Il libro di Isaia è il testo profetico più noto, più citato dal Nuovo Testamento e più utilizzato nella liturgia, sia ebraica che cristiana. Lo rendono singolare la complessità della sua struttura interna, frutto di una stratificazione redazionale in cui sono riconoscibili almeno tre autori e che rispecchia le tappe fondamentali della storia di Israele, e la sostanziale unitarietà del suo messaggio. Il volume raccoglie gli studi storici ed esegetico-teologici dedicati a Isaia nell'annata 1999 della rivista "Parole di vita", riveduti e aggiornati alla luce della bibliografia più recente.
Un libro frutto del lavoro di diversi esperti che studiano, sotto molteplici punti di vista, il ruolo e l'importanza dell'Evangeliario nella liturgia: dall'analisi dei criteri che hanno ispirato la scelta delle pericopi, a quella della funzione rituale - ampiamente illustrata da diverse prospettive - di questo specialissimo libro, fino al suo rapporto con l'assemblea celebrante, con gli oggetti e gli spazi sacri e, quindi, con l'arte cristiana.
"Ti amo", dice ogni innamorato alla sua amata. "Tu sei amore", dice san Francesco al suo Signore nei giorni in cui sul monte della Verna riceve il sigillo delle stimmate. Questo libro parla dell'amore, in particolare di quello tra l'uomo e la donna, che è l'archetipo di ogni altro amore umano. L'autore, partendo dalla prospettiva antropologica e biblica, tenta di analizzare l'amore dall'angolazione specifica della spiritualità francescana. San Francesco è stato definito "l'araldo dell'amore". Si è innamorato, si è appassionato alla vita, ha sognato e ha sofferto pene d'amore, ha parlato d'amore. Al centro del suo "discorso amoroso" tuttavia c'è più la vita che le parole. La sua regola è il Vangelo che si riassume nella legge dell'amore: per questo ancora oggi ci affascina.
Leggere la Bibbia non è facile. La distanza cronologica e culturale tra gli autori dei testi in essa contenuti e il lettore odierno è tale che non se ne può cogliere il significato se non si è in possesso di alcune conoscenza riguardanti il tempo, la cultura, la lingua, la storia, le credenze di coloro che scrissero il libro fondamentale per la fede dei cristiani. Queste pagine rappresentano - nella loro semplicità e concisione - una preziosa introduzione generale alla Sacra Scrittura e vogliono condurre il lettore ad una maggiore consapevolezza nell'ascoltare, celebrare e vivere la parola di Dio. Ascoltando si scoprirà così il suo aspetto di Parola divina, scritta, umana, trasmessa. Celebrandola si potrà apprezzare il suo carattere canonico, ispirato e vero. Vivendola verrà alla luce il suo volto storico, ecclesiale, attuale.
"Signora", "santa" e "altissima", la povertà francescana è stata spesso fonte di conflitti interminabili dovuti al modo di interpretarla. Cos'è infatti la povertà? Perché per Francesco è così importante e dirimente? In cosa, per lui, differisce dalla povertà praticata dagli eremiti e dai cenobiti? Soprattutto qual è il suo rapporto con il Cristo, il messia inauguratore dei tempi nuovi? Confrontandosi con tali interrogativi, Carmine Di Sante propone una chiave di lettura della povertà francescana che ne individua il senso nella categoria della disappropriazione, istitutiva di una "economia" la cui legge è quella del dono e della giustizia. Nella radicalità di questa ermeneutica si comprende perché la povertà francescana dischiude una nuova forma dell'umano un nuovo modo di abitare il mondo - che mai come oggi appare attuale, come possibile via per uscire dalla crisi della civiltà in atto, alla ricerca di un umanesimo e di un'antropologia alternativi alla volontà di potenza e di dominio.
Come già molte volte accaduto nella storia, le maggiori situazioni di lotta e di rivolta sulla scena mondiale si ammantano e si alimentano di legittimazione religiosa. Chi continua a non cogliere l'importanza che le escatologie religiose e le ideologie salvazioniste hanno sul comportamento degli attori politici, non è affatto in grado di intercettare alcune cause 'profonde' dei contrasti che scuotono la nostra epoca, né di intervenire efficacemente su di essi. Il libro mostra come per l'emersione delle più cruente e disumane forme di violenza politica risulti decisivo l'apporto di idee morali e di schemi di salvezza di matrice religiosa, e come il terrorismo e la sovversione siano spesso sollecitati da un preciso modello di liberazione umana, la concezione apocalittico-millenaristica della storia: per cui, in tanti sommovimenti storici antichi, moderni e contemporanei (comprese le Rivoluzioni ritenute 'secolari') la Weltanschauung antagonista propria di tale escatologia ha esercitato un puntuale influsso, innervando le dottrine sediziose e le prassi cruente della pletora di prophetae e duces che hanno sconvolto la storia occidentale.
Un piccolo libro per conoscere il significato dell'Eucaristia e avvicinarti a questo sacramento con gioia e partecipazione. Età di lettura: da 6 anni.
Che cosa intendeva Gesù con “la buona notizia del Regno di Dio”?
