Le deportazioni naziste dell'infanzia e la complicità degli ungheresi, le fucilazioni degli ebrei lungo il Danubio, la morte dell'amatissimo padre ad Auschwitz, gli amici dell'Isola Margherita. Un'infanzia che decide, "per caso", il destino di una grande filosofa. Al cuore del suo percorso esistenziale e intellettuale, l'incontro con György Lukacs e la nascita della Scuola di Budapest, con il suo vivace corredo di amicizie e intrighi amorosi. La vocazione filosofica e il marcato spirito d'indipendenza di Ágnes Heller si accompagnano a un radicale impegno politico che la catapulta negli snodi cruciali del Ventesimo secolo: la Rivoluzione del 1956, il Sessantotto, la caduta del Muro nel 1989, il passaggio alla democrazia liberale, fino all'attuale tirannia di Orbán in Ungheria. Heller racconta l'emigrazione in Australia nel 1977, cui seguono i febbrili anni newyorkesi, dal 1986 al 2007, caratterizzati da una vita culturale in fermento: teatri, concerti, viaggi, incontri con intellettuali di tutto il mondo. In questo caleidoscopio di esperienze sfilano i più grandi nomi del pensiero novecentesco, da Foucault a Derrida, da Adorno a Löwenthal, da Jonas a Habermas, da Taubes a Bauman. Una vita intensa, movimentata, trascorsa in una costante e coraggiosa ricerca della libertà.
Le teorie che spiegano come la specie umana è diventata così particolare si imperniano quasi tutte sull’evoluzione. In questo saggio Michael Tomasello propone una teoria complementare dell’unicità umana, che pone al centro lo sviluppo e mostra come i fattori che ci rendono profondamente umani si costruiscano nei primi anni di vita del bambino.
Tomasello compendia quasi tre decenni di lavoro sperimentale con gli scimpanzé, i bonobo e i bambini umani, e propone un quadro originale della crescita psicologica tra la nascita e i sette anni di età. Identifica otto percorsi che distinguono nettamente gli esseri umani dai cugini primati più prossimi, vale a dire la cognizione sociale, la comunicazione, l’apprendimento culturale, il pensiero cooperativo, la collaborazione, la prosocialità, le norme sociali e l’identità morale.
Diventare umani pone l’attività socioculturale umana entro la moderna teoria evoluzionistica e illustra come la biologia crea le condizioni nel cui ambito la cultura svolge il suo compito.
Che riflettano sull’esistenza dei buchi neri o predicano nuove scoperte al CERN, i fisici sono convinti che le migliori teorie debbano essere belle ed eleganti. Sfortunatamente, sostiene Sabine Hossenfelder, tali requisiti sono anche il motivo per cui non c’è stato alcun progresso significativo in fisica teorica negli ultimi quarant’anni. Guidati da criteri estetici, i fisici hanno architettato nuove sbalorditive teorie ma le osservazioni non sono state in grado di dare supporto a queste idee e, in realtà, molte di esse non sono neanche sperimentalmente accessibili. E queste teorie, “troppo belle per non essere vere”, hanno condotto l’intero campo di ricerche in un vicolo cieco.
Per uscire da questa trappola, i fisici devono ripensare il modo in cui costruiscono le loro teorie. Sedotti dalla matematica ci ricorda che solo accettando il disordine e la complessità gli scienziati possono scoprire la verità sul nostro universo.
Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di continue sospensioni ma anche di coincidenze fatali, di perdite atroci e amori assoluti. Non precipita mai fino in fondo: il suo è un movimento incessante per rimanere fermo, saldo, e quando questo non è possibile, per trovare il punto d'arresto della caduta - perché sopravvivere non significhi vivere di meno. Intorno a lui, Veronesi costruisce altri personaggi indimenticabili, che abitano un'architettura romanzesca perfetta. Un mondo intero, in un tempo liquido che si estende dai primi anni settanta fino a un cupo futuro prossimo, quando all'improvviso splenderà il frutto della resilienza di Marco Carrera: è una bambina, si chiama Miraijin, e sarà l'uomo nuovo.
