Attraverso "i luoghi e i tempi abitati dall'amore", il testo affronta il problema del linguaggio affettivo, ricco ma ambivalente e incompiuto: come una promessa che cerca le vie per compiersi, un grido inespresso che chiede voce e ascolto, un sogno di futuro che ha bisogno di disciplina e di lotta per realizzarsi. Il cammino parte dalla persona e sviluppa sette tappe con itinerari di crescita nuovi che valorizzano l'intera dimensione umana e affettiva del fidanzamento. Espressione dell'amore di Dio, il fidanzamento è tempo di responsabilità e grazia in cui il buon annuncio del Vangelo può trovare lo spazio ideale per mettere radici stabili. Si affrontano temi per la condivisione del vissuto, degli ideali, delle fatiche, delle scoperte fatte, sia in coppie costituite da poco, che in quelle con un lungo tratto di strada alle spalle. Il confronto aiuta il discernimento comunitario e l'individuazione delle "forme di vita" per testimoniare la fede oggi.
Braccio destro di Eugenio Cefis, sodale e rivale di Enrico Cuccia, a stretto contatto con Carlo De Benedetti e Raul Gardini, commensale di Roberto Calvi, in barca con Gianni Agnelli e Marco Tronchetti, socio dissociato di Armani. Francesco Micheli è sempre stato nel cuore del potere economico italiano. Eppure, si è sempre mostrato schivo al riguardo: un capitalista riluttante, forse perché il suo percorso viene da lontano. Parte da Parma, da un padre pianista e docente, da una madre molto attenta alla scelta della scuola migliore. Oggi, passati gli ottant'anni, Micheli ripercorre nel suo primo libro questo viaggio che lo ha reso unico nel panorama della nostra finanza: innamorato del mare, del volo, fine musicista, raffinato collezionista d'arte, tutto sempre mantenendo quella spontaneità e curiosità nei confronti del mondo che lo ha animato sin da bambino, quella capacità di divertirsi, sullo sfondo delle note del jazz. Un memoir formidabile che racconta un nomade della cultura e della vita che continua a cercare il bel suono, un visionario che ripercorre una vita vissuta da esploratore, col vento in faccia, per assaporarne ogni attimo e scoprire che è prezioso. Molto più del denaro.
Le facce da Ventotene che dal salotto di casa annunciano il ritorno del fascismo, emaciate e dolenti. I camerati di Forza Nuova che commemorano la strage di Acca Larentia in un'orgia di braccia tese, a favore di telecamere. I martiri della Resistenza che non fanno notizia. Immortalati, a Roma, nel Museo di via Tasso e nella cella dove il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo non cedette agli aguzzini nazifascisti, fucilato alle Fosse Ardeatine. Eroi che in "Antifascisti Immaginari" Antonio Padellaro racconta in antitesi al baraccone dei talk dove ci si accapiglia sul busto di Mussolini a casa La Russa o sul perché Giorgia Meloni non riesca a dichiararsi antifascista. Polemiche utili solo a distogliere l'attenzione dai disastri e dalle macchiette partorite dal governo di destra. Finzioni e ipocrisie scarnificate nella introduzione di Marco Travaglio.
Isolina ha salvato il suo matrimonio la notte in cui ha piantato una falce nel fianco di suo marito. Benedetta era la più bella della spiaggia, ma piuttosto che diventare Miss Cuore di Panna ha preferito darsi alle droghe pesanti. Con Gilda i funerali diventavano feste di compleanno. Azzurra a scuola aveva il Sostegno, ma era lei a non sostenere la banalità degli altri. Poi Irene, la migliore amica dei bambini piccoli e dei mostri giganti. E Violetta, troppo impetuosa per il suo fisico massiccio, che trasformava ogni abbraccio in una frattura. Anime intense e fiammeggianti, riunite in una sola, clamorosa famiglia. Non di quelle rigide, basate sul sangue, ma più libera e ariosa, tenuta insieme dalla colla calda dell'amore. Sono le zie e le nonne di Fabio, che questa settimana compie cinquant'anni, anche se nessuno ci crede e lui meno di tutti. Allora queste donne magnifiche vengono a trovarlo. Vengono nei suoi sogni, perché sono morte. Ma se c'è una cosa che gli hanno insegnato è che i sogni non sono la fine della realtà, come la morte non è la fine della vita. In realtà gli hanno insegnato molto altro, solo che Fabio era troppo piccolo per apprezzarlo. Tutto preso a seguire i suoi zii marinai e avventurieri, grandi maestri di vita "maschia" quando lui un maschio cercava di diventare. Adesso però è un tempo diverso, e tornano da lui le diverse lezioni delle zie. Silenziose e insieme così forti, sagge e folli, divampano nelle sue notti. Ognuna un sogno, un ricordo e una scoperta, una stella trascurata che torna a luccicare. Ma perché tornano tutte adesso, a una settimana da un compleanno che lo stranisce? Vogliono solo salutarlo, o c'è qualcosa di più importante che deve sapere, qualcosa che deve fare per conto dell'Aldilà? Con la sua voce unica e inconfondibile, Fabio Genovesi torna in Versilia per raccontarci delle sue maestre. Sua madre, sua nonna, le sue zie e le loro amiche, donne che non hanno scalato l'Everest o scoperto la penicillina, ma hanno saputo disegnare portenti che la Storia non ha registrato perché le manca la sensibilità. Donne che nelle loro vite ingarbugliate non hanno fatto grandi cose, ma hanno fatto cose grandi. E non smettono adesso che sono morte: eccole tornare nei sogni quando c'è bisogno di loro. Perché niente finisce morendo, niente sognando: tutto è sempre vero, e sempre vivo. Brucia e scintilla in queste magnifiche maestre, nelle lezioni che ci donano, e dentro di noi.
