Il pantano di Baghdad e il supermarket della camorra, le madri in piazza a Buenos Aires e Srebrenica e la carneficina indigesta delle foibe, l'industria degli ingressi clandestini in Italia e le bombe al fosforo su Falluja, la rivolta Tav in Val Susa e le lacrime per Arafat. Grande cronaca, grandi storie. Ma anche cronaca minuta, piccole vicende, come la multa per porto abusivo di burqa in un paese del Friuli o il malloppo di una rapina restituito alla banca nel bronx di Milano. Interventi "eretici", indocili, dispettosi, solitari, affrancati, da cui emerge una visione non pregiudizievole e libera dagli steccati ideologici della realtà italiana e internazionale. Storie contraddittorie, perché sono proprio quelle per Toni Capuozzo il sale per chi è chiamato a raccontare ciò che accade.
Nel duomo di Naumburg, nella Germania centro-orientale, la statua medioevale di Uta di Ballenstein affascina da secoli i visitatori. Il passaparola tra chi rimane colpito dalla sua altera bellezza già vi aveva ravvisato l'archetipo di uno dei cattivi cinematografici del Novecento: la regina di Biancaneve e i Sette Nani. Era un passaparola ben fondato: molti indizi confermano che proprio Uta di Naumburg è il modello della crudele matrigna di Biancaneve. Questo libro singolare rivela come e perché ciò sia accaduto. Il racconto della trasformazione di Uta in Grimilde diviene così una vera e propria spy story tra Germania e Stati Uniti negli anni che precedono la seconda guerra mondiale: ne sono protagonisti non solo Walt Disney e i suoi collaboratori ma anche Marlene Dietrich, Leni Riefenstahl e il Dottor Gobbels.
Trionfano l'economia e la finanza globalizzante, ma crescono le disuguaglianze tra i pochi che accumulano fortune enormi e le masse dei diseredati. E, con la crisi dello stato sociale, diventa sempre più difficile garantire il rispetto della dignità degli umili, e di conseguenza anche di quella dei ricchi e dei potenti. Come realizzare la giustizia sociale evitando le "turbolenze" dei più poveri? Una risposta giunge da un'epoca curiosamente simile a quella contemporanea, quando alcuni grandi miliardari americani d'inizio Novecento si fecero portatori di una vera e propria "buona novella", simile a quella praticata oggi dalle grandi star dell'economia e dello spettacolo: la filantropia. Una sorta di correttivo delle inevitabili disuguaglianze del capitalismo selvaggio e dell'accumulazione di enormi capitali nelle mani di un singolo o di una multinazionale. Un apostolo della filantropia è Andrew Carnegie, il magnate delle ferrovie americane che dopo una vita da capitano d'industria iniziò all'inizio del secolo scorso una intensa attività filantropica. Questa edizione del suo "vangelo" illustra i presupposti storici e filosofici della sua filantropia e soprattutto ne mette a confronto i principi ispiratori con le versioni attuali.
Mao Tse Tung è un leader che ha lasciato un'impronta indelebile sulla storia del secolo. La sua rivoluzione ha cambiato la Cina, ha contribuito a trasformare radicalmente le condizioni di vita di centinaia di milioni di persone: il popolo più numeroso del pianeta. Ma allo stesso tempo, sotto Mao e per colpa sua il popolo cinese ha subito tragedie e sofferenze atroci. Oggi il bilancio degli storici è pressoché unanime nel considerarlo responsabile di un numero immane di vittime, probabilmente fino a 70 milioni di morti. Ma nonostante questo dato, nella Cina contemporanea il mito del Grande Timoniere resiste, soprattutto nella forma di colui che ha scacciato l'invasore giapponese e ha fondato una repubblica popolare unita e stabile. Mao, insomma, è stato trasfigurato in un mito patriottico, capace di alimentare atteggiamenti nazionalistici contro Taiwan, il Giappone e persino Hong Kong. Federico Rampini attraversa la Cina e le sue regioni confinanti sulle tracce di Mao. Ripercorre i luoghi in cui si è svolta la vicenda storica del Grande Timoniere: dalla regione natale dell'Hunan, fino al Tibet che si vide invaso dalle sue truppe nel 1950; dalla Pechino della rivoluzione culturale, raccontata attraverso la testimonianza di chi è sopravvissuto, fino alla Corea del Nord, che del maoismo è un tragico epigono, per raccontare in che modo un solo uomo ha dato forma a un paese e quale è stata la sua pesante eredità.
All'inizio del terzo millennio l'umanità attraversa una crisi senza precedenti: alle nuove problematiche che hanno fatto irruzione sulla scena mondiale della globalizzazione e delle telecomunicazioni, si accompagnano le domande che da sempre hanno segnato il cuore dell'uomo, relative a quelle esigenze di bellezza, verità e unità - cioè, in ultima analisi, di felicità che accomunano gli uomini e le donne di ogni tempo. L'umanità, confusa e smarrita, ha bisogno oggi più che mai di maestri cui poter guardare, per trarre dal loro esempio e dalla loro parola quegli insegnamenti che soli possono essere luce e guida sicura ai passi dell'esistenza. Da Madre Teresa di Calcutta a Joseph Ratzinger, da Giovanni Paolo II a don Giussani, da Jean Guitton a Giovanni Testori e altri ancora, le voci e le testimonianze di quei giganti del pensiero e della carità che, secondo il proprio carisma, hanno instancabilmente indicato all'uomo la via per dare compimento alle proprie attese di felicità.
