La storia della CRI nell'urgenza umanitaria e assistenziale della Prima Guerra Mondiale; il trattamento e le condizioni al limite dei prigionieri di guerra italiani come causa di un elevato numero di decessi; la fisiologia tecnico-logistica dei soccorsi nei suoi decisivi dettagli: questi i temi salienti trattati all'interno del volume. L'osservazione storico sociale è stata condotta attraverso documenti, in trascrizione integrale o parzialmente integrale, narrazioni locali e internazionali, l'opera di propaganda e di educazione, la corrispondenza dell'epoca, vagliate empiricamente anche con la ricerca di fonti complementari o alternative. Una prospettiva "micro" che guarda alle vicende umane e vi dialoga compenetrando aspetti di storia e di sociologia. Tra queste pagine torna la spinta volontaristica, internazionale e libertaria della Croce Rossa. Un'azione complessiva di enorme sviluppo, che ha aperto nuove frontiere per il soccorso e nuovi orizzonti per un benessere maggiore e più generalizzato dei popoli attraverso collaborazione e pianificazione. In questo contesto si evidenzia come la CRI abbia costituito un baluardo di umanità e una rete di servizi per i reduci tornati dalla prigionia: un intervento impegnato e laico durante una delle pagine più sanguinose della storia contemporanea.
Leonardo da Vinci non fu né “letterato” né “filosofo” professionale. Eppure, nonostante la sua vita errabonda, sempre alla ricerca di incarichi per dipingere, costruire macchine, proporre nuove invenzioni, ebbe la costanza di scrivere migliaia di pagine, rimaste quasi del tutto private. Oggi, a distanza di cinque secoli dalla sua morte (1519), il corpus dei suoi manoscritti ci appare come un immenso teatro, in cui molte nuove scienze furono progettate, ma nessuna portata a un livello accettabile di definizione. Ma è proprio in questa difficoltà a definire dei saperi particolari, che risiede il maggiore motivo di interesse per il pensiero di Leonardo: egli, scontrandosi con l’enciclopedia delle scienze che si trovava dinnanzi, aspirò a ripensare e riorganizzare tutto a partire da due punti di riferimento: la pittura, intesa essa stessa come una “filosofia”, e, a ciò legata, la natura, vista come un circuito di innumerevoli energie e “potenze”. La sua è quindi, per quanto frammentaria, una proposta schiettamente filosofica, da ricostruire alla luce della “filosofia naturale” del Rinascimento.
A Michele La Pusata, dodici anni fa, è stata diagnosticata la Sclerosi laterale amiotrofica, meglio conosciuta come SLA. Prima, la sua era una vita più che normale, tra figli, lavoro e piccole incombenze, poi non lo è stata più. Non si mette mai in conto di affrontare una malattia lenta e invalidante come questa e infatti nessuno è preparato. Ma se la prima reazione è stata di negazione e sconforto, ben presto l'atteggiamento di Michele è cambiato: circondato dall'amore dei tre figli, della moglie Stella e di tanti amici e parenti, la sua fiducia nel futuro e la sua voglia di vivere, anziché diminuire, sono aumentate. Michele, che ha scritto questo libro con il puntatore oculare, si considera un uomo davvero fortunato perché nonostante la malattia, fa esperienza ogni giorno di una vitalità senza confini. Non tutti però, dice, sono fortunati come lui: c'è chi affronta la SLA da solo o chi deve fare i conti anche con problemi economici e psicologici. Perciò bisogna fare attenzione quando si parla di eutanasia, perché la malattia, ogni malattia, è una battaglia privata e ciascuno deve avere il diritto di combatterla come meglio crede. Il racconto di una vita eccezionale nella sua semplicità: tra aneddoti e poesie, La Pusata ci porta in un mondo poco conosciuto, difficile, con una genuinità e una forza incredibili. Prefazione di Luca Antonini.
