L'assassinio di George Floyd, afroamericano ucciso da un poliziotto bianco durante l'arresto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, ha scoperchiato l'intreccio di contraddizioni e ingiustizie del nostro tempo. A protestare sono scesi in piazza non solo i suoi fratelli e le sue sorelle afroamericani, ma anche bianchi, ispanici, uomini e donne, soprattutto giovani, che sentono sul collo il ginocchio mortale delle crescenti diseguaglianze. L'impressionante e ininterrotta sequenza di brutali violenze di stato da parte della polizia contro gli afroamericani continua ad accompagnare, come un sottofondo inquietante, la campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti, e le immagini delle rivolte sono ormai sempre più sotto i nostri increduli occhi di cittadini europei. In questo libro Alessandro Portelli, intrecciando racconto storico e immaginari letterari, simbolici e musicali, ripercorre le vicende che hanno portato a quella scena, dalle ribellioni che l'hanno seguita agli eventi che l'hanno preparata nell'ultimo decennio, alla memoria di alcune grandi rivolte della storia afroamericana.
Meritiamo un Paese sano. Meritiamo un'Italia libera dalle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali, in cui nessuno resti indietro. Meritiamo una nuova stagione di riforme senza tagli, ma al contrario con una decisa politica di investimenti. Questa è la lezione del Covid, appresa lungo i mesi durissimi di una pandemia che continua a imporci attenzione, regole, sacrifici. In un mondo in cui le tragedie non hanno confini, non devono averne neanche la solidarietà, la determinazione, la capacità di incidere sul reale. Dal fronte di una battaglia che continua e che cambierà la nostra vita per sempre, il ministro della Salute non solo racconta, ma spiega la tempesta che abbiamo attraversato, e che, in realtà, viene da molto lontano: dalle troppe e miopi politiche al risparmio che hanno indebolito il Servizio Sanitario Nazionale. Trent'anni di un'ideologia del mercato senza regole, dimostratasi fallimentare; trent'anni di scelte sbagliate che hanno messo a repentaglio la nostra salute. Quella stagione è finita. Dai giorni delle scelte più difficili alle prospettive su vaccini e cure; dallo scenario internazionale alle scelte sul territorio, quello di Speranza è un punto di vista inedito su ciò che insieme abbiamo vissuto. Ma è soprattutto un libro di attualità e di impegno civile, uno sguardo spalancato sul nostro futuro. Perché le possibilità aperte dalla nuova programmazione europea rendono oggi possibile la rivoluzione copernicana di una nuova "sanità circolare", davvero vicina al cittadino: semplice, efficiente, integrata. Solo così la lezione non andrà sprecata.
Le ragioni che hanno portato al fallimento del modello neoliberista. Il sentiero che la società civile e una nuova classe politica progressista dovranno intraprendere per ripensare il mondo secondo altri principi.
È il momento di ripensare il nostro mondo secondo un’altra logica. Anzi di realizzare quel mondo diverso che non abbia il Pil come misura del benessere del cittadino, che non rimetta nelle mani dei tecnocrati decisioni tutt’altro che tecniche, che smetta di considerare l’ambiente una quinta teatrale, che impedisca il formarsi di disuguaglianze insostenibili, che garantisca al massimo numero di persone le medesime opportunità. È quel mondo in cui si torna ad ascoltare la voce dei cittadini e dei lavoratori affinché scelgano e non subiscano il futuro.
«Demone a ciascuno è il suo modo di essere.»
Eraclito
Guardano il cielo stellato ma non si meravigliano, sono angosciati dall’esistenza ma non sono tragici, elaborano ricette ma non redigono nuove tavole della legge, parlano di tutto ma non di noi. I contemporanei non ci sono attuali. Sono i classici i competenti in umanità e i maestri di saggezza: con i loro precetti – obbedire al tempo, seguire il demone, conoscere se stessi, non eccedere, conoscere la natura – ci soccorrono nel rispondere alla domanda di Agostino: «Tu chi sei?». Sono i classici che, liberandoci dalla saturazione e dalle spire del presente, ci ricollegano alla memoria dei trapassati e ci interpellano sulla responsabilità verso i nascituri, rendendoci partecipi di quella grande comunità – res publica maior la chiamava Seneca – che ci precede e ci eccede. Il libro spinge questa riflessione fino ai nostri giorni. Intercetta le domande dei giovani, abitati da una divorante ansia di verità e chiamati a una missione supplementare e difficile: arrivati in un mondo fatto su misura per i loro padri, devono costruirne uno per loro stessi e per i loro figli. Torna così attuale l’invito che Max Weber, echeggiando la saggezza classica, rivolse ai giovani nei giorni segnati dalle macerie della prima guerra mondiale. Alla loro domanda: «Professore, cosa dobbiamo fare?», rispose semplicemente: «Ognuno segua il demone che tiene i fili della sua vita».