Padre Giovanni Bozzo (1916-1998), sacerdote salesiano e genovese di nascita, riceve dalla sua congregazione diversi incarichi, prima di insegnamento e poi come parroco in Liguria e in Toscana. Negli anni '70, soffrendo per la crisi causata dal decadimento dei valori spirituali e morali nella società moderna e stimolato dall'esperienza del Concilio, sente la chiamata a dare inizio a una comunità monastica che viva in una rinnovata fedeltà, seguendo le tracce dell'antica tradizione ma con modalità più consone alle esigenze dei tempi. In accordo con i superiori lascia la famiglia salesiana e l'attività apostolica per dedicarsi a una vita di solitudine e di discernimento presso un santuario della diocesi di La Spezia. Col tempo intorno a lui inizia un nuovo fermento, alimentato da incontri di preghiera aperti a tutti e da cui nascerà la comunità monastica Fraternità di Maria Immacolata Madre. Introduzione di Rosanna Mannucci. Postfazione di Maria Francesca Righi.
Confuso con il reazionario o con il liberale, il conservatore viene associato al mondo anglosassone, eppure esiste un'importante tradizione di conservatorismo italiano con una propria identità. Francesco Giubilei traccia la storia del conservatorismo italiano individuandone la genesi già nell'antica Roma e riscontrando nel cattolicesimo, nel Medioevo, nell'esperienza della Serenissima e nel contrasto alle derive giacobine della Rivoluzione francese i suoi tratti salienti. Da Catone il Censore e Cicerone a Giambattista Vico, da Vincenzo Cuoco e Giacomo Leopardi fino a Giuseppe Prezzolini arrivando a Leo Longanesi e Indro Montanelli, l'autore individua le figure ascrivibili a una tradizione di conservatorismo italiano e si sofferma sulle cause della mancanza nel Novecento di un grande partito conservatore italiano arrivando, infine, alla nascita del governo guidato da Giorgia Meloni, il primo Presidente del Consiglio a definirsi conservatore.
Tra colline di pietra bianca, tornanti, e paesi arroccati, Pietro Borzacchi sta viaggiando con il figlio Jacopo. D'un tratto la frizione della sua vecchia Golf lo abbandona, nel momento peggiore: di venerdì pomeriggio, in mezzo al nulla. Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant'Anna del Sannio. Quando Jacopo scende dall'auto è evidente che qualcosa in lui non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. In attesa che Oliviero ripari l'auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione, è proprio in una delle vecchie stanze che si sistemano. Sant'Anna del Sannio, poche centinaia di anime, è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana. Ad aiutare Agata nel bar c'è Gaia, il cui sorriso è perfetta sintesi del suo nome. Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità ogni apparenza. Perché Pietro è un uomo che vive all'inferno. "I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione." Ma la povertà non è la cosa peggiore. Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all'altezza del cuore. Il disamore. Per tutto. Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca. Il dolore di Pietro, però, si troverà di fronte qualcosa di nuovo e inaspettato. Agata, Gaia e Oliviero sono l'umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole. Con "Fame d'aria", Daniele Mencarelli fa i conti con uno dei sentimenti più intensi: l'amore genitoriale, e lo fa portandoci per mano dentro quel sottilissimo solco in cui convivono, da sempre, tragedia e rinascita.