Quando, in punto di morte, Goethe mosse il suo indice dal basso verso l'alto, i testimoni che gli erano vicini rimasero sorpresi: per secoli questo gesto è rimasto emblematico e inspiegabile. Oggi, grazie alla suggestiva ricostruzione di Pietrangelo Buttafuoco e di Francesca Bocca-Aldaqre, possiamo coglierne il senso: si tratta di un gesto simbolico della shahada, la testimonianza di fede che ogni musulmano deve compiere in punto di morte per riaffermare di credere nel Dio unico. Attraverso una lunga e approfondita ricerca negli archivi e negli epistolari di Goethe, seguendo le testimonianze di coloro che gli furono più vicini, gli autori raccontano la scoperta e l'avvicinamento del grande scrittore tedesco all'Islam, rintracciandone l'influenza nell'opera poetica, teatrale e saggistica. Un'influenza vissuta però in modo estremamente peculiare e del tutto attuale, e che testimonia della capacità di Goethe di fondere nella sua riflessione elementi filosofici e religiosi appartenenti alla tradizione occidentale come a quella araba e medio-orientale, dando così forma a un pensiero coerente e vitale. Sotto il suo passo nascono i fiori offre al lettore non soltanto una ricostruzione della vita di Goethe - dalla sua prima lettura del Corano nel 1770 alla morte nel 1832 - e uno studio delle sue opere maggiormente ispirate dalla religione musulmana, ma anche l'occasione di riflettere sulla suggestione di un futuro europeo legato a "un Islam mitigato dai cieli del Mediterraneo", un orizzonte di pace verso il quale, secondo gli autori, il poeta orientò le sue più profonde tensioni personali e intellettuali.
Il libro si sofferma su alcuni aspetti di quell'immane dramma che fu la Prima guerra mondiale, su quel che successe dopo e non durante il conflitto, sul legame tra l'esperienza religiosa e la metabolizzazione di quanto accaduto. Con diversi effetti: da una parte la sacralizzazione dei Caduti, di cui ben presto il regime fascista si impossessò dandole una torsione nuova, volta a rendere massificata e indistinta la presenza dei Caduti stessi, mentre si diffondeva un costume nuovo, quello del "pellegrinaggio laico" sui luoghi delle battaglie e delle sepolture; dall'altra i primi sforzi per proporre una rilettura cristiana del senso della guerra e della morte, tanto in sede locale, quanto nella singolare esperienza personale di don Mazzolari. In questo senso, la Chiesa italiana svolse un suo percorso particolare nella considerazione del rapporto tra fede e morte per la Patria, accompagnato dal travaglio interiore del clero, massicciamente sottratto alla propria attività pastorale ordinaria. Gli esiti di questo travaglio furono i più diversi, conducendo ora persino all'abbandono della tonaca, ora alla scelta di operare nel campo sociale, ora alla rimozione; oppure, su altro terreno, tanto a un convinto filofascismo quanto a un solido antifascismo. Scritti di: Carlo Stiaccini, Emanuele Cerutti, Paolo Nicoloso, Bruno Bignami, Giorgio Vecchio, Giacomo Viola, Francesco Piva.
Una ballerina, un medico, un uomo d’affari, una giornalista, un ladro; da uno scompartimento all’altro si intravedono i segreti che ciascuno di loro nasconde in un giallo ad altissima tensione. Ognuno è salito sul treno per un motivo diverso, la giovane Coral è diretta a Costantinopoli per un nuovo lavoro, ma ha un malore e il medico le prescrive assoluto riposo, solo che la donna non ha neanche una cuccetta, così è il ricco Carleton Myatt a cederle il suo posto. Correndo attraverso l’Europa il treno giunge a Colonia, dove salgono due nuovi viaggiatori, poi il convoglio si ferma in Jugoslavia, una sosta per qualcuno dalle conseguenze fatali. Il treno per Istanbul appartiene a quelli che Greene chiamava «divertimenti». Pubblicato nel 1932, fu il primo vero successo per lo scrittore britannico, quello che gli dette fama e notorietà; ma il romanzo è molto di più di un giallo raffinatissimo: è una fotografia dell’Europa tra le due guerre con le sue contraddizioni e drammi e dove aleggia il presentimento di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. È anche un romanzo moderno per i tanti temi trattati, la razza, la povertà, la frustrazione sessuale, il fallimento politico. A dominare su tutto l’Orient Express (così doveva intitolarsi il romanzo), un treno che è diventato mito grazie a scrittori come Agatha Christie e Ian Fleming e che ha avuto nel cinema la sua consacrazione definitiva. Il romanzo viene pubblicato in una nuova traduzione.