Un virus ha cambiato il mondo: è importante capire come. Intellettuali e interpreti del nostro tempo riflettono sulle trasformazioni in corso. E propongono idee e azioni per affrontare le difficoltà del futuro.
La pandemia ha tracciato un grande solco tra un prima e un dopo, uno spartiacque tra un mondo che credevamo di controllare e uno dal profilo molto incerto, che sta facendo saltare molte sicurezze. Nel ‘prima’ le nostre società facevano mostra di un’organizzazione globale efficiente; oggi manifestano l’altra faccia, quella fragile e insostenibile. Nel ‘prima’ la democrazia appariva il destino dell’umanità; nel ‘dopo’ non sembra essere più così scontata. Nel ‘prima’ lo Stato era considerato un’istituzione quasi residuale, da limitare e contenere; nel ‘dopo’ dovremo considerare la sua forza necessaria. Nel ‘prima’ in tanti pensavano che la distruzione dell’ambiente avrebbe avuto effetti sulle nostre vite tra molto tempo; nel ‘dopo’ è divenuto chiaro che non possiamo essere sani su una terra malata. Il mondo che verrà ci chiama tutti a riflettere su ciò che è stato, sulle cause profonde di quanto stiamo vivendo e sulle sue conseguenze immediate – economiche, politiche, sociali – e a porci quesiti nuovi sul futuro che ci aspetta e che dovremo ricostruire.
Le disuguaglianze, l'immigrazione, la sicurezza, la corruzione: su queste e altre questioni nevralgiche del nostro tempo abbiamo un atteggiamento diverso a seconda dell'idea di giustizia che assumiamo. Giusto è ciò che coincide con la legge? Raffaele Cantone e Vincenzo Paglia si confrontano senza pregiudizi o ipocrisie a partire dalle loro differenti visioni del mondo. Con un fine che inseguono testardamente pagina dopo pagina: comprendere e definire cosa è giusto. Con il più onesto dei mezzi: gli esempi tratti dalle loro esperienze professionali, in particolare quelli che chiamano in causa la nostra coscienza, quelli che la legge sembra non riuscire a codificare. Dalla più attuale e controversa questione dell'accoglienza dei migranti alla questione della corruzione, dai sistemi di repressione al modo di intendere la punizione e il perdono. Il dialogo è stato curato da Emanuele Coen, giornalista de "L'Espresso".
Il concetto di Umanità è antico e attraversa la storia dell'Occidente. Ma nel Novecento esso subisce una brusca torsione, per effetto del superamento di una doppia soglia: quella che separa Umano e Inumano, da una parte. E quella che divide Umano e Postumano, dall'altra. Due fratture che si sono consumate in rapida successione. Con Auschwitz si rompe la soglia tra Umano e Inumano. La Disumanità come In-umanità diventa la trama del nostro presente, nel momento in cui, per esempio, si chiudono i porti all'arrivo dei migranti, decidendo di non salvare altri esseri umani. Il superamento della seconda soglia è quella tra Umano e Postumano, laddove la tecnologia è costruita a somiglianza dell'essere umano, assumendo aspetti a volte salvifici, a volte inquietanti.
«La mia convinzione è che abbiamo bisogno di un Paese innovatore, in tutte le sue articolazioni e declinazioni, e di uno Stato che nel Paese abiliti e sostenga imprese, cittadini, associazioni nel promuovere innovazione, a servizio dello sviluppo e del benessere di tutti noi.» È questa la tesi che Fuggetta pone al centro del libro, contro le tante occasioni in cui invece si chiede allo Stato di porre rimedio a ogni tipo di stortura, calamità naturale, sfortuna economica, torto o colpo della sorte. Ogniqualvolta sorge un problema che come singoli non sappiamo o non vogliamo affrontare invochiamo infatti l'intervento dello Stato, spesso immaginandolo come un'entità terza rispetto a noi, dotata di risorse infinite o comunque indipendenti dalle nostre, con doti taumaturgiche capaci di rimediare a qualunque male o ingiustizia del mondo, e portatore di virtù e moralità superiori a quelle dei privati, siano essi singoli cittadini o imprese. Ma lo Stato deve fare alcune cose e non altre: soprattutto non dobbiamo pretendere o anche solo immaginare che sia lo Stato a gestire in prima persona, come operatore economico, i temi dell'innovazione, della crescita e dello sviluppo. Non è lo Stato imprenditore e innovatore che ci salverà. Tutto il Paese deve crescere, svilupparsi ed essere innovatore, in tutte le sue articolazioni e strutture, certamente con un corretto ruolo e sostegno del soggetto pubblico. Perché a un Paese che si identifica con lo Stato, un Paese con uno Stato imprenditore, innovatore e ridistributore della ricchezza prodotta, preferiamo un Paese della responsabilità civile, degli investimenti a servizio della collettività, delle pari opportunità, della solidarietà vera con chi fa fatica, della valorizzazione delle capacità di ciascuno di noi.
