Bisogna amare i propri nonni. Questo si è sentita ripetere Alice fin da piccola. Ma quando suo nonno, da poco vedovo, viene a vivere con lei e la madre, la ragazza si rende conto che tale comandamento è inattuabile. Seppur debole e depresso, Andrea esercita su tutta la casa il proprio carattere brutale, portando Marta, la mamma di Alice, a uno stato di totale asservimento. È come se un'intera generazione, con tutti i suoi dettami assurdi e violenti, si fosse insinuata nella vita delle due donne, impestandola di sigarette, imperativi e ricatti. La rabbia di Alice cresce, alimentata dalla brace dei sedici anni. La mamma che conosceva sta scomparendo, e lei si sente impotente: come si fa a liberare qualcuno che non vuole essere libero? Che cos'è veramente l'emancipazione? In un susseguirsi di badanti che vanno e vengono, sbronze liberatorie con gli amici del cuore, litigi con famigliari ciechi e sordi e una fame che non passa mai, Alice comincia a covare desideri bui, a pensare cose che non andrebbero pensate. Il viaggio nel passato della madre, nel paese in cui è cresciuta, e lo svelamento di ciò che ad Alice è sempre stato nascosto risulta un punto di non ritorno: Andrea deve sparire. L'unico modo per affrontare un mostro è diventare un mostro? "L'estate che ho ucciso mio nonno" racconta, in una prima persona sarcastica, fragilissima e schietta, quanto fa male avere sedici anni, quante cicatrici lasciano i legami famigliari, e quanti demoni nasconde la parola amore.
Bardonecchia, Alpi Cozie. Una giovane famiglia residente nel luogo si imbatte per "caso" nel ritrovamento di un oggetto che potrebbe essere antico come il mondo. Lo stupore cederà ben presto il passo alla smania di possesso da parte di qualcuno che in qualche modo si sentirà chiamato in causa. Vero o falso che sia, quell'oggetto porterà molte novità nei cuori degli abitanti del paese e causerà di riflesso cambiamenti reali nelle vite dei protagonisti. Un'avventura che coinvolgerà la mente, l'anima e il cuore.
Anna ha sete. Tutta la città ha sete, da settimane. C'è chi li chiamerà i giorni della Grande Sete, e chi le ricorderà come le Quattro Giornate di Napoli. È il 1943 e l'acqua manca ovunque, tranne che nella casa in cui Anna vive con la sua famiglia. Mentre davanti alla Casa del Miracolo si snoda una fila di donne che chiede quanto basta per dissetarsi, lei si domanda come mai la sua sete le paia così insaziabile. Perché quella che Anna sente è diversa: è una sete di vita e di un futuro di riscatto. A vent'anni vorrebbe seguire le lezioni alla facoltà di Lettere, leggere, vivere in un mondo senza macerie, senza l'agguato continuo delle sirene antiaeree. Ma non c'è tempo per i sogni. Il padre è scomparso, la madre si è chiusa in sé stessa, la sorella e il nipote si sono ammalati. Il loro futuro dipende da lei. Così, quando ne ha l'opportunità, Anna accetta un impiego come segretaria presso la base americana di Bagnoli. Entra in un mondo che non conosce, incontra persone che provengono da una terra lontana, piena di promesse, che incanta e atterrisce allo stesso tempo, come tutte le promesse. La cosa più semplice sarebbe scappare, lasciarsi alle spalle gli anni dolorosi della guerra. Ma Anna non vuole che qualcun altro la salvi. Come Napoli si è liberata da sola, anche Anna deve trovare da sola la sua via di salvezza. La grande sete non è facile da soddisfare. Viene da dentro e parla di indipendenza e di amore per il sapere e, soprattutto, parla del coraggio necessario per farsi sentire in un mondo che non sa ascoltare. Erica Cassano esordisce con una voce potente e profonda, capace di stupire e commuovere, rincuorare e ispirare. "La grande sete" è l'indimenticabile racconto di un piccolo grande mondo, dei suoi silenzi e dei suoi rumori, di un anelito verso qualcosa di più grande che risiede in ognuno di noi.