Geralt di Rivia è uno strigo, un assassino di mostri. Ed è il migliore: solo lui può sopraffare un basilisco, sopravvivere a un incontro con una sirena, sgominare un'orda di goblin o portare un messaggio alla regina delle driadi, fiere guerriere dei boschi che uccidono chiunque si avventuri nel loro territorio... Geralt però non è un mercenario senza scrupoli, disposto a compiere qualsiasi atrocità dietro adeguato compenso: al pari dei cavalieri, ha un codice da rispettare. Ecco perché re Niedamir è sorpreso di vederlo tra i cacciatori da lui radunati per eliminare un drago grigio, un essere intoccabile per gli strighi. E, in effetti, Geralt è lì per un motivo ben diverso: ha infatti scoperto che il re ha convocato pure la maga Yennefer, l'unica donna che lui abbia mai amato. Lo strigo sarà dunque obbligato a fare una dolorosa scelta: difendere il drago e perdere Yennefer per sempre, o infrangere il codice degli strighi pur di riconquistare il suo cuore...
Gianni Canova tocca uno dei nervi scoperti del dibattito culturale in Italia, senza sconti per nessuno dei soggetti coinvolti: L'Italia del XXI secolo è diventato un paese culturalmente anoressico: dopo il neorealismo dell'immediato dopo-guerra mancano riferimenti culturali riconosciuti a livello internazionale e un paesaggio di consumo culturale degno di un paese sviluppato. Mentre l'intellettuale progressista-elitarista si gongola tra i suoi idoli (denaro, mostre e popolarità), l'unica vera rivoluzione culturale del XX secolo sembra rimasta quella del cinema. La domanda di fondo del saggio rimane: è possibile rianimare o costruire una nuova democrazia culturale nel Belpaese?
Appena arrivati a New York, nei primi anni della guerra, gli ebrei polacchi dicono tutti la stessa cosa: «L'America non fa per me». Ma poi, un po' alla volta, molti ricominciano a «sguazzare negli affari» come pesci nell'acqua. Altri invece, e più di chiunque il protagonista di questo romanzo, girano a vuoto, si barcamenano, vivono alle spalle degli amici ricchi, o delle donne che riescono a sedurre. Di queste ultime Hertz Minsker non può fare a meno: sono «il suo oppio, le sue carte, il suo whisky»; le loro gambe, le loro ginocchia contengono «una sorta di promessa», e lui ha bisogno ogni giorno di nuove avventure amorose, di «nuovi giochi, nuovi drammi, nuove tragedie o commedie». Minsker, che pure è un erudito e ha familiarità con il Talmud e può «recitare poesie in greco antico e in latino», sembra capace solo di finire nei guai, e «da quarant'anni sta lavorando a un libro ma ancora non ha finito neanche il primo capitolo». In genere, però, le catastrofi che provoca, a sé stesso e a chi gli sta intorno, si risolvono in una strepitosa commedia - una commedia alla Lubitsch, con mariti traditi, amanti imbufalite, sedute spiritiche fasulle, crisi di nervi, mercanti di quadri falsi, audaci e fumose teorie edonistico-cabbalistiche...
A Keyla la Rossa nessuno resiste: né Yarme - un seducente avanzo di galera -, né il giovane e fervido Bunem - che pure era destinato a diventare rabbino come suo padre -, né l'ambiguo Max. Se questo magnifico libro è rimasto praticamente inedito fino a oggi, è forse perché Singer esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori goy il «lato oscuro» di quella via Krochmalna da lui resa un luogo letterariamente mitico. In Keyla la Rossa si parla infatti in modo esplicito di due argomenti tabù: la tratta, a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtetl dell'Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica, e l'ignominia di un ebreo che va a letto sia con donne che con uomini. Alle turbinose vicende dei quattro protagonisti (e dei numerosi, pittoreschi comprimari) fa da sfondo, all'inizio, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante del ghetto in cui era confinata, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia, e poi quella, non meno miserabile e caotica, delle strade di New York in cui si ammassavano gli emigrati nei primi decenni del secolo scorso: affreschi possenti, che non a caso molti hanno accostato a quelli ottocenteschi di Dickens e Dostoevskij.
Bisogna rifondare i presupposti su cui si regge una città. E ogni rifondazione richiede un nuovo patto sociale, un nuovo modello di società. Del disastro urbano in corso negli ultimi decenni non sono colpevoli direttamente gli architetti o gli urbanisti, si tratta di una crisi di civilizzazione. La nozione di decrescita soccorre questo vuoto di prospettive: un'uscita dal valore, di cui il PIL, volto statistico dell'obbligo della crescita sociale secondo i parametri della produttività, ne è l'immagine perversa più propagandata. Con questo agile e graffiante pamphlet, il teorico della decrescita Latouche e Marcello Faletra smontano l'ideologia di un capitalismo che si fa estetico, vettore di controllo sociale attraverso la cultura. L?architettura contemporanea, con le sue spettacolarità, è smascherata come l?espressione più visibile dell'economia globale, uno spazio governato dai flussi finanziari privati.