Che cosa hanno in comune lo storico marxista Eric Hobsbawm, il poeta Konstantinos Kavafis, il vice Führer Rudolf Hess e il futurista Filippo Tommaso Marinetti? Nulla, se non il fatto di essere nati ad Alessandria, la città più cosmopolita dell'Egitto. Un mondo a parte, un crogiolo di lingue, etnie e culture, dov'era possibile leggere gli ultimi romanzi pubblicati a Londra e Parigi, organizzare mostre di artisti di fama internazionale o mettere insieme collezioni archeologiche dal valore inestimabile. E, soprattutto, passare da un'identità a un'altra, da una lingua all'altra, liberandosi dai vincoli delle nazionalità e delle confessioni. Alessandria, la regina del Mediterraneo, ma non solo. Smirne, Salonicco, Beirut, città globali prima della globalizzazione, esempi aurorali delle città miste che caratterizzano il mondo contemporaneo. In una parola, il Levante: luogo d'incontro tra Oriente e Occidente, di dialogo e di confronto tra cristianesimo e Islam, ma anche di violenze laceranti, di genocidi e pogrom perpetrati in nome del nazionalismo o del fanatismo religioso. Se "multiculturalismo", "assimilazione" e "integrazione" sono parole che spesso in modo astratto scandiscono da anni l'agenda del dibattito politico, c'è stato un tempo in cui esse testimoniavano di realtà concrete, tangibili, fatte di scambi e compromessi, di convivenza e di tolleranza, per quanto fragili e difficili da conservare.
Nell'anno 326, secondo un'antichissima tradizione, Elena, madre di Costantino, scopre a Gerusalemme il legno della Croce. Quel 'legno' può, secondo l'imperatrice, ribadire il passaggio fisico di Cristo sulla terra e rendere più salda la fede della comunità dei cristiani, lacerata da divisioni interne. Per sollevare gli animi e stringere i fedeli attorno alla loro storia comune, Elena fa costruire un'imponente basilica sul Golgota, il 'Martyrium', emblema della passione di Cristo. Ma un luogo non è abbastanza. La basilica non può restare un guscio vuoto, bisogna dotarla di un cuore vivo, una reliquia. I Vangeli, però, lo dicono con chiarezza: non è possibile cercare il corpo di Gesù, i cristiani sono destinati ad adorare un sepolcro vuoto. La Croce, allora, può diventare il miglior surrogato di quel corpo. Quel legno intriso prima dal suo sudore, durante l'ascesa al monte Calvario, e poi dal suo sangue, durante le lunghe ore dell'agonia, può cambiare di segno e da patibolo diventare il fondamento della fede cristiana. L'imperatrice cerca, scava e infine trova: da quel momento la reliquia diviene l'emblema della Gerusalemme cristiana e la protagonista di una complessa serie di vicende, sempre al confine tra storia e leggenda, tra realtà e immaginazione.
La casata dei Borgia è senza dubbio la più nota di tutta la storia. Leggende di avvelenamenti e incesti, corruzione e crudeltà crebbero rapidamente attorno a quel nome. I membri di questa famiglia dominarono la scena italiana tra il XV e il XVI secolo, grazie anche allo sfrenato nepotismo prima di papa Callisto III e poi di suo nipote, papa Alessandro VI, che cercò di favorire con ogni mezzo figli e parenti. Numerosi episodi caratterizzarono il pontificato di Alessandro, fornendo materiale per una sterminata letteratura nei secoli a venire: dal libertinaggio nel palazzo Apostolico ai presunti amori incestuosi, dai delitti verso gli oppositori e i più ricchi cardinali della Curia romana fino al supposto fratricidio di Giovanni da parte di Cesare. Ombre che si addensarono anche nelle campagne militari del Valentino, temuto per la sua ferocia, o nella turbolenta vita matrimoniale di Lucrezia. Cosa c'è di vero dietro a tutto questo? Chamberlin ci presenta il profilo di personaggi straordinari: dalla violenta ambizione di Alessandro alla turbolenta vita dei suoi figli, Cesare e Lucrezia, attraverso le alleanze e le guerre di cui si servirono per consolidare il proprio potere, inseguendo il loro destino che li vide innalzarsi a tal punto da tenere il mondo nel terrore per poi finire, invece, nella totale rovina. Importante quanto i personaggi è l'Italia dell'epoca: un paese fatto di città in lotta e di macchinazioni dinastiche dove alta cultura e grande crudeltà marciavano di pari passo.
