"Rosso fuoco laguna è una storia sulla riva del mare, di quell'Adriatico che a Chioggia... È tutta una storia di segni, di promesse appena accennate, come sospese nell'aria... Michele e Giovanni, ragazzi, inseguiti dalla minaccia di morte del bando Graziani, si nascondono nella loro città di mare come nel ventre di una materna balena. E sono mesi di notti insonni e veglie, di passi felpati e orecchie tese... di parole silenziose, proprio come quando si naviga, e si è attenti al più piccolo segno, per sperare... Sta a ciascuno di noi non deporre la ostinazione, e rimanere ancora, come in quelle remote notti di guerra, attento: ai minimi segni che la realtà ci concede, velando e svelando, annunciando ciò che non osiamo nemmeno sperare." (dalla Prefazione di Marina Corradi)
Pubblicato a puntate sul "Giornale di Sicilia" tra il maggio del 1909 e il gennaio del 1910, I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano innalzava a epopea letteraria un'antica leggenda del popolo siciliano. Ma Luigi Natoli faceva qualcosa di più che scrivere, da una favola popolare, le puntate straordinariamente avvincenti e misteriose, capaci di inchiodare nelle portinerie il popolo attorno a chi era in grado di leggere e che "quasi con prepotenza salivano negli appartamenti della borghesia siciliana". Di fatto creava il mito compatto di una società segreta a protezione degli oppressi: la setta tenebrosa dei Beati Paoli e il loro tribunale implacabile, entrava nelle dicerie e nelle fantasticherie popolari come verità storica indiscussa e nostalgia segreta di riscatto. Un successo enorme, dovuto sì all'aderenza ad un sentire popolare, ma anche all'arte di avvolgerlo in un intrico fittissimo di vicissitudini private derivanti da segreti inconfessabili, da odi di famiglia o di società; di imprese coraggiose e cospirazioni vili; di sentimenti e passioni invincibili; di personaggi tragici nel bene e nel male. Raccontati in un linguaggio sensibile a tutti i vari ritmi e le tensioni della trama, e soprattutto così ricco e moderno da spiegare come mai la tenuta ne sia straordinariamente duratura, rispetto alle opere del genere.
Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all'informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore. Un redattore paranoico che, aggirandosi per una Milano allucinata (o allucinato per una Milano normale), ricostruisce la storia di cinquant'anni sullo sfondo di un piano sulfureo costruito intorno al cadavere putrefatto di uno pseudo Mussolini. E nell'ombra Gladio, la P2, l'assassinio di papa Luciani, il colpo di stato di Junio Valerio Borghese, la Cia, i terroristi rossi manovrati dagli uffici affari riservati, vent'anni di stragi e di depistaggi, un insieme di fatti inspiegabili che paiono inventati sino a che una trasmissione della BBC non prova che sono veri, o almeno che sono ormai confessati dai loro autori. E poi un cadavere che entra in scena all'improvviso nella più stretta e malfamata via di Milano. Un'esile storia d'amore tra due protagonisti perdenti per natura, un ghost writer fallito e una ragazza inquietante che per aiutare la famiglia ha abbandonato l'università e si è specializzata nel gossip su affettuose amicizie, ma ancora piange sul secondo movimento della Settima di Beethoven. Un perfetto manuale per il cattivo giornalismo che il lettore via via non sa se inventato o semplicemente ripreso dal vivo. Una storia che si svolge nel 1992 in cui si prefigurano tanti misteri e follie del ventennio successivo, proprio mentre i due protagonisti pensano che l'incubo sia finito.
Mary amava i cavalli. E sapeva come trattarli. Nessuno sospetta che la santità vada a cercare, come una strana predatrice, una ragazza in una sperduta regione dell'Australia. Che vada in mezzo alla vita dura di una famiglia dove il padre è un ombra lontana e dove c'è bisogno di tutto, eccetto di una che si mette a insegnare ai piccoli senza distinguere tra nativi e emigrati, tra poveri e ricchi. Dicevano che beveva, conobbe la scomunica, ma Mary non fermò i suoi cavalli e le sue suore e, in una terra abbandonata dagli uomini e da Dio, portò avanti la sua missione. Una grande storia ambientata in un mondo lontano, dove più selvaggio sembra il vento e più intenso il sentimento che agita gli uomini. Lei, Mary discussa e fiera, è diventata la prima santa australiana.
