Guerriero invincibile, sovrano ambizioso, Alessandro Magno è il Conquistatore per antonomasia. Alessandro Magno è uno dei pochi personaggi storici che continuano a ispirare biografie, opere teatrali e cinematografiche: questo volume fa il punto dei più recenti risultati raggiunti dalle ricerche, aggiornando e talvolta rivedendo completamente l’immagine del grande sovrano macedone, la cui morte segna la fine dell’età classica e l’inizio dell’Ellenismo, ossia di un’età universalistica, che, per molti aspetti, ricorda la globalizzazione dei giorni nostri ed è stata a lungo sottovalutata dagli studiosi moderni. La repentina morte di Alessandro consegnò alla leggenda il suo nome e le sue imprese; da allora egli è rimasto nella memoria storica dell’occidente il conquistatore per antonomasia: guerriero invincibile uscito indenne da innumerevoli battaglie, fondatore di numerose di città. Proprio per questo, in tutte le lingue europee, al suo nome si associa l’epiteto che racchiude tutta la sua grandezza: ‘Magno’. In questo libro l’autrice ricostruisce il percorso militare cercando di tracciare anche un profilo umano del grande condottiero. Quando ad esempio ci parla della sua improvvisa scomparsa, dovuta a una violenta malattia, esalta la drammaticità della situazione affinché il lettore possa immaginare come, mentre periva febbricitante, nella mente del sovrano scorressero le immagini del suo più lontano passato, e i sentimenti che lo avevano animato
Nel 1938, Karl Schwarz, il nonno tedesco dell'autrice, rileva, nell'ambito del processo di arianizzazione voluto dai nazionalsocialisti, la piccola azienda di prodotti petroliferi di Julius Löbmann, pagandola assai meno di quanto in realtà valesse. E quando dopo la guerra questi, unico sopravvissuto della sua famiglia sterminata in un campo di concentramento, chiede di essere risarcito, Schwarz per anni si rifiuta di far fronte alle rivendicazioni del padrone di un tempo. Alla fine pagherà, ma in famiglia l'episodio verrà il più possibile nascosto e infine rimosso. Da questa situazione individuale prende avvio la ricognizione di Géraldine Schwarz, che allarga subito la visuale mettendo in evidenza come la «mancanza di memoria» della sua famiglia trovi un pendant nelle strategie politiche della Germania nel dopoguerra: Adenauer, il primo cancelliere tedesco, se da un lato vincola il paese alle democrazie occidentali, dall'altro in molti ambiti della vita pubblica tollera la presenza di importanti personaggi del regime hitleriano. Bisognerà attendere sino agli inizi degli anni Sessanta, prima che nell'opinione pubblica tedesca si avvii quella riflessione sulle proprie colpe che ha portato alla Germania contemporanea. Ma la disamina dell'autrice si sposta ben presto anche su altri paesi come l'Italia, dove per anni ha potuto tranquillamente essere rappresentato in Parlamento il Movimento sociale italiano, un partito che non nascondeva le sue radici fasciste; o l'Austria sempre ben attenta a negare l'entusiasmo con cui Hitler e le sue truppe vennero accolti il giorno dell' Anschluss o infine l'altro paese di origine di Géraldine Schwarz, la Francia, dove dietro il mito della resistenza si sono nascoste le precise responsabilità di molti cittadini: fra questi, forse, anche il nonno materno dell'autrice, di cui non si sa molto oltre al fatto che fu gendarme in una zona dove il governo di Vichy dava la caccia agli ebrei. E sono proprio i paesi in cui la rielaborazione critica di quegli anni è stata carente, in cui hanno avuto la meglio i «senza memoria», questa la tesi centrale e attualissima del libro, ad apparire oggi particolarmente esposti al populismo e al sovranismo, a tollerare e fomentare il razzismo, e a propugnare una concezione antidemocratica della vita politica.
Che cos'è l'Europa? Un'entità geografica, un patrimonio storico, una costruzione ideologica? Tutto questo insieme: una cosa dai tratti imprecisi ma concreti, che si è venuta formando nel corso dei millenni. A partire dal termine stesso e dalla definizione dell'ambito spaziale, il libro illustra gli snodi, i processi e le trasformazioni principali che hanno condotto all'Europa di oggi: dall'eredità del mondo greco-romano alla diffusione del cristianesimo, allo sviluppo delle città e degli stati, dall'espansione coloniale alle rivoluzioni e ai nazionalismi, dai totalitarismi novecenteschi all'Unione europea.
Prefazione all'edizione italiana di Piero Vereni
Due tra i più importanti antropologi affrontano un tema centrale: da dove viene il potere? Perché anche nelle società più semplici alcuni uomini prendono il sopravvento e agiscono come se il potere spettasse loro per qualche ragione sovrannaturale?