"Black correva, e se aveva dei pensieri dovevano essere allegri. Guardandolo, mi prese una smodata voglia di correre anch'io: la volevo a tutti i costi quella leggerezza che vedevo in lui». A volerla racchiudere in un'immagine, la vita di Mark è una grande pianura assolata. Un lavoro da broker ben pagato, una bella casa a Londra, una lunga relazione, anche quella piatta, con Susan e una prospettiva di carriera tutta in discesa. Una vita al riparo da qualsiasi imprevisto. Non ricorda un passo in salita, Mark, nemmeno per passeggiare. Ma un giorno, un velo nero lo avvolge e tutta la sua sicurezza si infrange come un vetro. Anche il suo rapporto con Susan si incrina e, in preda a una crisi che non ha visto arrivare, Mark decide di prendersi una pausa. Trascinato dal suo amico Nic, si trasferisce in Italia, nelle Langhe piemontesi, terra di tutto ciò che non ricorda più: piccoli borghi, ritmi lenti, buon vino, un paesaggio che invita a guardarsi dentro. E salite, tante salite, che tolgono letteralmente il fiato. Mentre Mark, sempre più spaesato, dispera ormai di ritrovare se stesso, un nuovo ciclone si abbatte su di lui: Black, un giovane labrador nero che Nic gli affibbia in custodia. Pieno di energia e di voglia di esplorare, Black trascina un riluttante Mark in corse tra i vigneti e in affannosi saliscendi. Poco alla volta Mark comincia a rientrare in contatto con il proprio corpo e con la natura. E scopre con sorpresa che alla fatica di correre in salita corrisponde una gioia mai provata prima. E anche che Black, da impegno dovuto, è diventato la luce delle sue giornate. Così, un giorno, decide di partire con lui per una nuova avventura
Ci inseguirà per tutto il tempo del romanzo. È la voce di un poeta latino del primo secolo avanti Cristo. È la voce di un condannato all'amore di una donna che l'ha straziato e continua a straziarlo rinnovando la smagliante ossessione di un desiderio inesausto. A quella voce sembrano rispondere le vicende di un giovane professore consumato dalla vita coniugale infelice, dalla vita accademica disertata dagli studenti, ma costantemente acceso dalla passione dello studio e, un giorno, dalla lama di luce che riverbera, a sorpresa, negli occhi di una studentessa. E poi ecco la quotidianità di Oxana, la devota badante moldava che si prende cura del Vecchio, e di lui, svagato e pensoso, riconosce il vento felice di una ossessione che lo sorprende, come dovesse tutto a un tratto essere lama di luce, un limpido verso latino, e amore, antico amore. Maurizio de Giovanni ci accompagna dentro tre storie parallele, dove i personaggi si rivelano figli di un solo destino, e sembrano cercarsi e riconoscersi, e infine conoscere noi.
Isla Pixol, Golfo del Messico, 1929. Harrison Shepherd nuota. In quel luogo tropicale, lontano dalla Virginia dove è nato, è sempre attratto dal mare, in particolare dalle misteriose insenature che chiamano cenotes, grotte effimere che si formano a seconda dell'umore delle acque e nascondono meraviglie. Un mondo nuovo, sfavillante di colori, pieno di bellezza liquida e silenzio. Lui riempie il tempo leggendo romanzi e osservando i movimenti delle maree. Anche se il mare non va sfidato, come gli ricorda Leandro, il cuoco della tenuta dove vive con sua madre e il nuovo patrigno: può essere fatale per un ragazzino di tredici anni che crede di saperne più di Dio solo perché legge tutto il giorno. Harrison ha da poco iniziato a riversare le sue fantasie in un diario, uno spazio tutto suo, una grotta nascosta negli anfratti di quel mare imprevedibile che è l'esistenza. Harrison non ne ha ancora idea, ma scrivere sarà il suo destino, il suo diario assumerà varie forme nel corso del tempo, delle sue varie vite. Vite in cui, dopo il mestiere di cuoco imparato da Leandro, diventerà aiutante di Diego Rivera, confidente di Frida Kahlo, segretario del loro illustre ospite clandestino, quel Lev Trockij esule a Città del Messico. Si ritroverà immerso nell'arte, nella rivoluzione, nella violenza. In un amore impossibile. Sarà voce narrante di anni bui e cruciali tra il Messico e gli Stati Uniti, dominati da venti politici impetuosi che lo trascineranno da nord a sud, in trame sempre abbacinanti, sospese tra verità e apparenza.
Un pomeriggio d'inverno, freddo da spezzare le ossa, Bina si ritrova sola. Ha ottantatré anni e aspetta suo nipote al parco del Cinghio, un quartiere da cui è meglio tenersi alla larga ai margini di una cittadina perbene. Marta, che di anni ne ha venticinque, e che al Cinghio è cresciuta imparando che il mondo è storto e non lo si può aggiustare, la osserva dalla finestra: la vede farsi rigida su una panchina sfondata, il naso gocciolante, un berretto rosa calato sugli occhi spauriti. Decide di offrirle un tetto per la notte. Poi per la notte dopo e per quella dopo ancora. Marta finisce così per prendersi cura di Bina, e intorno a lei, a proteggere quaranta chili di ossa e grinze, si stringono gli abitanti dell'intera palazzina. Poche strade più in là, Fabio viene preso a pugni: ha sgarrato con la persona sbagliata ed è nei guai, grossi guai. Fabio è il nipote di Bina e, mentre Marta prepara il letto per la nonna, lui bussa alla porta di Genny, un'ex prostituta in grado di raccogliere i cocci altrui senza fare domande. Bina e Fabio vivono giorni sospesi, in un luogo duro e sconosciuto, nell'attesa che qualcosa accada. Qualcosa accadrà. E il destino rimescolerà il mazzo, distribuendo ai giocatori nuove carte. Quei giorni freddi si faranno via via più caldi dentro le palazzine di appartamenti rattoppati: tra coperte rimboccate, il rumore del caffè che sale nella moka, il profumo del sugo e una carezza sulla fronte, Marta, Bina, Fabio e Genny scopriranno che dietro ogni abbandono, nascosti sotto ogni solitudine, sopravvivono sempre la forza di amare e il bisogno di prendersi cura l'uno dell'altro.