Giulia è bella, colta e raffinata e appartiene a un'antica e nobile famiglia francese. Quando il padre, con il benestare di Napoleone, la invita a sposare un nobiluomo poco più grande di lei, Giulia non batte ciglio. Quell'uomo non è un nobile qualsiasi, ma Carlo Tancredi Falletti, marchese di Barolo e ciambellano di corte, di idee illuministe e dalla condotta integerrima. Un matrimonio combinato quindi, ma un matrimonio fra spiriti affini. Dalla loro residenza torinese passano Silvio Pellico, Cavour - amico di infanzia di Giulia -, Vittorio Alfieri ma soprattutto poveri, mendicanti, orfani e ammalati, ed è la stessa Giulia a servire i pasti caldi nella mensa allestita nell'androne del palazzo nobiliare. Ma non è sufficiente, mentre Carlo si occupa di sanità e istruzione, Giulia si prende cura delle "forzate" prostitute, ladre e assassine - rinchiuse in galera e insegna loro a leggere e scrivere e ottiene dal re l'incarico di sovrintendente alle carceri. Una vita, quella di Giulia, spesa interamente per gli ultimi, sorretta dalla fede e dall'amore di Dio, ma non è solo una donna tutto zelo e carità, insieme al marito si dedica anche alla produzione del miglior vino della regione, il Barolo, e introduce innovazioni che permettono l'incremento della produzione del vino e - con i ricavi - finanziano l'Opera Pia Barolo.
Dopo le prime prove letterarie, ancora di gusto tardo-romantico e scapigliato, a partire dalla novella "Nedda" Verga introduce una nuova maniera narrativa volta a rappresentare con realismo asciutto e crudo temi e personaggi ispirati alla natia Sicilia. Tale rinnovamento si consoliderà, con maggior rigore ed esiti sempre più convincenti, nella stesura delle raccolte da lui via via pubblicate e qui integralmente riunite: "Vita dei campi", "Novelle rusticane", "Per le vie", "Vagabondaggio", "I ricordi del capitano D'Arce" e "Don Candeloro e C". La durezza della vita quotidiana delle classi più indigenti, spesso in balìa di un fato cieco e incomprensibile, è fra i motivi ricorrenti di tutte le sue opere fra cui "I Malavoglia" e "Mastro Don Gesualdo".
Canale Mussolini è l'asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l'acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce e punteggiata di città appena fondate, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Tra queste migliaia di coloni ci sono i Peruzzi. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle. Con lui scendono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore. E poi la nonna, dolce ma inflessibile nello stabilire le regole di casa cui i figli obbediscono senza fiatare. Il vanitoso Adelchi, più adatto a comandare che a lavorare, il cocco di mamma. Iseo e Temistocle, Treves e Turati, fratelli legati da un affetto profondo fatto di poche parole e gesti assoluti, promesse dette a voce strozzata sui campi di lavoro o nelle trincee sanguinanti della guerra. E una schiera di sorelle, a volte buone e compassionevoli, a volte perfide e velenose come serpenti. E poi c'è lei, l'Armida, la moglie di Pericle, la più bella, andata in sposa al più valoroso. La più generosa, capace di amare senza riserve e senza paura anche il più tragico degli amori. E Paride, il nipote prediletto, buono e giusto, ma destinato, come l'eroe di cui porta il nome, a essere causa della sfortuna che colpirà i Peruzzi e li travolgerà.
