Il pensiero politico inglese del diciannovesimo secolo funge da caleidoscopio delle sfide storiche, delle dottrine politiche, delle idee filosofiche che contrassegnano la modernità. Negli autori rivisitati nel volume si riconoscono le trame principali dell'evoluzione del concetto di libertà nell'ordine politico. Affiorano con nitidezza i suoi pilastri teorici e storici: il senso del limite, la critica al costruttivismo politico, l'indipendenza e l'autonomia in relazione alla statolatria e al dispotismo. Il libro svela la singolarità del caso inglese nella complessa relazione esistente fra l'appartenenza ecclesiale e la visione politica. Le tensioni che attraversano le figure citate, da Edmund Burke a Daniel O'Connell, da John Henry Newman a Lord Acton, indicano la necessità di attivare quel meccanismo di comprensione profonda dei processi politici che non eludano la questione religiosa.
Il volume affronta la complessa vicenda storica della diplomazia vaticana nel Novecento, analizzandone alcuni casi studio riguardanti in particolare la prima metà del secolo. I saggi che lo compongono spaziano dal dibattito storiografico, relativo soprattutto ai rapporti della Chiesa col nazifascismo, alla progressiva erosione dell'eurocentrismo nelle opzioni diplomatiche vaticane - dinamica, questa, esemplificata attraverso il dialogo con gli Stati Uniti d'America -, senza tralasciare il ruolo svolto dalla Santa Sede nella questione irlandese degli anni Venti e in quella tedesca in piena Guerra fredda. Il mosaico che ne emerge esprime le molteplici trasformazioni delle relazioni internazionali nel Novecento: un secolo durante il quale anche il potere e l'influenza vaticane hanno dovuto confrontarsi con le sfide poste dalla globalizzazione.
Parliamo di donne velate e subito pensiamo allo hijab o agli altri tipi di copertura del capo, o del volto, o dell'intero corpo della donna che sono in uso nel mondo islamico e che, non senza originare polemiche, molte islamiche indossano anche nei paesi occidentali. Ma la prescrizione alle donne di coprirsi il capo appartiene in pieno anche alla storia dell'Occidente. Proviamo allora a riscoprire un costume millenario, documentato dalla Bibbia e dalle statue dell'antica Grecia, dai Padri della Chiesa, dalle normative medievali, da innumerevoli testimonianze artistiche e letterarie. Il capo coperto era prerogativa delle donne sposate, era la divisa delle religiose, così come ogni vedova era tenuta a portare il velo del lutto. Segno di verecondia e modestia, il velo, leggero quanto simbolicamente carico, era però anche un accessorio alla moda, il complemento fondamentale nello sfoggio di lusso ed eleganza, come ancora oggi può essere il foulard griffato.
Questo libro raccoglie le memorie di prigionia di due martiri albanesi che hanno vissuto la dittatura di Enver Hoxha. Anton Luli e Gjovalin Zezaj svelano il prezzo della grande utopia albanese: passare da paese più arretrato d'Europa a paese guida della rivoluzione mondiale. Tra carceri e torture, gulag e lavori forzati, il sogno egualitario si realizza a rovescio, nell'abbrutimento comune a tutti. Dopo il 1990, con l'avvento della democrazia, gli albanesi scopriranno che la vera felicità non sta nell'agognato consumismo bensì nell'essere e restare umani.
Perché raccontare le storie dei giusti ottomani? L'azione di chi non ha partecipato, di chi ha detto no, di chi ha agito secondo coscienza vincendo l'indifferenza e la paura, oltre a costituire la denuncia del crimine che il governo turco ancora oggi nega, rende visibile la distinzione tra popolo e governo impedendo di riferirsi a un generico "popolo nemico" che si è macchiato del crimine di genocidio. Mostra che il fronte dei carnefici, nel male estremo, non è mai compatto e serve ai sopravvissuti armeni, ai loro figli e nipoti, per non diventare schiavi del risentimento, per non sentirsi i soli disperati portatori di una storia negata. Forse per perdonare senza dimenticare. Prefazione di Marcello Flores.