Perché siamo insoddisfatti della politica? Da dove viene il vuoto di fiducia che ha allontanato i cittadini dalle istituzioni? Di quale Europa siamo tanto diffidenti? Nel pieno della peggiore crisi dal Dopoguerra, l'economia italiana rischia di fermarsi. E allora come mai perdiamo tempo a combattere uno scontro ideologico vuoto e posticcio? Secondo Carlo Calenda, negli ultimi decenni gli italiani si sono assuefatti a un modo di guardare alla politica che li affascina e poi li pietrifica, come se subissero lo sguardo di Medusa, incapaci di tagliare la testa alla Gorgone che incarna i loro vizi. È la politica che ha bisogno di nuovi eroi prepotenti e muscolari. E poi c'è l'insofferenza profonda per le aspettative tradite: un sentimento bruto e cieco, capace della ferocia del Minotauro. D'altra parte, l'Italia è il paese della grande bellezza: la classe dirigente e i media sono cinici e nichilisti come Narciso. Oltre alla propria immagine riflessa, tutto il resto è brutto e sporco. E questo atteggiamento ha spinto il paese nel pantano della rassegnazione. La frattura tra lo Stato e i cittadini è la stessa che separa il progresso dalla società: se il progresso avanza troppo velocemente rispetto alla capacità della società di comprenderlo e dirigerlo, i cittadini si sentono spossessati del loro destino. La paura, la chiusura e l'aggressività sono reazioni inevitabili. Per costruire un percorso di cambiamento serve la fiducia. Calenda scrive un libro politico dedicato all'Italia e alle chimere che dobbiamo vincere.
Un tempo i ragazzi si divertivano con mezzi di fortuna in un cortile o sul marciapiedi. Ma ai giovani di oggi è stato negato anche quello. Nei mesi della pandemia, a causa delle restrizioni imposte dal coronavirus, i bambini sono stati cancellati dai provvedimenti governativi. Senza libertà di uscire, i nostri figli sono stati costretti a rinunciare a ritmi e rituali quotidiani e ai rapporti scolastici che ne scandivano l'esistenza e su cui si fonda in parte la loro identità. Hanno vissuto in spazi ristretti, senza poter esprimere la spontanea vitalità nei movimenti, schiavi di tv e tablet. E con un clima soffocante in cui si sono accumulate le tensioni dei genitori per il contagio, le loro apprensioni per le rinunce pesanti, le incertezze lavorative. La situazione degli adolescenti è, se possibile, ancora più complessa: si sono trovati bloccati in famiglia, senza poter incontrare gli amici e il mondo esterno e dovendo limitare poi le modalità della vita sociale. Come usciranno i «coronnial» dal periodo della pandemia con le nuove regole sociali che ancora impone e di fronte a una possibile ripresa dell'epidemia? Come possiamo aiutarli a superare un'esperienza che non ha precedenti per i ragazzi e per i loro genitori?
Raymond il poliziotto, Beatrice l’infermiera, Salvatore il piccolo imprenditore e Regina l’insegnante entrano nel tunnel del coronavirus con tutti gli altri, alla fine di febbraio a Adeago, in provincia di Bergamo. Ci entrano con le loro vecchie paure, frustrazioni, amori perduti e sconfitte, e con un carico di umana meschinità.
Quando comincia il contagio, il poliziotto ne approfitta per defilarsi dalle indagini su un furto di macchine da cucire, l’infermiera simula un incidente per sfuggire al Pronto Soccorso sovraccarico, l’imprenditore pensa di fare soldi fabbricando e smerciando mascherine di dubbia qualità e l’insegnante elude le lezioni online per liberarsi di studenti svogliati e genitori aggressivi. Il tutto mentre i loro colleghi danno prova di un ben diverso impegno.
Ma il virus non è solo un vento di morte, è anche un formidabile acceleratore di destini. E i loro deflagrano. Dalle feste per le vittorie dell’Atalanta si passa al deserto e poi al terribile corteo delle bare nei camion militari, e le storie dei quattro protagonisti si intrecciano e si coagulano intorno al vergognoso business delle mascherine finanziato da veri malviventi, alcuni con la pistola, ma i peggiori in giacca e cravatta.
Nel momento più buio, uomini e donne che pensavano di non avere più niente da chiedere o da perdere si troveranno di fronte l’occasione per riscattare una vita spenta. Una storia d’amore e di dolore, in cui si ride a crepapelle e si piange disperatamente, che parla del nostro tempo, delle nostre scelte, della possibilità di capovolgere il proprio futuro.