Roma 1943: un gruppo di giovani donne fonda l'Associazione Guide Italiane, l'AGI (in seguito confluita nell'AGESCI - Associazione guide e scout cattolici italiani). L'iniziativa nasce nella clandestinità, dato che il regime fascista non ammette programmi educativi che esulino dal suo controllo. Inoltre, occupandosi dell'educazione femminile, l'Associazione infrange un tabù, che non concepiva che bambine e ragazzine avessero accesso alle stesse attività riservate ai loro coetanei. Il libro dà voce a quella voglia incontenibile, che come un fiume carsico ha attraversato la nostra storia: formare donne preparate a prendere in mano il proprio futuro e a dare un contributo fondamentale alla ricostruzione dell'Italia del Dopoguerra. E, in forma romanzata, racconta la nascita e i primi sviluppi dell'AGI, tra timori e speranze, entusiasmi e difficoltà.
«Volevamo essere avventati e liberi di sbagliare, sì, soprattutto di sbagliare». L'educazione sentimentale, politica, sessuale di un'adolescente nella seconda metà degli anni Sessanta, tra feste e proteste, risate e pianti, sogni arditi e drammatici risvegli. Un romanzo che trascina dentro la magia e il mistero della giovinezza. Roma, 1967. Sara Mei è stanca di essere una bambina. La terra di mezzo del ginnasio, su cui è appena approdata, già non le basta più. Il suo sguardo punta dritto ai piani superiori della scuola, dove ci sono le classi del liceo. Ad affascinarla è soprattutto un gruppo di ragazze spavalde, portatrici di una femminilità che ancora non conosceva: una femminilità "non" rassicurante. Una di loro ha un fratello, Saverio. È bello, colto, impegnato: impossibile non innamorarsene, anche se lui sembra sempre perso in pensieri immensi, o sospeso fra le note del suo pianoforte. Coraggiosa, piena di ironia, Sara si butta senza rete nel vortice di cambiamento che travolge la società. Passa senza sosta dal "Piper" ai cineforum, dalle prime impacciate esperienze con i maschi ai contrasti familiari, soffre e gioisce insieme alle amiche. Vive una stagione irripetibile, diverte, si diverte, sboccia. E arriva il 1969. Un anno incredibile, il 1969. Per il mondo è l'anno dello sbarco sulla luna, per Sara quello in cui si scopre grande, per una generazione, la sua, quello in cui le illusioni si sbriciolano nel fragore di una bomba. «Ci vuole una discreta tempra e tanto coraggio per fare una rivoluzione e io, per quanto mi fingessi spavalda, non mi sentivo all'altezza. Ero un po' vigliacca e molto ignorante, ma almeno non ero più sola. Lola mi stava abbracciando e il suo profumo che sapeva di spezie orientali (mi pare si chiamasse patchouli) lentamente mi rianimava. L'amicizia è più potente dell'amore. L'amicizia guarisce e salva e ti assegna un posto nel mondo. E anche se io ero stonata come una campana non se ne sarebbe accorto nessuno perché le mie amiche avrebbero cantato in coro con me. Non c'erano più solo loro adesso, eravamo diventate noi».
Lunedì 8 gennaio 2001, verso le sette di sera, nel giardino di Villa Altachiara a Portofino, scompariva la contessa Francesca Vacca Agusta, per anni protagonista del jet set italiano e internazionale. Prendeva il via quella sera un'indagine che avrebbe riempito le cronache di giornali e tv per settimane, mesi e anni, senza soluzione né requie neppure quando, una ventina di giorni più tardi, il cadavere venne ritrovato in mare, a pochi metri da una baia in Costa Azzurra. Come e perché cadde dalla rupe la contessa? Chi c'era con lei quella sera? Qualcuno la spinse o si trattò di una fatalità? Ricostruendo come in un puzzle questa vicenda intricata e mai chiarita fino in fondo di amori e disamori, di droghe ed eredità milionarie, di yacht da sogno e flussi di denaro da incubo, che spazia dalla Liguria alla Lombardia, dalla Svizzera alla Tunisia, da Miami ad Acapulco, Valerio Aiolli scrive un romanzo inquietante come un noir e prova ad afferrare una risposta che sfugge, alternando il punto di vista dei principali personaggi coinvolti, le dichiarazioni rilasciate e gli articoli che hanno coperto la vicenda. In un serrato dentro e fuori da Villa Altachiara, rivive dunque non solo Francesca Vacca Agusta ma anche la storia industriale, politica e di costume del nostro paese.