"Entrai a piedi nella città, passai di fianco alle grandi carceri di San Vittore, diedi una benedizione e pensai: lì vivono migliaia di persone che devo andare a trovare." Con queste parole Carlo Maria Martini ricordava il suo ingresso a Milano il 10 febbraio 1980. Dalle visite in carcere che fece lungo tutto il suo mandato episcopale nasce la riflessione racchiusa in queste pagine: come e perché fare in modo che la pena sia giustizia ma anche ricomposizione? Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, e Adolfo Ceretti, docente di Criminologia, si confrontano con il magistero di Martini spiegando il valore che esso continua a racchiudere e la necessità ancora viva di ciò che l'arcivescovo auspicava: una giustizia che ricucia i rapporti piuttosto che reciderli, promuova i valori della convivenza civile, porti in sé il segno di ciò che è altro rispetto al male commesso.
Questo libro offre una ricognizione delle principali genealogie novecentesche della cultura visuale, scegliendo solo tre figure paradigmatiche: Aby Warburg, Sigmund Freud e Walter Benjamin. Dopo Warburg la nozione di immagine è definitivamente cambiata. Dopo Freud lo sguardo è indissolubilmente legato al tema della sessualità e del bios. Dopo Benjamin la nozione di dispositivo e quelle di apparato, assemblage e ambiente mediale sono definitivamente cambiate. Questi autori non stanno solo alle origini della cultura visuale ma ne prefigurano gli sviluppi futuri. Da Warburg abbiamo imparato che il fare-immagine fa parte della biologia e dei comportamenti essenziali dell'Homo sapiens, un aspetto che le neuroscienze cognitive, l'antropologia, l'archeologia e la paleontologia stanno sviluppando in questi anni. Grazie a Freud sappiamo che lo sguardo è essenziale per comprendere pratiche epistemiche, questioni di genere e politiche sociali. Benjamin ci ha insegnato che i dispositivi sono elementi essenziali della nostra nicchia ecologica.
La meteorologia è la base della nostra vita quotidiana. Come argomento di conversazione o come applicazione sul nostro smartphone, il tempo è spesso la prima cosa di cui ci occupiamo appena svegli. Eppure, dietro semplici gesti quotidiani si nasconde uno dei più grandi apparati che l'umanità abbia mai predisposto, un trionfo di scienza, tecnologia e cooperazione globale. Ma che cos'è la "macchina del tempo" e chi l'ha costruita? Andrew Blum ci guida in un viaggio attraverso questo prodigio d'uso comune. Per scoprire come funzionano le previsioni del tempo, l'autore ci porta a visitare i luoghi di osservazione degli inizi e ad assistere al lancio di satelliti modernissimi. Entra nei laboratori, negli uffici, ci racconta le intuizioni scientifiche, le osservazioni e la perfetta organizzazione che consente l'incredibile scambio di informazioni a livello globale. Infine scopriamo che la meteorologia sta vivendo un periodo d'oro, poiché gli strumenti attuali permettono di prevedere il tempo più accuratamente di quanto sia mai accaduto. Chiaro e ricco di informazioni il libro apre uno scorcio su un aspetto poliedrico della vita quotidiana, rivelando i nostri rapporti con la tecnologia, il pianeta e la comunità globale.
Molti fatti drammatici della storia recente - guerre, catastrofi naturali, rivoluzioni- sono stati documentati da inchieste, fotografie, libri. In passato il racconto sembrava avere una straordinaria efficacia ai fini del cambiamento: si scendeva in piazza, si raccoglieva denaro, si interpellavano con forza i decisori politici. Dal conflitto in Vietnam alla carestia in Etiopia, avevamo avuto la prova che rompere la scorza di silenzio intorno alla realtà era un'arma importante in mano ai media e ai cittadini. Poi qualcosa è cambiato. Alla testimonianza sembra oggi seguire solo afasia e silenzio. Domenico Quirico ripercorre, sul filo della sua memoria personale, alcuni dei capitoli più drammatici degli ultimi quarant'anni - dalla carestia in Somalia alla guerra in Siria, all'epidemia di Ebola, fino all'esodo incessante di migranti dall'Africa - alternando ricordi di esperienze vissute in prima persona alla riflessione sul senso e sull'utilità della sua professione. Un libro prezioso perché oggi, forse più che nel passato, l'odio cieco ha dimostrato di far operare delle scelte più di quanto possono fare i fatti che i nostri stessi occhi possono vedere.