Uno dei motivi dominanti della moderna storia della scienza consiste nel tentar di chiarire gli elementi di continuità che legano fra loro le varie epoche del pensiero scientifico. È altrettanto vero che esistono personalità eccezionali, capaci di dominare con la loro intelligenza e il loro talento intere epoche. Ma queste personalità non nascono dal nulla. Ricostruire la formazione di un genio significa spesso abbassare il piedistallo su cui lo hanno collocato le generazioni successive e render giustizia a numerose figure minori che hanno contribuito al progresso della scienza. Quello degli ingegneri del Rinascimento è un mondo affascinante e ricchissimo in cui, se da un lato si raccolgono certe eredità del mondo antico e medievale, dall'altro si vengono organizzando e consolidando certe nozioni di statica e dinamica che contribuiranno al sorgere della scienza moderna. Nei taccuini di Leonardo abbiamo un quadro vivo di un'epoca in cui, nel lavoro degli ingegneri, comincia a infiltrarsi una preoccupazione nuova: quella di una base scientifica su cui costruire. Le prodigiose "macchine di Leonardo", che hanno meravigliato e stupito generazioni, hanno spesso antecedenti precisi, individuabili nelle scoperte di Kyeser, Villard de Honnecourt, Guido da Vigevano, Taccola, Valturio, Francesco di Giorgio Martini.
L'ultimo quarto di secolo ha visto la scena mondiale percorsa da vicende fra le più intense e drammatiche dalla seconda guerra mondiale: i conflitti in Europa e in Medio Oriente, l'attacco alle Twin Towers, una crisi economica epocale, l'ingresso nell'area del benessere di nuovi paesi, il terrorismo islamista. Gli equilibri politici ed economici sono rimessi in gioco ridisegnando un nuovo scenario mondiale. Gli Stati Uniti come potenza egemone e l'Europa hanno vissuto e vivono una serie di cambiamenti che ne ridefiniscono il ruolo internazionale e i rapporti reciproci, ricapitolati nel volume in maniera documentata e problematica.
Nel Pci, in cui erano vietate le correnti e il gruppo dirigente doveva sempre apparire unito, il dibattito interno e le divisioni in seno alla Direzione che aveva sede a Roma in via delle Botteghe Oscure rimanevano segreti. Sulla base dei verbali finora inediti delle riunioni della Direzione il libro ricostruisce i mutamenti della politica del Pci e nel gruppo dirigente seguendo le "vite parallele" di Enrico Berlinguer e di Giorgio Napolitano che sin da giovanissimi aderirono al Pci di Togliatti avendo presto incarichi rilevanti. Napolitano, cresciuto all'ombra del leader della "destra" comunista, Giorgio Amendola, appare ora il principale collaboratore ora il principale antagonista di Berlinguer, erede del "centro" togliattiano. Vediamo così come l'accordo e il dissenso tra i due leader comunisti animano le principali scelte del Partito dal "compromesso storico" all'"eurocomunismo", dal periodo in cui il Pci è stato nella maggioranza di governo (culminato con l'assassinio di Moro) al ritorno all'opposizione in contrasto soprattutto con il Psi di Craxi. Dai verbali emergono la coralità del vertice comunista (con aspetti e interventi finora sconosciuti dei suoi protagonisti, da Nilde Iotti a Pietro Ingrao, da Luciano Lama ad Achille Occhetto) e il modo nuovo in cui la sinistra italiana cominciò ad affrontare temi oggi attuali come le riforme istituzionali, il sistema elettorale maggioritario e il finanziamento dei partiti.
Lavarono con il loro sangue le pietraie del Carso e i dirupi dell'Altopiano. Nel corso del conflitto più spaventoso della storia, diedero la vita per una patria che non avevano mai conosciuto se non con la maschera di un potere centrale lontano, arrogante e rapace. Ogni anno si celebrano con enfasi insensata le ricorrenze della Prima Guerra Mondiale, ma da nessuna parte si sente dire che l'assoluta maggioranza delle vittime era gente del Sud. Un'intera generazione spazzata via. Figli del Meridione, contadini poveri, braccianti, piccoli artigiani, quasi per metà analfabeti, giovani di vent'anni che furono strappati alle loro famiglie e alla loro terra e mandati a morire in lande remote, tra montagne da incubo e pianure riarse. Si sacrificarono per gli interessi di quelle élite economiche che sfruttavano la loro terra e per il tornaconto di una nuova classe politica che li trattava con ferocia o disprezzo. Finirono a decine di migliaia nelle trincee, stretti nella morsa del fango e del gelo, sotto una pioggia perenne di bombe. Diventarono carne da cannone, numeri da inserire nelle statistiche dello Stato Maggiore, bandierine che i generali spostavano sulle mappe con noncuranza. Vennero massacrati sull'Isonzo e a Caporetto, combatterono con disperazione e con valore sul Piave, lanciati contro un nemico che non conoscevano e che non avevano motivo di odiare. Conobbero la paura, la morte, l'eroismo. Erano i nostri nonni, i nonni del nostro Sud. L'esercito dei terroni. Prefazione di Pino Aprile.
Le mutevoli forme istituzionali del cristianesimo rappresentano un elemento tutt’altro che secondario nel processo di costruzione dello Stato moderno. I percorsi storici tracciati in questo volume costituiscono altrettante riflessioni sull’attitudine culturale delle forme istituzionali del messaggio cristiano a proporsi, nella storia europea, come stabili interlocutrici dei processi di integrazione politica della società.