Un noir grottesco e travolgente come una Fargo lombarda.
«Mi considero un esploratore alla ricerca delle sorgenti del sogno». Così Vittorino Andreoli si avventura in un'impresa affascinante quanto stimolante: un viaggio alla scoperta delle origini di un'esperienza da sempre al centro delle riflessioni umane. Se fin dall'antichità la dimensione onirica ha sedotto e allo stesso tempo spaventato, come porta d'ingresso a una dimensione spirituale e misteriosa, con l'affermazione della psicoanalisi il sogno è diventato il mezzo fondamentale per accedere all'inconscio, rivelare le nostre pulsioni e scoprire i traumi subiti e celati. Evidenziando ciò che lega il sogno alla memoria, al meccanismo difensivo dell'oblio e ai desideri, alla coscienza e al vissuto personale, l'autore ne fornisce un'interpretazione originale sulle tracce delle intuizioni di Freud ma indicandone gli errori o quanto delle sue teorie può ritenersi superato. Soprattutto, spiega lo psichiatra, non bisogna considerare quella tra mondo reale e mondo onirico una relazione a senso unico. L'esplorazione di Andreoli arriva infine a porsi una domanda fondamentale per il futuro dell'uomo: con il prevalere di un mondo virtuale globalizzato e di massa, corriamo il rischio che questo sommerga, o peggio cancelli, la funzione immaginativa del cervello?
«Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche chi è rimasto nei villaggi, mille metri più in basso. Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle. Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame. Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore. Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione. Risaliamo per ore, nella neve che arriva fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. Il nemico, con i suoi cecchini - diavoli bianchi, li chiamano - ci tiene sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre ci arrampichiamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i «fiori di roccia». Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili. Ho conosciuto l'eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall'inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire. Ma oggi ho incontrato il nemico. Per la prima volta, ho visto la guerra attraverso gli occhi di un diavolo bianco. E ora so che niente può più essere come prima.» Con "Fiore di roccia" Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma forti nel desiderio di pace e pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale. La Storia si è dimenticata delle Portatrici per molto tempo. Questo romanzo le restituisce per ciò che erano e sono: indimenticabili.
Nella spasmodica ricerca di contenere il dilagare della pandemia, sempre più nazioni, inclusa l'Italia, hanno approvato decreti emergenziali volti a ridurre il più possibile i contatti sociali dei cittadini. A marzo del 2020, nel picco della pandemia, si tratta di quattro persone su dieci, in pratica il 43% della popolazione della Terra. Se la speranza, per molti, è quella di un rapido ritorno alla normalità, è lecito chiedersi: come sarà il "dopo"? Il Sars-Cov-2 potrebbe condurre a due ambivalenti e possibili scenari futuri: l'uomo vivrà una fase di benessere, pace e serenità che si configuri come post-bellica, post-patologica o post-povertà oppure si arriverà a una soglia in cui il post- collassa nel significato di dis-, creando un contesto dis-umano che nega ogni forma di valore condiviso e di comunione sociale. Fare i conti con questa ambiguità rivela l'esigenza di pensare come e cosa fare per uscire dal presente ed essere ancora umani nel futuro.
Cosa unisce il ronzio di una zanzara al destino economico e politico dell'Italia, e quindi dell'Unione Europea? Tanto. Molto più di quanto si possa immaginare. "Non è andato tutto bene" investiga, scava e disegna il possibile scenario che emergerà nel mondo e nell'Italia del dopo Coronavirus. Con ironia e leggerezza, passione e precisione, si analizzano i mesi marchiati dal demone Covid-19, che rappresenta la logica e inevitabile conseguenza degli eventi accaduti negli ultimi quattrocento anni. Attraverso osservazioni, annotazioni e interviste a esperti, il libro ricostruisce il fil rouge multidimensionale che lega eventi lontani tra loro nello spazio e nel tempo, narrando le occasioni perse e quelle da non perdere nel nostro prossimo futuro: dalla devastazione delle foreste vergini ai rischi dell'homo deus; dagli allarmi pandemici ignorati per anni alla politica sempre più evanescente e rivolta al controllo dei cittadini.