La filosofia politica ha cercato nelle infrastrutture (il modo di produzione, tipicamente) le ragioni della stratificazione del sociale, proiettando sul piano religioso la messa in scena “simbolica” di quel potere “reale”. Gli dei sarebbero cioè la trasfigurazione del potere dei re. In questo libro rivoluzionario Graeber e Sahlins rovesciano la catena causale e fanno dei re gli imitatori di un potere sovraumano che stabilisce una gerarchia cosmologica universale: i re cercano di riprodurre con i loro mezzi il potere ultra-mondano posseduto dagli dei.
Biografia degli autori
David Graeber
David Graeber è professore di Antropologia presso la London School of Economics. Scrive regolarmente per Guardian, Strike!, New Left Review. Tra i numerosi libri pubblicati in italiano ricordiamo Bullshit Jobs (2018)
Marshall Sahlins
Marshall Sahlins è professore emerito di Antropologia all’Università di Chicago. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Isole di storia (2016).
Cinque secoli fa una lettera di Leonardo da Vinci parte da Genova per Costantinopoli, l’odierna Istanbul. È forse la risposta alla richiesta di progettare un ponte. In quell’epoca, le due città sono al vertice delle relazioni tra Oriente e Occidente, come spesso è accaduto nella storia, e sulle onde del Mediterraneo scorre il confronto tra turchi e genovesi, una realtà di lunga durata in cui si possono cogliere le molte, sottili sfumature di un costante e caleidoscopico panorama di incontri. In questa prospettiva, il geniale ponte progettato (e mai realizzato) da Leonardo da Vinci per il sultano Bayezid II e il centro di Galata – prima genovese e poi turca – diventano il simbolo di un rapporto mai interrotto tra due mondi.
Gli europei è un viaggio che accompagna il lettore nelle capitali del Vecchio continente, passando dal chiacchiericcio dei teatri londinesi alla boria dei caffè parigini, dagli affollati salotti tedeschi alla scaltrezza degli impresari teatrali milanesi.
«Figes trova una chiave originale per illuminare il farsi della cultura europea: il formarsi del canone del melodramma come tratto comune, il rimescolamento e l’integrazione del gusto musicale e di quello artistico, la nascita dell’editoria di massa, il formarsi del culto e dell’amore comune per i musicisti e gli scrittori» – Robinson
Alla metà del XIX secolo, quando la rete ferroviaria attraversò per la prima volta i confini nazionali dei singoli paesi, lo scenario culturale europeo cambiò radicalmente. Grazie all'avvento del treno, artisti, scrittori e filosofi di tutta Europa entrarono in contatto, alimentando una circolazione del sapere fino a quel momento impensabile. La rivoluzione tecnologica e il fermento capitalistico investirono anche il mondo intellettuale, portando alla crescita del mercato editoriale, alle esposizioni universali, al successo della lirica e dell'arte, alla moda dei soggiorni all'estero, e avverando così il cosmopolitismo tanto anelato dagli illuministi. In breve tempo in tutta Europa si cominciarono a leggere gli stessi libri, riprodurre gli stessi dipinti, suonare la stessa musica e ascoltare gli stessi concerti. Basandosi su lettere e diari di collezioni archivistiche in parte inesplorate, lo storico inglese Orlando Figes racconta la genesi della «cultura europea» servendosi del triangolo amoroso che coinvolse il romanziere Ivan Turgenev, l'autore russo più famoso prima dell'avvento di Tolstoj, la mezzosoprano Pauline Viardot, conosciuta fin negli Stati Uniti, e il marito di lei, Louis, mecenate, traduttore e critico d'arte. Coltivando i rispettivi contatti, Turgenev e i Viardot svolsero un'importante intermediazione, incoraggiando scrittori, artisti e musicisti e aiutandoli a ottenere un successo internazionale. Nei salotti da loro frequentati, infatti, passarono musicisti come Chopin, Cajkovskij e Schumann, scrittori come Flaubert, Dickens, Eliot e Sand, nonché pittori come Courbet, Rousseau, Corot e Delacroix. Nel secolo dei nazionalismi che fomentarono lo scoppio della prima guerra mondiale, la diffusione di un patrimonio culturale comune permise a un numero crescente di europei di scoprire un'appartenenza condivisa alle idee e agli stili che distinsero l'Europa dal resto del mondo. Gli europei è un viaggio che accompagna il lettore nelle capitali del Vecchio continente, passando dal chiacchiericcio dei teatri londinesi alla boria dei caffè parigini, dagli affollati salotti tedeschi alla scaltrezza degli impresari teatrali milanesi. In un periodo in cui il sapere veniva sostenuto e sovvenzionato da regnanti e mecenati, le arti furono capaci di avvicinare i popoli molto più della religione o delle convinzioni politiche, rivelando che l'identità nazionale non è che il risultato di un dialogo costante con chi vive al di là dei propri confini.
