghigà, malgrado le sue ridotte dimensioni, è molto vario per gli argomenti trattati e per diversi livelli di difficoltà. Piuttosto difficile sia per la materia trattata che per la finezza delle discussioni nell'ultimo capitolo, eminentemente giuridico; seducente per le divagazioni aggadiche del primo capitolo e per la materia mistica del secondo; comunque importante e solo apparentemente semplice nelle parti giuridiche del primo e secondo capitolo. Una ricchezza variegata distribuita in, relativamente, poche pagine.
Il volume costituisce uno strumento per meglio comprendere la Bibbia e il pensiero teologico di Israele alla luce del suo sviluppo storico. A tal fine affronta lo studio degli eventi e dei principali temi legati alla storia d'Israele, dando spazio più alla storia delle idee che ai fatti nudi e crudi. A differenza delle varie Storie d'Israele attualmente disponibili sul mercato italiano, per lo più indirizzate a un pubblico specializzato, le pagine dell'autore si rivolgono a quanti affrontano l'argomento per la prima volta e senza preparazione specifica, offrendo un 'manuale di base' pensato per un primo impatto con la materia. Il testo si presenta infatti semplice e chiaro, rimandando alla bibliografia in nota per gli indispensabili approfondimenti. Esso tuttavia non rinuncia ad affrontare con serietà e completezza problemi complessi e molto dibattuti, come ad esempio la spinosa questione delle origini di Israele.
Luciano Baruch TAGLIACOZZO, nasce a Napoli nel 1950 da un’antica famiglia israelita italiana. Studia fisica all’Università di Napoli, poi sceglie di lavorare in ospedale. Si laurea in Studi ebraici presso il corso di laurea del Collegio Rabbinico Italiano, con una tesi su Samuel David Luzzatto. Apprezzato saggista e traduttore, partecipa al progetto Mishnah con il trattato Eduyot. Traduce in prima mondiale il libro del Maharal di Praga, Neza’h Israel. Recentemente pubblica Il Messia di Gerusalemme, Raziel Edizioni 2021. Traduce più trattati del Talmud Yerushalmi per il sito www.e-brei.net, col quale ha curato recentemente i commentari di Rabbi Moshe Chaim Luzzatto. Stimato pittore e conferenziere, è stato Presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Napoli. Ha curato, fra gli altri, per l’università Orientale di Napoli, la serie d’incontri: Mondi Sefarditi.
La benedizione e la lode a Dio sono all’origine della preghiera e della liturgia ebraica, e sono divenute anche eredità dei cristiani.
Attraverso una storia di purificazione lunga e dolorosa, la liturgia d’Israele è arrivata a uno stile di relazione con Dio basato sulla benedizione. Ogni tipo di preghiera personale o liturgica non poteva che iniziare e terminare così. Anche Gesù Cristo, da ebreo pio e osservante, pronunciò molte benedizioni. La sua più alta berakah fu durante l’Ultima Cena, che i primi cristiani hanno ereditato e trasmesso nella celebrazione dell’Eucaristia. Con la perdita progressiva della componente ebraica nella chiesa primitiva questa tradizione si è sempre più diluita., ma negli ultimi decenni si è assistito alla riscoperta di questa radice comune tra ebrei e cristiani che ha dato una grande spinta al rinnovamento della stessa liturgia cattolica.
Quest’opera sottolinea il silenzio delle Scritture su Giuseppe. Uomo giusto icona del Padre. Il giusto crescerà come palma, afferma il Samo 92,13. Come la palma proietta fino in lontananza la sua ombra, così il giusto deve attendere a lungo prima di ricevere la sua ricompensa. Il Salmo 65,2 –nella versione ebraica– afferma che il silenzio è una lode a Dio. San Giuseppe meditava questi salmi, egli comprese subito che non bastava recitarli ma che bisognava viverli, assimilarli, poiché la parola di Dio è simile alla manna che ogni giorno ci sazia (cfr. Sap 16,26).
dalla Presentazione
Il trattato di Meghillà si occupa principalmente delle regole della lettura pubblica e della scrittura del Libro biblico di Ester, la più conosciuta fra le meghillòt o rotoli del Tanàkh, noto come la Meghillà per antonomasia. Se esistono regole di lettura, significa che c'è uno scritto da cui leggere. Può sembrare ovvio, ma non lo era affatto per la Meghillà. Troviamo infatti un brano molto interessante nel quale "Ester mandò a dire ai Saggi: Scrivete la mia storia per tutte le generazioni, e che il libro sia incluso negli Agiografi". L'accettazione da parte dei Maestri, prosegue il brano, non avvenne senza ostacoli, tanto che la disputa riguardo l'inclusione della Meghillà di Ester nel canone biblico proseguì fino all'epoca dei Maestri della Mishnà. Nel nostro brano troviamo infatti diverse opinioni fino all'estendere la discussione anche ad altre Meghillòt. Una volta stabilito che la Meghillà fa parte del canone biblico, occorreva rimarcare che il suo status, come quello di tutti gli altri testi del Tanàkh che non fanno appunto parte della Torà, è tuttavia differente da quello dei libri della Torà. È forse in quest'ottica che possono essere letti gli insegnamenti relativi alla cucitura dei diversi fogli di pergamena che compongono il rotolo, rispettivamente, della Torà e della Meghillà e perfino alcune regole come quella sulla liceità di leggere la Meghillà da seduti o altre norme riportate nel cap. 3. Argomento affine a quello dell'inclusione della Meghillà nel canone biblico, e quindi all'obbligo della sua lettura, è il problema della traduzione dei testi biblici, sia per quanto riguarda la traduzione in aramaico che veniva fatta oralmente a beneficio dei partecipanti in occasione delle letture pubbliche, sia relativamente alla liceità della traduzione dei testi biblici in altre lingue. Relativamente alla prima questione, troviamo nel nostro trattato un elenco di passi che in pubblico non vanno tradotti, e alcuni neanche letti; sul secondo tema, invece, c'è una interessante tradizione relativa all'origine della traduzione della Torà, cosiddetta "dei Settanta": i dotti incaricati dell'opera, "nel cuore di ciascuno dei quali il Signore, benedetto Egli sia, mise il Suo consiglio", cambiarono volutamente la traduzione di alcuni passi rispetto al testo originale per motivi di opportunità. Dunque, il problema di tradurre è tema antico, così come lo è lo status particolare riconosciuto da alcuni Maestri al greco, ovvero alla lingua della cultura mondiale. Il trattato è uno dei più brevi e relativamente facili del Talmud e comprende numerose parti di Midràsh che interpretano il Libro di Ester dall'inizio alla fine. Una simile raccolta sistematica e ordinata di midrashìm è un unicum all'interno del Talmud Babilonese.