Storici, romanzieri, inquisitori, eruditi, sciamani, poeti, falsari. Montaigne, Voltaire, Stendhal, Auerbach, Kracauer. Chi è Israel Bertuccio? Una riflessione sul mestiere dello storico oggi e sul mutevole rapporto tra verità storica, finzione e menzogna attraverso una serie di casi. Carlo Ginzburg (Torino 1939) ha insegnato a lungo a Bologna. Dal 1988 insegna all'University of California, Los Angeles (Ucla).
Un lungo viaggio di oltre un secolo nella memoria delle generazioni, per mettere in luce le radici dell'Italia più contemporanea, l'identità morale, il pensare collettivo nella società e l'azione politica dai ceti dirigenti al popolo. Una mappa storica dei valori, delle passioni e dei conflitti degli italiani.
La mattina del 30 gennaio 2002 Annamaria Franzoni entra nella sua casa di Cogne, nella sua camera da letto, e trova il figlio Samuele, di tre anni, agonizzante a causa di profonde ferite alla testa. Samuele morirà pochi minuti dopo, sull'elicottero che lo sta portando all'ospedale. Cominciano le indagini, i sopralluoghi, le polemiche. L'assassina è la madre. Per forza. In questo libro, Annamaria Franzoni ricostruisce in prima persona la sua drammatica vicenda, che ha suscitato l'attenzione morbosa dei media e ha lacerato l'opinione pubblica: l'atroce storia di una donna, di una madre, cui viene strappato il figlio nel modo più crudele, e che deve affrontare la terribile accusa di averlo ucciso lei.
Semplicità equivale a buon senso, a equilibrio: questo l'insegnamento che sembriamo trarre sempre di più dalla vita di tutti i giorni. Ci ribelliamo contro la tecnologia, sempre più complicata e contorta, contro i lettori DVD in cui ormai non si contano menu e funzioni o, ancora, contro i software che immancabilmente si accompagnano a veri e propri manuali di istruzioni. L'iPod e il suo straordinario successo lo dimostrano: la semplicità, specie nell'era digitale, è la carta vincente. Uno studioso del MIT ha fatto di questo affascinante tema l'oggetto delle sue incessanti ricerche e ci propone qui un semplicissimo e tuttavia denso trattatello sulla semplicità, scritto per permettere ai lettori di comprenderne i fondamenti e di esplorarne i legami con il design, la tecnologia e la vita in generale. Concepito secondo lo stesso criterio di semplicità, il libro di Maeda illustra le dieci leggi fondamentali di questo concetto, dalla più semplice ("Riduci") alla più complessa ("Semplicità significa sottrarre l'ovvio e aggiungere il significativo"): dieci leggi concentrate in poco più di cento pagine, di modo che anche la lettura e il tempo necessario a compierla siano all'insegna della semplicità e diano modo a chiunque di far proprie le linee guida di questa affascinante teoria anche durante la pausa pranzo o un volo di breve durata.
L'uomo moderno è raramente consapevole del fatto che dietro gli infiniti segni che lo circondano nella vita di tutti i giorni e dietro i gesti più banali che ripete quotidianamente, si nasconde un brulichio di miti semidimenticati e di simboli decaduti. Dai segni più banali - per esempio stringersi la mano in segno di pace, fare le corna all'indirizzo di chi riteniamo ci abbia fatto uno sgarbo - alle manifestazioni più vistose della nostra civiltà - i giganti di cemento che grattano il cielo, il paradiso perduto e ritrovato: di questi e altri simboli eternamente ricorrenti nella storia dell'uomo anche se sotto forme di volta in volta diverse, Seminara ripercorre la storia a ritroso fino alle loro più remote origini, in quel momento magico che fa da spartiacque tra le tenebre della preistoria e la luce della storia.
