Una letteratura latina che nessuno può avere studiato a scuola, una parodia del manuale scolastico, dove compaiono autori assolutamente impensabili, divisi in correnti ed epoche; la Lesbia cantata da Catullo che risponde irritata a Catullo; il "seccatore" di Orazio che aveva già seccato anche Cicerone; un poemetto lucreziano sulla jella; e poi anticipatori, in anticipo di duemila anni su Ungaretti e Montale, e così via. E la "filologia creativa", nuova disciplina accademica, dove un testo letterario mai scritto viene restituito al godimento dell'umanità e agli studi futuri, colmando una parte dell'infinita lacuna che è l'ipotetico e l'impossibile.
Noam Chomsky dedica un libro alla natura e alle conseguenze tragiche della diseguaglianza, svelando i dogmi fondamentali del neoliberismo e gettando così uno sguardo sul funzionamento del potere a livello globale. Quali sono le leggi che governano la concentrazione della ricchezza e del potere negli Stati Uniti come in tutto il mondo infestato dal turbocapitalismo? Ridurre la democrazia, scaricare i costi sui poveri e sulla classe media, distruggere la solidarietà fra le persone, manipolare le elezioni, usare la paura e il potere dello Stato per tenere a bada la "plebaglia"... Dieci principi - trattati in altrettanti capitoli - che, se non sapremo reagire, porteranno alla catastrofe ambientale e alla guerra nucleare globale. Questo libro dà seguito, ampliandone i contenuti con la collaborazione dei tre registi, al documentario "Requiem for the American Dream" (2015). Il risultato è una mappa concettuale per comprendere il funzionamento del mondo di oggi e un monito all'azione collettiva e, se necessario, alla rivolta: solo una rete di movimenti dal basso può contrastare lo strapotere economico delle élite.
La globalizzazione, le ricorrenti crisi economiche, la rivoluzione tecnologica, la crisi ambientale, la violenza religiosa: dove stiamo andando? L'autore analizza il moderno rapporto tra finanza e tecnologica, proponendo una visione forse utopica, sicuramente rivoluzionaria, per rimettere l'uomo al centro dell'universo, anche mediante il prezioso ausilio delle religioni.
Aldo Cazzullo si rivolge ai figli e a tutti i ragazzi: li invita a non confondere la vita virtuale con quella reale, a non bruciarsi davanti ai videogame, a non andare sempre in giro con le cuffiette, a non rinunciare ai libri, al cinema, ai concerti, al teatro; e soprattutto a salvare i rapporti umani con i parenti e i professori, la gioia della conversazione vera e non attraverso le chat e le faccine. I suoi figli, Francesco e Rossana, rispondono spiegando al padre e a tutti gli adulti il rapporto della loro generazione con il telefonino e la rete: che consente di vivere una vita più ricca, di conoscere persone nuove, di mettere lo studente al centro della scuola, di leggere i classici. Ne nasce un dialogo serrato sui rischi e sulle opportunità del nostro tempo: la cattiveria online, gli youtuber e l'elogio dell'ignoranza, i cyberbulli, gli idoli del web, i padroni delle anime da "Facebook" ad "Amazon", l'educazione sentimentale affidata a "YouPorn", la distruzione dei posti di lavoro e della cultura tradizionale, i nuovi politici da Trump a Grillo, sino all'uomo artificiale; ma anche le possibilità dei social, i nonni che imparano a usare le chat per parlare coi nipoti, la rivolta contro le dittature, la nascita di una gioventù globale unita dalla rete.