In Italia, il pezzo di carta più utile non è un titolo di studio, ma una lettera di raccomandazione. La prevalenza della spintarella non è folklore o semplice malcostume: soffoca la meritocrazia, blocca la mobilità sociale e dà fuoco alle polveri della guerra tra generazioni. Tra inchiesta, denuncia e resoconto di vita vissuta (e lavorata), questo nuovo libro di Giovanni Floris non risparmia le stoccate polemiche: contro la generazione del '68, ex rivoluzionari bravissimi a occupare posizioni di potere e a non mollarlo più; contro il mito dell'efficienza del settore privato (che in realtà è stagnante quanto quello pubblico); contro la sinistra stessa, incapace di comprendere che il ritorno della meritocrazia dovrebbe essere la chiave della sua azione politica. Per impedire che chi nasce ricco continui ad arricchirsi, mentre i poveri muoiono poveri.
C'è un mestiere del quale spesso si parla ma di cui in realtà si sa pochissimo. Il mestiere del poliziotto, il cosiddetto "sbirro". Rispettati, detestati, temuti ma mai realmente conosciuti, gli sbirri sono persone che hanno fatto una scelta lavorativa e di vita netta, carica di implicazioni, socialmente rilevante, che può tradursi in grandi soddisfazioni ma, in molti casi, è motivo di fraintendimenti e di frustrazioni. Per restituire visibilità e senso a un'esperienza troppo spesso trascurata, dei giornalisti diversamente impegnati in prima linea nell'indagine della realtà hanno raccontato ognuno la storia, umana e quotidiana, di un poliziotto (e di una poliziotta) di oggi tra rischi, difficoltà, speranze, sogni. Spaziando dall'antiterrorismo all'antimafia, dalla scientifica alla Digos, dalla criminalità organizzata all'ordine pubblico e agli stadi, un grande affresco a più voci di un mondo complesso e contraddittorio.
Che fine ha fatto la Rai di cinquant'anni fa? Quella dei grandi sceneggiati, delle commedie musicali di Garinei e Giovannini, di Canzonissima, quella delle grandi inchieste e della Tv dei ragazzi, quella di Carosello e poi i bimbi tutti a letto? Che fine ha fatto quella Rai che, prima di tutto, era e si sentiva servizio pubblico? Per capire che cosa è diventata oggi la televisione di Stato, Loris Mazzetti si interroga su chi comanda davvero, chi prende le decisioni e chi preferisce non prenderle. Si chiede che rapporto ci sia tra il potere e l'informazione. E perché in questi ultimi anni la politica si sia fatta così invadente, occupando tutti gli angoli di uno spazio non suo. Un viaggio per i corridoi della grande mamma, tra editti bulgari, valzer di poltrone, oscuramenti ed epurazioni, al cuore di un mondo sempre più immobile e opaco. Per i contribuenti, e per porre un freno alla cattiva qualità dei programmi, bisogna lasciar fare la televisione a chi la sa fare, con rispetto e senza demagogia, con la consapevolezza che ci si rivolge a milioni di persone. E che, come dice Enzo Biagi, l'unico vero padrone è quello che paga il canone.
Per la scuola italiana sono anni difficili. Se si prende in esame soltanto l'ultimo periodo, ci si accorge di quanto ne si è letto sulle pagine sbagliate, quelle di cronaca (con una progressiva e allarmante deriva verso la "nera"). Le sfide aumentano e la scuola sembra perderle tutte, smarrendo insieme la propria credibilità e il poco che resta del prestigio istituzionale che dovrebbe contraddistinguerla. Gli insegnanti, identificati come gli artefici e le vittime di questo fallimento, sono impegnati a destreggiarsi tra studenti sempre più difficili da capire e coinvolgere, obblighi ministeriali spesso poco comprensibili e genitori a volte ostili. È attraverso i loro occhi e le loro storie, dense di speranze, delusioni, aspettative e frustrazioni, che Marco Imarisio, spostandosi di città in città, scuola dopo scuola, docente dopo docente, dipinge il quadro critico del sistema scolastico, e dell'Italia, di oggi.
L'avvocato è una figura difficile per la democrazia. Soprattutto quando difende i potenti, i ladri, i mafiosi, gli assassini o i terroristi. Non sembra un garante della giustizia, ma un soldato del nemico. Viene pagato, in molti casi profumatamente. Eppure proprio l'avvocato che difende il colpevole, magari lavorando d'astuzia e abilità fra le maglie del diritto, è garanzia essenziale per il cittadino onesto. Finché l'avvocato è libero di scegliere il cliente che vuole, il cittadino che non ha commesso reati sa che qualsiasi cosa gli accada, in qualsiasi circostanza si trovi, potrà avere un difensore. La garanzia che il colpevole sia difeso rassicura l'innocente. E alimenta la democrazia.
Nel carcere di Breslavia, pochi mesi prima di venire trucidata, Rosa Luxemburg assiste a una scena di inusitata violenza nei confronti di due animali, e la descrive in una lettera alla sua amica Sonia Liebknecht. Da quel breve testo si dipartirà nel tempo una serie di cerchi concentrici, come se una stessa goccia di esperienza non potesse non far scaturire altre parole illuminanti, che provengono - per vie imprevedibili - da Karl Kraus, da Kafka, da Canetti, da Joseph Roth e da un'ignota lettrice della "Fackel". Questo è un piccolo libro polifonico, fondato sull'affinità delle voci e convergente verso uno stesso punto: la muta sofferenza animale.