L’eroico ingresso a Fiume del poeta guerriero D’Annunzio è stato usato come mito fondativo dei Fasci di combattimento, eppure molti dei legionari che parteciparono all’impresa non aderirono mai al fascismo. Questo è uno dei trenta episodi di manipolazione della storia che Paolo Mieli smaschera invitando il lettore a diffidare di fonti inattendibili e versioni adulterate. In alcuni casi si tratta di falsi d’autore, come il diario di Galeazzo Ciano corretto ad arte dallo stesso genero del Duce. Altre volte sono invece tentativi, più o meno consapevoli e strumentali, di imporre slittamenti interpretativi e di senso a pagine salienti del nostro passato. Troppo di frequente si riscontra invece un uso politico della – presunta – verità raggiunta.Ecco il filo rosso che collega i saggi qui raccolti: le verità nascoste sono quelle – indicibili, negate e capovolte – che Mieli indaga con il rigore dello storico e l’acume dell’osservatore vigile e inflessibile. Un’analisi che dall’Italia del Novecento, con le sue più ingombranti e fondamentali figure (Mussolini, De Gasperi, Togliatti), attraversa alcuni temi ancora oggi di grande attualità come l’antisemitismo e il populismo. Fino a gettare nuova luce su personaggi dello scenario internazionale quali Churchill, Stalin, Mao e su passaggi poco conosciuti o spesso misconosciuti della storia antica e moderna, dalla rivolta di Spartaco alla “congiura” di Tommaso Campanella.Un tracciato, quello indicato in Le verità nascoste, che suggerisce, nelle parole del suo autore, che “in campo storico le verità definitive, al di là di quelle fattuali e comprovate (ma talvolta neanche quelle), non esistano”.
Il rapporto tra la massoneria e la Chiesa cattolica riveste una grande attualità per le ricorrenti discussioni sul tema della laicità dello Stato. Le frequenti esternazioni della gerarchie ecclesiastiche su argomenti che riguardano la vita civile italiana suscitano anche oggi reazioni forti da parte di politici e studiosi di area laica. Andando con lo sguardo al passato, il libro si sofferma sulle relazioni tra il Vaticano e la massoneria, partendo dalla bolla di scomunica di Clemente XII fino ad arrivare all'attualità. Il libro ripercorre le ultime vicende di questo complesso rapporto: gli scontri sull'insegnamento della religione nelle scuole, la partecipazione al referendum sulla procreazione assistita, gli attacchi di alcuni vescovi alle logge, la polemica su Mozart massone.
La storia avventurosa del colonnello Thomas Edward Lawrence, agente segreto al servizio di Sua Maestà britannica e contemporaneamente amico inseparabile dello sceriffo beduino che guidava la rivolta araba contro i turchi. Fu egli un traditore o un eroe della causa per la quale combatteva? E per quale causa in realtà lavorava, quella di re Giorgio V oppure quella dei beduini arabi della cui ribellione era diventato simbolo? Un enigma al quale la storia non trova risposta e che Cardini indaga, tenendo presente che un traditore è sempre un traduttore, colui che si sforza di trovare un ponte di comunicazione tra due visioni e due interessi diversi, e che la causa degli arabi era stato il frutto dell’inventiva dello stesso Lawrence, mancando in quelle aree l’idea propria di nazione. Aveva conosciuto il mondo arabo grazie agli studi di archeologia a Oxford; il suo professore era un agente dell’intelligence britannica per le questioni del Medioriente e dal 1914 Lawrence venne «arruolato» nel servizio segreto. Sognava di creare una grande nazione per tutti gli arabi e benché vittorioso sul campo fu poi sconfitto da quel che progettarono le potenze europee tracciando le varie zone di influenza. Lo visse come un inganno. Al di là della leggenda Lawrence d’Arabia si ritrova al centro di una vicenda storica che ha portato alla nascita di stati come il Libano, l’Iraq, la Siria, la Giordania, nazioni all’origine dell’instabilità del Medioriente che permane sino a oggi.