Quella contro il cancro non è mai stata, né sarà mai, una guerra facile. L'avversario da combattere, l'"imperatore di tutti i mali", sembra avere risorse inesauribili. Appena crediamo di averlo sconfitto, rialza la testa, muta sembianza, rimescola le carte. Eppure tante battaglie sono già state vinte: oggi, grazie alla diagnosi precoce e alla prevenzione, parecchi tumori sono diventati curabili. Altri possono essere gestiti dal paziente come una malattia cronica. Non dobbiamo però abbassare la guardia. La vittoria è ancora lontana. Ma arriverà. Ne è convinto Virgilio Sacchini che, dopo essere stato assistente di Umberto Veronesi all'Istituto dei Tumori di Milano, dal 2000 fa parte dell'équipe di senologia del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. Oltre che all'aspetto clinico e scientifico della malattia, Sacchini ha sempre guardato con attenzione anche ai risvolti umani di quello che Susan Sontag chiamava "il lato notturno della vita". Sa che ogni paziente rappresenta una storia a sé. Che, prima di tutto, è una persona. In "Andrà tutto bene" ripercorre le tante esperienze vissute nel corso della sua lunga esperienza di medico e di chirurgo. Incontri e biografie che non ha voluto dimenticare. C'è il soldato americano Frank che, pur di non ripiombare nell'inferno delle missioni di guerra in medio oriente, si ostina a credere di essersi ammalato di cancro. C'è Valery, che ripete di non volersi curare ma, forse, è soltanto il suo modo per chiedere aiuto. C'è la psicologa Paulette, che mette la sua malattia al centro di tutto e intraprende con entusiasmo il viaggio verso la guarigione. Sì, perché "nei momenti difficili" ci ricorda l'autore, "anche chi si ritiene debole può trovare risorse che nemmeno lui riteneva di possedere. Insomma, contrariamente a quanto Manzoni metteva in bocca al pavido don Abbondio, il coraggio uno 'se lo può dare'. Eccome". In questo libro Sacchini racconta anche molto di sé, le amicizie e i luoghi della sua infanzia, gli anni di studio e di formazione, l'avventura professionale in America, ma soprattutto ci illustra le ultime frontiere della ricerca sul cancro, le terapie più innovative, i farmaci più promettenti. "Andrà tutto bene" è il diario sincero e appassionato di un medico e di un uomo che fotografa con lucidità le contraddizioni e i conflitti del nostro tempo. E che ci aiuta a guardare al futuro, alle nostre fragilità e sofferenze con fiducia e coraggio. Solo così potremo vincere.
Anton Cechov diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari. È un principio fondamentale della narrazione: romanzesca, cinematografica, teatrale. Ma non è affatto un artificio di scena: è semplicemente la realtà. Perché, dati alla mano, nella vita accade esattamente la stessa cosa: se c'è una pistola è assai probabile che sparerà; e molte pistole molto spareranno. Il più delle volte nella direzione meno desiderata. Il mantra della "difesa facile", dei "cittadini con la pistola", non è che illusione e imbroglio, un percorso illogico e irrazionale, che - nella realtà dei fatti e dei numeri, qui esposti in tutta la loro disarmante evidenza - ci rende più nudi, più insicuri, più vittime. Succede in ogni luogo e in ogni ambito in cui la ricetta è stata cucinata. Abbiamo impegnato secoli di civiltà per guadagnare un valore fondante: lo Stato ha il diritto e il dovere di assicurare la difesa dei cittadini e di provvedere alla loro sicurezza. Non si può che esigerlo. Rinunciarci, per propugnare il "fai da te", è tanto una regressione quanto una follia. Lo slogan dispensato con rassegnata leggerezza: "Visto che lo Stato non ci difende" non è che illogica e controproducente calata di braghe. Non possiamo che tornare a sottoscrivere ciò che ancora oggi è scolpito sul cornicione della questura di Lecce: "Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nessuno contro lo Stato". Rifuggendo da illusorie scorciatoie. Chi è di destra, poi, tenga a mente che la difesa "fai da te" non è di destra affatto. E tutti quanti, che una forma compiuta di privatizzazione delle armi gli italiani la conosco già fin troppo bene: si chiama mafia.
"Se i commissari raccontassero le storie (che si possono raccontare...) vissute nelle loro esperienze... sono convinto che si raccoglierebbe del materiale di straordinario valore pedagogico istituzionale per i colleghi più giovani... perché la realtà supera spesso la fantasia e il nostro paese è unico nella sua ricchezza ed eterogeneità..." (L'autore)
Con una nota di lettura di Gennaro Matino.
Gli italiani sono razzisti? Ovviamente no: nessuna categoria può essere definita come un blocco unico e omogeneo e, dunque, catalogata attraverso un'etichetta spregiativa generale. Ma è altrettanto vero che oggi in Italia si manifestano forme di razzismo nel linguaggio pubblico, negli atteggiamenti sociali e nelle politiche. "Non sono razzista, ma" illustra un meccanismo psicologico che mira a prendere le distanze dalle parole e dagli atti che contraddicono ciò che pensiamo di essere, o che vogliamo far intendere di essere. È un'espressione che si sente sempre più spesso, perché l'interdizione morale nei confronti di termini e comportamenti xenofobi si è indebolita. Quella sorta di presidio culturale e sociale, che agiva contro il ricorso a pratiche e linguaggi discriminatori, sembra esaurito. Questo pamphlet è anche un grido d'allarme. L'intolleranza etnica ha trovato spazio nella sfera politica, per opera di figure pubbliche che, nonostante il proprio ruolo istituzionale, contribuiscono alla produzione di ostilità xenofoba. E a ciò corrisponde un tessuto di piccoli e grandi imprenditori politici dell'intolleranza (concetto elaborato da Laura Balbo e Luigi Manconi in un saggio di un quarto di secolo fa). E tuttavia, dicono Luigi Manconi e Federica Resta, il termine razzista non va utilizzato per colpevolizzare individui e gruppi che vivono con fatica il rapporto con gli stranieri. Ciò che si manifesta nel nostro paese è, piuttosto, una diffusa xenofobia: la paura dello straniero. E, contrariamente a quanto si crede, il passaggio da quest'ultima al razzismo è tutt'altro che scontato. Manconi e Resta argomentano come è possibile evitare che questo accada. "Non sono razzista, ma" è un libro utile per evitare l'errore di indugiare nel "peccato dell'indifferenza".