Nel cuore nero del cosmo, sei astronauti viaggiano in orbita attorno alla Terra, a bordo di una stazione spaziale. Vengono dall'America, dalla Russia, dall'Italia, dalla Gran Bretagna e dal Giappone, e sono partiti per studiare il silenzioso pianeta blu, su cui scorre intensa la vita da cui sono esclusi: un matrimonio in crisi, un funerale, un fratello ammalato, un tifone che minaccia devastazione. Li vediamo nei brevi momenti di intimità in cui preparano pasti disidratati, fanno ginnastica per non perdere massa, dormono a mezz'aria in assenza di gravità, stringono legami tra loro per sottrarsi alla solitudine. Ognuno è preso dai propri pensieri e dal proprio passato terrestre, ma più scorre il tempo più cominciano a sentirsi parti di un unico corpo - Pietro la mente, Anton il cuore, Roman le mani, Chie la coscienza, Shaun l'anima e Nell il respiro. Profondo e commovente, Orbital è un canto d'amore alla bellezza dell'universo e del nostro pianeta, che osservato da lontano diventa prezioso e precario, un gioiello sospeso nell'infinito, un paradiso da proteggere. Con voce incantata, Samantha Harvey ci ricorda che di fronte all'immensità del tempo e dello spazio siamo solo piccole foglie al vento, e che la nostra esistenza è scritta dal futuro che riusciamo a sognare.
Sipario. In scena quattro generazioni della famiglia Telfair, scalpellini neri di Louisville, Kentucky. Il protagonista, Ben, ha imparato dal nonno Papaw che «un muro è fatto allo stesso modo in cui è fatto il mondo. Una casa, un tempio». Così, ora che la vocazione del taglio della pietra in famiglia si va esaurendo, Ben dovrà fare come la casa e il tempio, e come quelli resistere e restare. L'ultima opera ancora inedita dell'autore di "Il passeggero" e "La strada", l'unica nata in forma teatrale, vede la stampa dopo quasi quarant'anni dalla sua stesura, e incastona la tessera finale in un mosaico immaginifico che non cessa di stupirci. Scritto alla fine degli anni Ottanta, poco dopo "Meridiano di sangue", pubblicato nel 1994, contemporaneamente alla "Trilogia della frontiera", il dramma in cinque atti "Il tagliapietre" non ha avuto la stessa fortuna dei capolavori suoi coevi e non ha mai visto una rappresentazione scenica se non parziale. Perché? Ben Telfair, protagonista dell'opera nonché suo deus ex machina, chiamato a riflessioni dall'alto peso specifico, è uno scalpellino nero poco più che trentenne che ha abbandonato gli studi in psicologia per dedicarsi alla lavorazione della pietra come suo nonno, l'ultracentenario Papaw. A legare i due uomini non c'è solo l'arte della costruzione muraria - «il mestiere» come Papaw ama definirlo, quasi non ve ne fossero altri. Ciò che Ben ha scelto di abbracciare è un intero sistema di valori, improntato a rettitudine e onestà. Il resto della famiglia ha scelto diversamente: la moglie di Ben, Maven, ambisce alla professione di avvocato; suo padre, Big Ben, alla pietra ha preferito il cemento e le ricchezze che è in grado di produrre, mentre suo nipote, Soldier, ha fatalmente ripudiato un materiale come l'altro. Ben ha radici solide e crede di poter aggiustare tutto. Ma non può. Per quale ragione, dunque, questo quintessenziale paladino mccarthiano non ha mai trovato posto su un palcoscenico? Troppo ricco il linguaggio, è stato detto, dilatato fra il dialetto del Sud e la solenne prosa biblica, troppo metafisico il sottotesto, troppo ardito l'alternarsi dei due Ben sulla scena. Forse, invece, "Il tagliapietre" ha solo scontato un gap temporale. Ora, dopo i dialoghi serrati di Bianco e Nero in "Sunset Limited" e la resilienza testarda del padre in "La strada"; dopo le struggenti peregrinazioni di Bobby Western nel "Passeggero", è tempo che anche Ben Telfair si unisca alla schiera degli eroi mccarthiani che portano il fuoco e che "Il tagliapietre" vada a occupare il posto che gli compete.