Primavera 1915. Gabriel Bagradian, un armeno da tempo stabilitosi all'estero, è in visita nel villaggio natale con la moglie francese e il figlioletto quando il governo ottomano dà inizio alla deportazione e allo sterminio degli armeni. Bagradian si trova così a guidare l'eroica resistenza di alcune migliaia di armeni asserragliati sul monte Mussa Dagh. Grande poema corale brulicante di personaggi indimenticabili, "I quaranta giorni del Mussa Dagh", pubblicato ne1 1933, è una vibrata, profetica denuncia di tutti i genocidi della storia e un inno alla determinazione dell'uomo e alla sua capacità di resistere.
Mario De Micheli si occupa, in questo saggio, di quegli artisti che si sono trovati ad agire in contesti di oppressione e repressione delle libertà di espressione artistica, che hanno riflettuto sulle implicazioni sociali del loro ruolo e sulle finalità "politiche" dell'arte. In primo piano figure quali Picasso, i muralisti messicani, o gli artisti italiani vicini alle idee di "Corrente", ossia quanti hanno cercato soluzioni formali ed espressive in grado di trasmettere i valori civili oltre che estetici. A tenere il filo del discorso, nella molteplicità degli artisti trattati e nella ricchezza documentaria dell'opera, è il nesso fra arte e libertà, fra espressione creativa e realtà sociale e politica.
La "lunga battaglia" condotta da Jacques Maritain contro l'antisemitismo segue una evoluzione complessa e articolata che dura oltre cinque decenni. I testi raccolti nel presente volume, scritti dal 1921 al 1972, offrono per la prima volta al lettore italiano l'opportunità di seguire passo passo il percorso intellettuale di Maritain sulla questione ebraica, l'antisemitismo e lo Stato di Israele. Il pensiero del filosofo francese conosce una serie di significative trasformazioni, messe in luce dall'indagine storico-critica svolta in queste pagine. Costante è tuttavia la presenza di una stessa domanda: può un cristiano essere antisemita? Almeno a partire dagli anni Trenta, Maritain si adoperò instancabilmente per dimostrare che questo è possibile solo obbedendo allo spirito del mondo, non certo a quello del cristianesimo.
La storia della conquista del Cervino è una vicenda romanzesca che da 150 anni continua a suscitare passioni e controversie. I protagonisti sono la guida valdostana Jean Antoine Carrel il Bersagliere, l'illustratore vittoriano Edward Whymper, lo statista alpinista Quintino Sella e il suo braccio destro Felice Giordano, l'anticonformista abbé Gorret. Cruciali gli interrogativi mai chiariti: perché Carrel, bloccato a 250 metri dalla vetta, per tre anni non avanza di un passo sulla "sua" cresta del Breuil? E perché Whymper - miracolato da una corda spezzata costata la vita a quattro compagni - da superstite diventa il trionfatore del Cervino, mentre l'impresa degli italiani - che subito dopo espugnano la ciclopica piramide senza farsi un graffio resta nell'ombra? Pietro Crivellaro conduce una vera e propria inchiesta per chiarire una delle vicende più appassionanti dell'alpinismo. A guidarlo sono documenti autentici, pressoché sconosciuti, che svelano nuovi intrecci e retroscena. Il duello Whymper-Carrel si rivela così una vera e propria battaglia post-risorgimentale, con la regia di Quintino Sella, per contrastare l'invadenza degli inglesi sulle "nostre Alpi" e contribuire a "fare gli italiani".