La rivoluzione industriale ha dato luogo alla più rapida e ripida crescita (di popolazione, di reddito, di produttività) della storia. In due secoli ha cambiato il volto del pianeta e la vita degli uomini, portando ricchezza e nuove possibilità, ma anche sfruttamento, inquinamento, impoverimento e distruzione di molti stili di vita tradizionali. In questo libro, gli economisti del Mit Erik Brynjolfsson e McAfee sostengono che è arrivato il momento per una nuova rivoluzione, che questa volta non meccanizzerà il lavoro manuale, ma quello mentale. Mentre le macchine che si guidano da sole di google macinano migliaia di chilometri per le strade della California e in ogni tasca c'è quello che dieci anni fa sarebbe stato un supercomputer, si comincia a intravedere dove può portare la convergenza digitale di hardware sempre più veloci e meno costosi e software sempre più sofisticati e adattabili: a un mondo in cui, semplicemente, molti lavori di concetto non esisteranno più, perché saranno svolti dai computer; in cui avremo accesso a un'abbondanza mai vista prima di tecnologie che ci aiuteranno in ogni ambito della nostra vita; in cui molto del nostro modello economico, e modo di vivere, sarà antico, superato, distrutto. Lavorando a partire da decenni di ricerca originale, Brynjolfsson e McAfee mostrano come siamo ormai arrivati al punto di svolta, e soprattutto offrono molte idee per affrontare questo cambiamento epocale, senza rimanere schiacciati dalla sua velocità e ampiezza.
Protagonista di romanzi, film, fumetti, lo scienziato pazzo - archetipo nato con la scienza moderna e, dunque, vecchio di secoli - in fondo non è altro che la caricatura di uno scienziato "normale". Motivati dal desiderio di conoscere, infatti, gli scienziati hanno spesso condotto esperimenti pericolosi, ridicoli, addirittura macabri, che ai nostri occhi possono apparire folli: cadaveri pietrificati, teste trapiantate, elettroshock e lobotomie cerebrali, ingestione di droghe e lavaggio del cervello. Il libro presenta una carrellata di questi personaggi e dei loro esperimenti incredibili... ma veri!
Cosa succede se un'intera generazione, nata borghese e allevata nella convinzione di poter migliorare - o nella peggiore delle ipotesi mantenere - la propria posizione nella piramide sociale, scopre all'improvviso che i posti sono limitati, che quelli che considerava diritti sono in realtà dei privilegi e che non basteranno né l'impegno né il talento a difenderla dal terribile spettro del declassamento? Cosa succede quando la classe agiata si scopre di colpo disagiata'} La risposta sta davanti ai nostri occhi quotidianamente: un esercito di venti-trenta-quarantenni, decisi a rimandare l'età adulta collezionando titoli di studio e lavori temporanei in attesa che le promesse vengano finalmente mantenute, vittime di una strana «disforia di classe» che li porta a vivere al di sopra dei loro mezzi, a dilapidare i patrimoni familiari per ostentare uno stile di vita che testimoni, almeno in apparenza, la loro appartenenza alla borghesia. In un percorso che va da Goldoni a Marx e da Keynes a Kafka, leggendo l'economia come fosse letteratura e la letteratura come fosse economia, Raffaele Alberto Ventura formula un'autocritica impietosa di questa classe sociale, «troppo ricca per rinunciare alle proprie aspirazioni, ma troppo povera per realizzarle». E soprattutto smonta il ruolo delle istituzioni laiche che continuiamo a venerare: la scuola, l'università, l'industria culturale e il social web. Pubblicato in rete nel 2015, Teoria della classe disagiata è diventato un piccolo culto carbonaro prima di essere totalmente riveduto e completato per questa prima edizione definitiva.