Chi è davvero 'o Nasone, accusato di rapina a mano armata, associazione a delinquere, associazione mafiosa, 182 omicidi commessi e commissionati? Se lo chiede la scrittrice a cui il giornale dà l'incarico di intervistare proprio lui, il superboss. A lei che di criminalità non sa niente, che si è sempre occupata di adolescenti, tutt'al più cantanti, attrici, gente dello spettacolo. Il loro è l'incontro di due mondi lontanissimi che tali devono rimanere, almeno nelle intenzioni della protagonista. Eppure, quando lui inizia a parlare, qualcosa cambia. Quest'uomo spietato che alleva colombi e crede negli ufo comincia a interessarla. Non tanto quando si sofferma sulle cronache di furti, sparatorie e vendette, piuttosto per la nostalgia che vibra nei racconti delle donne incontrate e perdute, degli amici morti ammazzati, degli affetti famigliari. Quando insomma, pur non rinnegando il proprio passato, il boss si mostra vulnerabile. Il dubbio: forse la sta manipolando? È sul piano dei rapporti affettivi che boss e scrittrice si incontrano: nelle ferite di genitori incerti, forse sbagliati. Nel mistero dei figli con cui non sanno più comunicare e che temono di aver perso per sempre. Il confronto tra loro, pur sempre carico di diffidenza, si trasforma allora in un viaggio tra ricordi, confessioni, fraintendimenti e proiezioni, ma soprattutto rivelazioni su figli che non sono quello che loro credono. Così, quando la protagonista si trova a cercare le tracce del figlio di Misso nelle strade di Napoli, capisce di cercare qualcun altro: sua figlia che le sta sfuggendo.
Le grandi distopie immaginate da Orwell o da Huxley esprimevano la propria visione degli orrori del mondo solido-moderno abitato da produttori e soldati irreggimentati e ossessionati dall'ordine. Essi credevano nei sarti su misura, cioè nella possibilità di confezionare un futuro su ordinazione. Temevano gli errori di misurazione, i tagli scadenti o la corruzione dei sarti, ma non pensavano certo che le sartorie potessero fallire e scomparire. Le distopie del presente rappresentano un mondo in cui i sarti non ci sono più, in cui ci si crea da sé il proprio futuro che nessuno controlla, né vuole o sa controllare. In un mondo come questo non può che crescere lo scoramento e il disfattismo, l'incapacità di agire e la sensazione di essere condannati a soccombere. Eppure, secondo Bauman, questa è soltanto la descrizione di quello che stiamo vivendo. Non è vero che è «sempre la stessa storia»: il futuro non si deduce dal presente, il futuro non è un destino. Ancora una volta Zygmunt Bauman illumina, legge, interpreta e traduce ogni piega del tempo che viviamo.
Questo libro non vi trasformerà in geni! E non vi racconterà la favoletta che geni non si nasce ma si diventa. Ah! E non è nemmeno una classica biografia, un libro di scienza o una noiosa raccolta di aneddoti. Questo libro è un tentativo di entrare nella testa e nel cuore di Albert Einstein. Tante cose sono già state dette su di lui (alcune vere, altre no!), ma quello che Einstein può ancora mostrarci è come imparare a pensare per il piacere di farlo, a scherzare, a essere ribelli, a oziare, a non mettersi i calzini, a fare la pace, a fare la linguaccia, a ragionare fuori dagli schemi, ad ammettere di aver sbagliato e a dare sempre e comunque una possibilità all'impossibile. Un ritratto molto scapigliato di un'esistenza vissuta all'insegna non solo dell'intelligenza, ma anche dell'ironia, dell'immaginazione sconfinata e dell'opposizione a qualsiasi ordine e pregiudizio. La storia di un uomo che ha custodito fino alla fine una grande capacità: quella di sapersi meravigliare. Perché la meraviglia non è altro che una domanda in attesa di risposta. Età di lettura: da 10 anni.
Alessandro Sallusti è finito in galera per un reato, l'omesso controllo, che inevitabilmente commettono tutti i direttori di giornale (i direttori degli altri giornali, però, in galera non ci vanno); ha avuto un trisavolo fedele a Francesco II, re spodestato delle Due Sicilie, e dunque considerato un brigante dai governanti sabaudi della nuova Italia unita; ha scoperto sul manuale di storia delle medie che cosa era successo al nonno durante e dopo la guerra civile; ha sperimentato lo "stato di natura", vivendo per un mese in Amazzonia tra gli Yanomami; è stato fra i protagonisti, nel novembre 1994, dello scoop sull'avviso di garanzia che avrebbe fatto cadere il primo governo Berlusconi, mentre durante l'ultimo governo Berlusconi ha partecipato, nella villa di Arcore, alle riunioni della fantomatica "Struttura Delta" che avrebbe ordito strategie e complotti; ha conosciuto molto da vicino i protagonisti della politica, dell'economia, della società degli ultimi quarant'anni. A partire dagli episodi della sua vita famigliare, personale e professionale e con lo sguardo attento ai cambiamenti che stanno stravolgendo la nostra immagine del mondo, Sallusti mostra in questo libro il punto di vista eretico di un liberal-conservatore abituato a sentirsi minoranza - spesso irrisa - nei salotti buoni della cultura dominante, e tuttavia consapevole di essere in sintonia con la maggioranza delle persone in Europa e in Occidente, come le elezioni si incaricano invariabilmente di dimostrare. Contro la cancel culture e il senso di colpa della sinistra globalista, un liberal-conservatore difende le libertà che costituiscono l'orgoglio dell'Occidente e il suo più grande apporto alla storia del mondo. Contro le pericolose utopie buoniste, il conservatorismo rappresenta la voce del buonsenso in accordo con la realtà.