La letteratura sulla mafia si accresce ogni giorno di nuovi titoli, ma i contributi scientifici non sono molto numerosi e anch'essi spesso ripropongono stereotipi o usano paradigmi che colgono solo alcuni aspetti del fenomeno mafioso. Questo saggio passa in rassegna gli studi più recenti su mafia e altre forme di criminalità organizzata ed espone le linee essenziali di un "paradigma della complessità" che legge la mafia come fenomeno polimorfico e pone al centro dell'analisi l'interazione tra gruppi criminali e contesto sociale, un modello che può applicarsi anche ad altre organizzazioni. Ritardi e carenze degli studi sulla criminalità organizzata, che costituisce uno dei fenomeni più preoccupanti della società contemporanea, pongono un problema di fondo: i saperi separati sono messi in crisi dalla complessità, ma l'interdisciplinarietà è più predicata che praticata. Il futuro delle scienze sociali è legato a una scelta di lavoro comune, ma ancora oggi, di fronte a mutamenti del contesto che richiedono un profondo mutamento degli strumenti cognitivi, il pluralismo metodologico suscita consensi a cui non seguono pratiche conseguenti.
"Mi chiamo Somaly; o, per lo meno, così mi chiamo adesso. Come tutti, in Cambogia, di nomi ne ho avuti parecchi. Un nome deriva da una scelta provvisoria, lo si cambia come si cambia vita se la sfortuna si accanisce contro di noi, per esempio. Ma non mi ricordo bene dei nomi che ho avuto quando ero piccola. Del resto, non ricordo quasi niente della mia prima infanzia; non so granché delle mie origini e ho ricostruito a posteriori, da vaghi ricordi, quel minimo di storia che sto per raccontarvi..." Nata nella poverissima campagna cambogiana, dove i genitori arrivano a vendere i propri figli all'età di cinque o sei anni per pochi soldi, Somaly Mam, oggi trentacinquenne, ha vissuto parte dell'adolescenza in un bordello, in condizione di schiavitù. Violentata, picchiata e torturata, è riuscita a sottrarsi al suo destino e insieme al marito Pierre Legros ha creato nel 1997 un'associazione no-profit, la AFESIP (Agir pour les femmes en situation précaire) che dalla Cambogia, dove ha la sede principale, si è rapidamente sviluppata in Tailandia, Vietnam e Laos. Nonostante abbia subito numerose minacce, finora Somaly Mam è riuscita a salvare dalla prostituzione e dalla schiavitù migliaia di ragazze. "Il silenzio dell'innocenza" racconta la sua storia, la storia di migliaia di persone come lei, il dolore e la rabbia, ma anche la speranza che il mondo possa cambiare.
Insulto, esplosione verbale che oltraggia, ingiuria, improperio, insolenza: la parolaccia è una costante del comportamento umano, una corrente elettrica che attraversa da sempre il linguaggio individuale e collettivo, come testimoniano gli storici della lingua, datando dagli esordi della comunicazione verbale della specie l'apparizione delle parolacce, in ogni civiltà, e rintracciandone le evenienze in ogni tempo. Non è un fenomeno casuale: i neurologi sono riusciti a stabilire che nel cervello esiste un'area espressamente dedicata all'elaborazione e all'invenzione degli insulti. Vito Tartamella rintraccia una storia che delinea una democrazia del linguaggio: le parolacce sono pronunciate dai più incolti, ma entrano di diritto nella storia della letteratura (non solo antica, come dimostrano i noir più celebri dei nostri giorni) e nelle vicende di cronaca, a volte arrivando a vette storiche memorabili (come nel caso celebre del generale Cambronne). In realtà, che cosa sono le parolacce? Perché si dicono? Che effetto hanno sull'ascoltatore? Come si pronunciano all'estero? A questa serie di domande, e ad altre che riescono a sortire un effetto esilarante, Tartamella risponde ricorrendo alle teorie linguistiche e ai risvolti scientifici, e affiancando aneddoti, curiosità e bizzarrie a questo impazzimento del linguaggio che, da Aristofane a Benigni, è una delle componenti più continue e sorprendenti della storia della comunicazione umana.