Pubblicato per la prima volta nel 1976, «Il formaggio e i vermi» ritorna con una postfazione. Nel frattempo, tradotta in ventisei lingue, la vicenda del mugnaio friulano Domenico Scandella detto Menocchio, messo a morte dall'Inquisizione alla fine del Cinquecento, ha fatto il giro del mondo, mostrando come sia possibile, attraverso gli archivi inquisitoriali, cogliere le voci di individui che spesso non compaiono, o compaiono solo in maniera indiretta, nella documentazione storica: dai contadini alle donne. Il mugnaio Menocchio era senza dubbio una figura straordinaria, percepita come anomala anche dai suoi compaesani; l'ampiezza delle sue letture, la ricchezza delle sue reazioni ai libri, l'audacia delle sue idee non finiscono di stupire. Ma anche un caso eccezionale (qui sta la scommessa del libro) può gettar luce su problemi di vaste dimensioni: dalla sfida alle autorità in una società preindustriale all'intreccio fra cultura orale e cultura scritta. Come chiarisce la nuova postfazione, «Il formaggio e i vermi» è stato letto retrospettivamente come un esempio di microstoria. Ma lo scopo di quest'esperimento di scrittura della storia era, ed è, quello di far arrivare al lettore la voce di Menocchio: «Io ho detto che, quanto al mio pensier et creder, tutto era un caos, cioè terra, aere, acqua et foco insieme; et quel volume andando così fece una massa, aponto come si fa il formazo nel latte, et in quel deventorno vermi, et quelli furno li angeli...».
L'11 novembre del 1918 segna un momento decisivo della storia d'Europa: la fine di una Grande Guerra. Ma quale è stata l'eredità che ci ha lasciato la Prima guerra mondiale? Per molti aspetti il futuro dell'Europa non è stato condizionato tanto dai combattimenti sul fronte occidentale quanto dalla devastante scia di eventi che seguirono la fine del conflitto quando paesi di entrambi gli schieramenti vennero travolti da rivoluzioni, pogrom, deportazioni di massa e nuovi cruenti scontri militari. Se nella maggior parte dei casi la Grande guerra era stata una lotta fra truppe regolari, i protagonisti di questi nuovi conflitti furono soprattutto civili e membri di formazioni paramilitari. La nuova esplosione di violenza provocò la morte di milioni di persone in tutta l'Europa centrale, meridionale e sud-orientale, e questo ancor prima che nascessero l'Unione Sovietica e una serie di nuovi e instabili staterelli. Ovunque c'erano persone animate da un desiderio di rivalsa, disposte a uccidere per placare un tormentoso senso di ingiustizia, e in cerca dell'opportunità di vendicarsi contro nemici reali o immaginari. Un decennio più tardi, l'avvento del Terzo Reich in Germania e l'affermazione di altri Stati totalitari fornirono loro l'occasione che tanto avevano atteso.
La seconda guerra mondiale ha causato circa sessanta milioni di morti. Dall'invasione della Polonia fino alla resa ufficiale del Giappone, passando per l'assedio di Leningrado, i bombardamenti sulle città tedesche, gli orrori della Shoah e l'apocalisse di Hiroshima e Nagasaki, ogni giorno in media hanno perso la vita ventisettemila persone. Ma com'è stato possibile che Paesi non troppo diversi per cultura, tradizione militare e sviluppo economico si siano trovati nella condizione di sacrificare milioni di vite, mobilitando risorse e tecnologie per produrre micidiali strumenti di morte e distruzione? Come mai un conflitto iniziato in Europa ha avuto una escalation letale, che l'ha portato ad assumere una dimensione globale? A oltre settant'anni di distanza, sembra ancora difficile rispondere in maniera soddisfacente a queste domande. In questo libro Hanson cerca di dare il proprio contributo a un dibattito che non è soltanto storiografico, ma anche e soprattutto morale. Muovendo la propria indagine dalle cause del conflitto - che, come rammenta, ricadono esclusivamente sulle spalle del nazifascismo - Hanson ne ripercorre le tappe cruciali, concentrandosi sulle battaglie decisive, sugli armamenti sempre più letali, sull'efficacia dei metodi di combattimento, sugli errori e i successi strategici dei comandi supremi, sul ruolo della popolazione civile e dei lavoratori coatti. Ma anche sulla forza economica e la capacità produttiva delle potenze coinvolte, sul peso alla fine risolutivo dell'industria e della ricerca tecnologica. E soprattutto sugli uomini - dai leader ai soldati schierati in prima linea -, su quanti volevano asservire il mondo alle ideologie assassine e alla logica dei campi di sterminio e su quelli che invece vi si opposero. Alla fine, però, un dubbio rimane: forse quei sessanta milioni di morti avrebbero potuto essere evitati se in molti non avessero distolto lo sguardo di fronte alla minaccia nazifascista. Un dubbio che il nostro tempo ci impone di sciogliere.