Nel 2013 si sono celebrati due anniversari importanti per la collettività di studiosi italiani impegnati nelle ricerche sul Giappone: il cinquantesimo anno dall’inaugurazione del Nihon Bunka Kaikan di Roma e il quarantesimo anno dalla fondazione dell’Associazione Italiana di Studi Giapponesi. Le due istituzioni, unite da produttive collaborazioni e da tappe parallele, sono state al centro dell’attività scientifica di diverse generazioni, e si è quindi deciso di dedicare alla coincidente ricorrenza il presente volume, composto di saggi accomunati dalla volontà di proporre riflessioni aperte e aggiornate su tematiche relative a vari ambiti e periodi. Protagonista ne è la riflessione, declinata attraverso cinque sezioni non tagliate su criteri temporali o campi tematici standard. La varietà e l’eccellenza dei contributi proposti, oltre a offrire degli interessanti risultati di ricerca, testimonia allo stesso tempo l’importanza di un’attiva comunità scientifica che si riunisce intorno alla propria associazione di riferimento.
Re Artù, Mago Merlino, la spada Excalibur, la corte di Camelot, i Cavalieri della Tavola Rotonda, Lancillotto e Ginevra, il Santo Graal, l'isola di Avalon: non esiste mito più affascinante e diffuso, capace di generare un'infinità di leggende, romanzi e poemi in cui si intrecciano sacro e profano, simbologia ed esoterismo. Partendo dalla narrazione di quanto realmente accadde nelle isole britanniche 1.500 anni fa, Paolo Gulisano esplora una leggenda medievale che continua a vivere anche ai giorni nostri in nuove e spettacolari versioni. Non si tratta di una semplice evasione dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia, ma dell'occasione per volgere lo sguardo verso cose grandi, verso il nostro desiderio di Bellezza che solo i simboli e le tradizioni sanno alimentare: è quello che aveva capito J.R.R. Tolkien, grande creatore di miti e autore di La caduta di Artù, a cui è dedicata l’appendice del libro.
L'Altipiano dei Sette Comuni è stato l'unico territorio in Italia a vivere in prima linea tutti i 41 mesi del Primo conflitto mondiale. Introdotto dallo storico Alberto Monticone, e arricchito di contributi di altri valenti studiosi, il volume è un'utile guida per capire come scoppiò il conflitto, quali devastanti conseguenze umane, sociali ed economiche ebbe su questa parte del territorio nazionale, e come oggi se ne conservi e tuteli la memoria, nello specifico mediante l'applicazione di quanto previsto dalla legge n. 78 del 7 marzo 2001, "Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale", che proprio da una proposta partita dall'Altipiano prese le mosse per essere votata dal Parlamento. La pubblicazione, che presenta una ricerca condotta con un'attenzione speciale al tema del dramma umano, raccoglie insieme i caduti nella Grande Guerra dell'Altipiano così come era organizzato amministrativamente cento anni fa, con le località di Pedescala e San Pietro Valdastico all'interno del Comune di Rotzo. Viene così disegnato nell'insieme il quadro sociale di una peculiare realtà di confine che, sconvolta dalla guerra, non solo perderà il nerbo delle sue forze giovanili, ma vedrà il profugato di tutti gli abitanti e la totale distruzione del territorio, per ritrovare nella memoria a cento anni dal conflitto il significato di un luogo educativo per le giovani generazioni sul dramma della guerra.
"Questo libro" annuncia Benedetta Craveri nella Prefazione "racconta la storia di un gruppo di aristocratici la cui giovinezza coincise con l'ultimo momento di grazia della monarchia francese": sette personaggi emblematici, scelti non solo per "il carattere romanzesco delle loro avventure e dei loro amori", ma anche (soprattutto, forse) per "la consapevolezza con cui vissero la crisi di quella civiltà di Antico Regime ... con lo sguardo rivolto al mondo nuovo che andava nascendo". Sfruttando, infatti, le qualità migliori della loro casta "la fierezza, il coraggio, l'eleganza dei modi, la cultura, lo spirito, il talento di rendersi gradevoli" -, il duca di Lauzun, il conte e il visconte di Ségur, il duca di Brissac, i conti di Narbonne e di Vaudreuil e il cavaliere di Boufflers non furono soltanto maestri nell'arte di sedurre, ma da veri figli dei Lumi ambirono ad avere un ruolo nei grandi cambiamenti che si preparavano, e dopo il 1789 seppero affrontare le conseguenze delle loro scelte - la povertà, l'esilio, perfino il patibolo - senza mai perdere l'incomparabile 'panache' che li distingueva. A sua volta, con la "grazia somma della cultura, della curiosità, del pensiero, della scrittura magnifica" che le è stata riconosciuta dai critici, e ancor più dai lettori, l'autrice di "Amanti e regine" percorre queste sette vite parallele fino all'evento in cui tutte convergeranno - la Rivoluzione - e dopo il quale ciascuno degli "ultimi libertini" seguirà il proprio destino.