Pavia, qualche anno dopo il 774. Alla tavola di Carlo Magno, che festeggia la vittoria sui Longobardi, si insinua di nascosto Adelchi, il principe sconfitto. Ma perché si ingegna a spezzare diligentemente tutte le ossa di cervo, di orso e di bue che restano nei piatti? Fonte Avellana, XI secolo. Pier Damiani è malato da tempo. Il suo corpo è debilitato perché nell'eremo il cibo scarseggia, in particolare manca il pesce. I confratelli insistono perché mangi carne, ma lui li rassicura: abbiate fede, il pesce prima o poi arriverà. Sarà Dio stesso a pensarci. Alessandria d'Egitto, XIII secolo. Il cuoco Fabrat vede comparire un povero con un pane in mano. Non ha soldi per comprare altro cibo, tiene il pane sopra la pentola e intercetta il fumo che sale. Fabrat non è di buon umore; si rivolge al povero con modi sgarbati e gli dice: adesso pagami "di ciò che tu hai preso del mio". Il povero si schermisce: ma scusa, io non ho preso dalla tua cucina altro che fumo. Fabrat non molla: pagami quello che mi hai preso. Come andrà a finire? E che avventure sono quelle di Dante Alighieri ospite del re di Napoli, del contadino Bertoldo in fin di vita per non avere rape da mangiare, dei castelli di zucchero presentati al banchetto di nozze del signore di Bologna, del cuoco Martino che lavora a tu per tu con l'umanista Platina? Si leggono d'un fiato le storie di questo libro, senza perderne una.
Gennaio 1933: Adolf Hitler viene nominato cancelliere e adotta una serie di provvedimenti volti a instaurare un regime totalitario e spiccatamente antisemita. Lion Feuchtwanger e Arnold Zweig, celebri scrittori ebreo-tedeschi, si trovano all'estero e decidono di non tornare in Germania. Continueranno però a riflettere su temi come la storia, la cultura e l'identità ebraiche. I due saggi contenuti ne "Il compito degli ebrei" che, pubblicati a Parigi in quello stesso fatidico 1933, vengono proposti ora al lettore italiano si inseriscono perfettamente nella medesima tradizione di pensiero rivelandosi nel contempo assai stimolanti e stilisticamente pregevoli. Ciò vale per il contributo di Feuchtwanger, secondo il quale il nazionalismo ebraico, in quanto fenomeno cosmopolita ed esclusivamente culturale, sarà in grado di arricchire in misura determinante un mondo ormai senza frontiere, come per il breve saggio di Zweig, il quale prende in esame l'insopprimibile volontà di esprimersi che aveva contraddistinto l'attività di tanti artisti provenienti dalle comunità ebraiche dell'Europa orientale e i risultati prodotti nei diversi ambiti artistici.
Dopo aver riconosciuto la libertà religiosa nel 1990, dal 1997 la Russia ha ricostituito un sistema confessionista che rispecchia quello zarista, rinnegando il separatismo proclamato nella Costituzione. Alla Chiesa di Stato viene assegnato un ruolo privilegiato e si ricostituisce la triade Ortodossia, Autocrazia e Spirito nazionale. Mosca si ripropone come Terza Roma, il cui territorio canonico esorbita dai confini dello Stato. Sorgono di conseguenza dei conflitti tra le Chiese ortodosse in Ucraina, Estonia e Moldavia. Il rapporto sinfonico che si è consolidato tra Kirill e Putin porta alla sacralizzazione dell'identità nazionale russa e alla conseguente discriminazione delle minoranze religiose. Nel saggio che conclude questo volume, Stefano Caprio mostra come la Russia di Putin sia un'incarnazione della Russia di sempre: un grande Paese dalla vocazione universale e incompiuta, un popolo messianico non per elezione divina, ma per conseguenze della storia, una terra senza confini in cerca di una nuova definizione. Dopo un secolo segnato dall'ateismo più sistematico e totalitario, l'Ortodossia russa è rinata come l'Uccello di Fuoco della mitologia slava. La guida suprema di questa rinascita, Vladimir Putin, ha sottomesso ogni possibile avversario e ha mostrato al mondo la volontà della Russia di tornare a essere la superpotenza di un tempo; la Chiesa del patriarca Kirill cerca di guardare al terzo millennio come alla nuova era del cristianesimo universale.