La capacità di governare il proprio corpo, i propri bisogni fisici attraverso l'esercizio della meditazione è arte che il mondo orientale ha coltivato e nella quale si è esercitato nei secoli. In realtà l'allenamento di una capacità atta a ridurre il fabbisogno di cibo è appartenuto, lungo i secoli, anche a molta della spiritualità e della mistica cristiana. Il suo senso è ampio, variegato: evitare di appesantire il corpo così da favorire l'attenzione all'interiorità; imparare a governare il piacere della gola, così da rimanere noi padroni e non schiavi dei nostri bisogni; partecipare al ritmo di vita dei poveri anche per quanto riguarda la sobrietà nel cibarsi; vivere penitenzialmente queste pagine ne ripercorrono storia e pratiche.
Un campanellino che tintinna nel totale silenzio della penombra di un'anonima chiesa, mentre un prete sconosciuto, di spalle, sussurrando parole latine antiche di millenni, alza un pezzetto rotondo di bianco pane azzimo. E, nella mia dimensione tutta immanente ed autonormata, figlia di una terra rosso fuoco, di un evo iper relativista e super edonista, di una scuola paradigmaticamente gramsciana e di un'indole idealista e ribelle, fanno irruzione l'eterno e il sacro, il Vero, il Bello, il Giusto. E la rivoluzione sociale diventa polvere al cospetto di quell'unica e reale: tornare a casa, nella casa dell'anima. Perché che vita est militia super terram può anche essere abbastanza intuitivo. Molto meno scontato è, invece, capire da quale parte militare...
"Chi volesse indugiare brevemente in una ricerca di frequenze lessicali si accorgerebbe con facilità di quante volte ricorrano i due verbi "fare" (hacer) e "vedere" (ver) sui quali sembra imperniarsi l'intero sistema degli Esercizi: fare orazione, fare scelta, fare colloquio, fare tutto ciò che, secondo la via tracciata da Ignacio, colui che dà gli esercizi indica a colui che li riceve; e vedere, con gli occhi di un'immaginazione spinta ai limiti dello stravolgimento, tutto ciò che si esorta a vedere, a sentire, in una continua osmosi tra parole di preghiera, pensieri, consolazioni, desolazioni e finalmente proposte di immagini, sempre e comunque fortemente materializzate, localizzate, rese attingibili ai sensi. Un po' come il prodotto, non prevedibile e però scarsamente governabile, dell'immaginazione poetica o ispirazione, che nasce anch'esso (come l'"illuminazione" a cui puntano gli Esercizi) da un'ékstasis ossia, letteralmente, da una dislocazione, da uno spostamento della sensibilità, da una distrazione della coscienza soggettiva, da un suo non esserci alle cose usuali, da un suo dimenticarsi nel silenzio in cui una voce "altra" parlerà, in uno spazio non dissimile da quello dell'autentico pregare (e questo è, più che un chiedere, un darsi)." (Dalla Postfazione di Giovanni Giudici)
Oggi la felicità la si può comprare: spuntano quasi ovunque consulenti psicologici che ci mostrano la strada per ottenerla e non mancano i corsi a pagamento che ci deliziano con la loro facile "cultura del benessere". Scienziato e maestro zen, il gesuita Bauberger parte dalla sua vasta esperienza e spiega perché è meglio non affannarsi a inseguire la felicità: solo evitando di pensare di accaparrarsela si va incontro a una vita più appagante, a una vita piena e realizzata. Bauberger biasima la vuota spiritualità dei centri benessere - la spiritualità dei manager - e parla di felicità e beatitudine vera. Nel fare questo, attinge alla sua conoscenza della spiritualità cristiana e dell'Estremo Oriente e alla sua pratica da insegnante di meditazione. Ne è nato un libro intelligente e affascinante che manda all'aria i soliti consigli sull'auto-realizzazione e delinea invece un percorso che scende in profondità. Bauberger ci mostra cosa c'è dietro la follia della felicità e perché il dubbio ci è molto più utile di qualsiasi contentezza artificiale.
Questo libro suggerisce un approccio spirituale all'eucaristia, la mensa del Signore. Nel percorso che indica, Klaus Egger, da tempo abituato ad accompagnare singoli e gruppi negli esercizi spirituali, si sofferma sulle varie tappe della celebrazione eucaristica (i suoi momenti chiave), illustra come essa sia una guida fidata e ricca di spunti per la vita, offre stimoli al lettore e alla lettrice per l'approfondimento interiore. Questa introduzione è quindi un invito a riscoprire la liturgia eucaristica - e a riscoprirla con sicurezza, fiducia e forza. È rivolto a tutti coloro che si pongono domande e vogliono comprendere il significato di quel che celebrano nella messa domenicale.
La figura e la vicenda terrena del Servo di Dio Dom Emilio Maria Colombo Osb (1920-2000), monaco benedettino virginiano, è tutta inscritta nel primato di Dio e della carità, di cui il fondamento si trova nell'esperienza chiara e intensa dello Spirito Santo. Dopo aver svolto numerosi incarichi di fiducia e di responsabilità, nel 1976 diviene priore della comunità monastica del Santuario di Montevergine.
Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò :"Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!"
Quando ascoltiamo la parola "miracolo", il nostro pensiero corre istintivamente a un intervento soprannaturale che porta un beneficio. Ci viene in mente, in primo luogo, una guarigione. Considerate da questo punto di vista, le stimmate sembrano introdurre una nota stonata: qui non si parla della gioia di una guarigione, e quindi di una liberazione, ma della perdita, sebbene parziale, della salute, del benessere, persino della pace. Possibile che un "miracolo" debba "fare male"? Eppure si tratta di uno dei modi scelti dalla Grazia divina per sostenere il cammino dei fedeli in ogni epoca.
Si deve guardare in faccia la realtà: il sacerdozio sembra vacillare. Certi preti sembrano come marinai la cui nave è stata sconquassata dalla violenza di un uragano. Annaspano e vacillano. Quando si viene a conoscenza di qualche episodio di abuso sui minori, non possiamo evitare di porci delle domande. Non si può fare a meno di avanzare dei dubbi. Il sacerdozio, il suo statuto, la sua missione, la sua autorità, sono messi al servizio di quanto c'è di peggio al mondo. Il sacerdozio è stato strumentalizzato per nascondere, insabbiare, e persino giustificare la profanazione dell'innocenza dei bambini. Talvolta, la stessa autorità episcopale è stata piegata allo scopo di pervertire e distruggere la generosità di coloro che desideravano consacrarsi a Dio. La ricerca della gloria mondana, del potere, degli onori, dei piaceri terreni e del denaro, è penetrata nel cuore di sacerdoti, vescovi e cardinali. Com'è possibile tollerare tali episodi senza tremare, senza piangere e senza metterci in discussione? Non possiamo fare finta che tutto ciò non esista, come se si trattasse soltanto di un incidente di percorso. Dobbiamo guardare il male in faccia. Perché tanta corruzione, sviamento e perversione? È giusto che ce ne venga chiesto conto. È giusto che il mondo ci dica: "Siete come i farisei: dite e non fate" (cfr. Mt 23,3). Il popolo di Dio guarda con sospetto i suoi sacerdoti. Chi non crede li disprezza e diffida di loro.
Ritenuti a torto un mero retaggio del passato, i vizi capitali costituiscono un'autentica enciclopedia delle passioni umane, una lettura geniale dell'agire umano nelle sue derive negative e nei beni cercati attraverso di essi. Chiunque consideri con attenzione questi vizi potrebbe trovarvi ogni possibile situazione di vita, di classe sociale, di attività proprie della giornata dell'uomo di sempre. Si potrebbe dire dei vizi capitali quello che il regista polacco Kiesloswski aveva osservato a proposito dei comandamenti: "Essi riassumono l'intera nostra esistenza, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere: tutti li disattendiamo eppure tutti ci riconosciamo in essi". Questa polarità di trasgressione e ideale evidenzia la perenne attualità del discorso sui vizi, mettendo in guardia da una suggestione mortale: la tentazione di eliminare gli ideali dalla vita, rassegnandosi ad accogliere passivamente ciò che capita, con indifferenza. L'importanza di studiare i vizi capitali si giustifica infine per la profonda saggezza di cui sono portatori. Non a caso sono stati lungo i secoli oggetto di indagine da parte di artisti e studiosi delle discipline più diverse: le loro analisi delineano un profilo dell'uomo di tutti i tempi. Questo libro intende esplorare tale saggezza, avventurandosi in un percorso affascinante che coinvolge teologia, filosofia, psicologia, arte e letteratura.
Dopo tanti anni riemerge l'idea di don Milani di onestà, democrazia e libertà nella politica, che ha lasciato come messaggio a futura memoria e che oggi appare più attuale che mai alla luce della caduta delle ideologie ottocentesche e dell'impazzimento di quella liberale. Alessandro Mazzerelli ha raccolto stenograficamente le parole del priore di Barbiana in un colloquio memorabile, alle istruzioni del quale ha cercato di dedicare la vita nei limiti delle sue possibilità.
L'analisi del complesso rapporto fra santità femminile, isteria e altri disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna: questo l'importante e affascinante oggetto di cui tratta questo libro. Si indaga se le estatiche, le visionarie e più in generale le mistiche - sante, beate o venerabili -, lungi dall'essere in preda a estasi e visioni, fossero in realtà affette da disturbi della personalità e del comportamento. Attraverso una rigorosa analisi delle fonti, l'autore osserva da vicino il comportamento delle donne mistiche con la lente del moderno codice medico e arriva a concludere che la loro condotta può essere spesso ricollegata a standard e profili patologici più o meno documentabili. Un complesso e articolato lavoro di 'intersezione' di fonti agio-biografiche (cronache monastiche, diari, relazioni inedite, resoconti nosografici dei medici coevi alle mistiche censite) e iconografiche (statuette e oggetti devozionali), documenti poco noti ma attendibili e assai convincenti.