Quello che non si doveva dire è quello che Enzo Biagi non ha potuto dire in televisione negli ultimi cinque anni, da quando è stato bandito dagli schermi dopo l'"editto bulgaro" di Berlusconi. Questo libro è dunque una sorta di rivincita: un viaggio attraverso i temi dell'attualità che Biagi e Loris Mazzetti avrebbero trattato nella fortunata rubrica "Il fatto". Un incontro con i ragazzi di Locri il giorno dopo l'omicidio di Francesco Fortugno. Un'inchiesta sulla criminalità organizzata che dal Sud ha portato i suoi affari al Nord, mentre la parola "mafia" è sparita dal tavolo della politica per riapparire solo con l'arresto del boss Bernardo Provenzano. Una commossa riflessione sull'omicidio del piccolo Tommaso, ucciso da una banda di balordi e sepolto sulle rive del fiume Enza. Un itinerario nelle sofferenze dell'Africa, dalle bidonville di Nairobi ai malati di Aids, dalla schiavitù del Sudan ai bambini soldato. I massacri in Iraq: bambini, donne e uomini, vittime innocenti, i morti di Nassjiria, le due Simone, Enzo Baldoni, Giuliana Sgrena e la responsabilità della morte di Nicola Calipari. E la politica, con la sconfitta elettorale di Berlusconi e l'arrivo di Prodi a Palazzo Chigi, con un'eredità molto pesante e un paese spaccato in due. Per finire, Biagi regala ai lettori un viaggio nel suo passato, "prendendo ad esempio, per farmi capire meglio, alcune parole che nella mia vita hanno avuto un senso: coraggio, coerenza, umiltà, libertà, rispetto, giustizia, tolleranza, solidarietà".
L'Occidente ha sempre inseguito il sogno di carpire i segreti della Cina, della sua prodigiosa vitalità e ricchezza. E la Cina non ha mai amato troppo l'interesse degli stranieri, ai quali ha spesso fatto credere ciò che volevano credere. Cosi, in un raffinato gioco di schermi e di specchi, è nato un altro paese: la Cina degli occidentali. Rappresentato bene da un nome - Cina - che viene utilizzato solo in Occidente. Di volta in volta, questa Cina immaginaria è stata terra di immense ricchezze (XVII secolo), modello di ogni buona amministrazione (XVIII), pronta all'Occidente e alla Cristianità (XIX), rivoluzionaria pacifica e virtuosa (negli anni della rivoluzione culturale maoista). Oggi quel paese appare interessato solo al denaro e all'economia. Ma esiste un'altra Cina, al di questo luogo sognato nello specchio occidentale? E come riconoscerla? Zhou Enlai non avrebbe dubbi, come disse a Henry Kissinger: "I misteri cinesi scompaiono in un solo modo, studiando".
Allevato in Romagna da genitori insegnanti che sperimentarono su di lui la nuova didattica degli anni sessanta, Daniele Luttazzi ha imparato a rendere la propria alienazione interessante, radunando nel tempo un seguito di appassionati che amano il suo umorismo cinico e sarcastico. In questo libro Luttazzi "spara" contro la disinformazione, la pigrizia elettorale, le legnate inferte ai princìpi della democrazia, contro la "chiesa oscurantista" e contro la "sinistra inconcludente", e naturalmente contro mister B. Una parte del libro è dedicata al racconto su un maggio in Iraq per intrattenere le truppe italiane al fronte.
Vandalo è chi distrugge l'antico. Ma non solo. Vandalo è chi distrugge l'antico perché la città assuma una fisionomia più consona a interessi privati e non pubblici, perché il suo territorio venga spremuto al pari di una risorsa dalla quale ricavare quanto più reddito possibile. La degradazione della storia e della sua eredità, la manomissione della natura non sono solo violazioni inammissibili di quanto il passato ha elaborato. Sono anche uno dei modi di essere dell'Italia in quegli anni. Questo libro dà il tono di un paese che sarebbe potuto essere diverso da com'é.