La metafora del Regno usata da Gesù per condensare il suo messaggio, più che la descrizione di un evento futuro, comunicava una visione, una logica, una denuncia, un’utopia. Oggi diremmo: “I have a dream”: io ho un sogno. Una visione.
Il messaggio evangelico è arrivato fino a noi filtrato da millenni di tradizione teologica che hanno solidamente fondato la “religione cristiana” sulla salvezza, meglio sulla paura di Dio. La salvezza promette di evitare la pena eterna dell’inferno, grazie al sacrificio di Gesù Cristo, morto in croce per i nostri peccati e salito in cielo dove “siede alla destra di Dio Padre onnipotente”.
È questo il messaggio di Gesù di Nazareth?
Queste pagine prendono le mosse dal bisogno di ricercare, nel testo evangelico, le tracce di un diverso messaggio di salvezza. Basta sostituire “Vangelo” con la traduzione letterale del greco eu angelion: buona notizia, annuncio di una gioiosa novità.
Infatti, Gesù ha dedicato gli anni della sua vita pubblica a proclamare la sua buona notizia. Gesù aveva avvertito i suoi discepoli che, per accogliere il suo annuncio, era necessaria una profonda conversione: “il regno di Dio è qui. Cambiate mentalità e credete in questa buona notizia” (Mc 1,14-15), ma chi lo ascoltava ha resistito ad accoglierla, meritandosi più volte l’accorato rimprovero: tardi e lenti di cuore a credere! Cosa intendeva dire Gesù con la metafora del “Regno di Dio”?
I discepoli continuavano a pensare che annunciasse un evento eclatante, prodigioso, in grado di cambiare la storia di Israele a opera della potenza di Dio.
Invece, la metafora usata da Gesù per condensare il suo messaggio, più che la descrizione di un evento futuro, comunicava una visione, una logica, una denuncia, un’utopia. Oggi diremmo: “I have a dream”: io ho un sogno.
La visione di Gesù rivela una nuova comprensione del mondo di Dio e del mondo degli uomini. Ma la condivisione di questo sogno si è scontrata con le categorie mentali e culturali del tempo, con i modelli martellati per secoli dalla casta sacerdotale. E forse, siamo ancora qui.
"L'autore coglie nel Padre nostro una luce per l'umano in quanto tale, una traccia per il cammino dell'uomo in quanto uomo, ancor prima delle sue credenze e delle sue appartenenze confessionali. L'idea che rende possibile una simile impresa è che questa preghiera esprima l'umanità dell'uomo, sicché ogni essere umano può trovarsi rappresentato nel Padre nostro. La parola poetica, quella parola che sola riesce a sostenere il peso dell'essere, è ciò che meglio può fare eco alle parole semplici e inesauribili del Padre nostro." (dalla Prefazione di Enzo Bianchi)
Simbolo dei cristiani tedeschi resistenti al nazismo, uomo giusto e fedele al proprio ideale fino alla fine, Dietrich Bonhoeffer non si è fermato a un orizzonte ristretto, nella convinzione che nella nostra esistenza c'è uno scopo e un compimento più alto capace di dare un senso a tutti gli eventi, anche ai più tragici e negativi. Eppure gli sviluppi più profondi del suo travagliato itinerario interiore rimangono in gran parte ignorati dal grande pubblico. Queste pagine, ripercorrendo le linee fondamentali del suo pensiero etico e teologico e della sua vicenda umana, ci permettono di accostare l'uomo Bonhoeffer, la cui vita non cessa di interpellarci e alimentare la nostra personale ricerca di una vita cristiana autentica.
IL MIO NOME È PIETRO è una pièce teatrale scritta da Giampiero Pizzol, che Mimep-Docete pubblica in versione integrale. In un magistrale monologo teatrale l’apostolo Pietro rivive la sua eccezionale amicizia con Gesù, dal cambiamento del nome ai miracoli nella vita quotidiana fino al tradimento e al pentimento.
L’attore Pietro Sarubbi descrive il suo percorso di ripresa di coscienza di fede dalla partecipazione al film di Mel Gibson “La passione di Cristo”, impersonando Barabba. Quando per la prima volta, i suoi occhi incontrano quelli dell’attore che interpreta Gesù, questo sguardo lo tocco profondamente invitandolo a cambiare la propria vita:
“... guardo questo sconosciuto che muore al posto mio, guardo Gesù come probabilmente lo ha guardato Barabba. Lo guardo con sprezzo e distacco, lo guardo come un assassino appena liberato guarderebbe il poveraccio sconosciuto che va a morire a causa sua. Negli occhi dell’Uomo che sta morendo per me non ci sono odio né rancore. Sono colpito dalla profondità del suo sguardo. Non è uno sguardo feroce ma dolce e misericordioso, quasi di preoccupazione per me e per la mia condizione, ed accade un cosa unica nel suo genere e nella sua imprevedibilità: mi perdo in quello sguardo, nello sguardo di Gesù, rimango forse un minuto con gli occhi dentro quello sguardo.”
Dopo l’interpretazione del personaggio di Barabba, Pietro Sarubbi è continuamente invitato a serate sia di recitazione che di testimonianza.
Un commento ai Vangeli della Domenica per tutti e 3 i cicli dell'Anno Liturgico A-B-C.