Amalia è una grande attrice, di quelle per cui il confine tra persona e personaggio è sempre incerto. Raramente concede una carezza, ma con la nipote Emma ha un rapporto speciale, racchiuso nei loro "racconti sul letto": una storia tra le labbra di Amalia, le scarpe della nonna ai piedi di Emma e un filo di fumo nell'aria tra loro. Tuttavia, quando la donna muore, Emma, ormai affermata pittrice, capisce di non aver mai saputo chi fosse davvero: dal diario che la nonna le ha lasciato scopre l'Amalia dei giorni della guerra, una giovanissima modista, che vive le sue passioni senza temere il giudizio della gente. Un'Amalia diversa da quella che disegnava e cuciva abiti per lei, che stava ore a osservarla dipingere, l'Amalia dai collant con la riga e dalla sigaretta sempre in bocca. Un'Amalia più dolce ma sempre decisa, che ha conosciuto un amore assoluto e ha conservato per tutta la vita uno sconcertante segreto.
"Lo sai cosa lasciamo di noi? Una matassa ingarbugliata di capelli bianchi da spazzare via da un appartamento vuoto". Rocco Schiavone è il solito scorbutico, maleducato, sgualcito sbirro che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi che raccontano le sue indagini. Ma in questo è anche, a modo suo, felice. E infatti qui siamo alcuni anni prima, quando la moglie Marina non è ancora diventata il fantasma del rimorso di Rocco: è viva, impegnata nel lavoro e con gli amici, e capace di coinvolgerlo in tutti gli aspetti dell'esistenza. Prima di cadere uccisa. E qui siamo quando tutto è cominciato. Nel luglio del 2007 Roma è flagellata da acquazzoni tropicali e proprio nei giorni in cui Marina se ne è andata di casa perché ha scoperto i "conti sporchi" di Rocco, al vicequestore capita un caso di bravi ragazzi. Giovanni Ferri, figlio ventenne di un giornalista, ottimo studente di giurisprudenza, è trovato in una cava di marmo, pestato e poi accoltellato. Schiavone comincia a indagare nella vita ordinata e ordinaria dell'assassinato. Giorni dopo il corpo senza vita di un amico di Giovanni è scoperto, in una coincidenza raccapricciante, per strada. Matteo Livolsi, questo il suo nome, è stato finito anche lui in modo violento ma stavolta una strana circostanza consente di agganciarci una pista: non c'è sangue sul cadavere. Adesso, l'animale da fiuto che c'è dentro Rocco Schiavone può mettersi, con la spregiudicatezza e la sete di giustizia di sempre, sulle tracce "del figlio di puttana"...
In una nuova edizione speciale, tornano le prime due indagini del commissario Marco Luciani: "Domenica nera" e "Il vicolo delle cause perse". "Domenica nera": Sul prato dello stadio di Genova i giocatori si guardano perplessi. Sulle gradinate il pubblico rumoreggia. Il secondo tempo della partita che può decidere le sorti del campionato dovrebbe essere già iniziato, ma l'arbitro Ferretti non arriva. Verrà ritrovato impiccato nel suo spogliatoio: è una bomba, per l'ambiente del calcio italiano. Tutti sussurrano la parola che non si può dire ad alta voce: corruzione. Ma il commissario Luciani non ci sta a fare il gioco di chi vorrebbe insabbiare la vicenda. Andrà fino in fondo, a costo di farsi nemici molto potenti. "Il vicolo delle cause perse": La segretaria di un broker viene trovata agonizzante in ufficio, un lunedì mattina presto: per lei non c'è più nulla da fare. Nessun testimone, nessun movente, l'arma del delitto sparita. Il commissario Luciani ha appena dato le dimissioni, dopo la fine dell'inchiesta sul mondo del calcio, quindi il caso di omicidio tocca al suo vice, Giampieri. Le indagini però si complicano, il numero di morti aumenta e gli eventi precipitano: perché tutte le tessere dell'oscuro mosaico vadano al loro posto sarà necessario l'intervento di Luciani, e forse anche l'aiuto di san Giuda, patrono delle cause disperate e dei desideri segreti.
Ha appena cinque anni, Gaio Giulio Cesare, quando il padre decide di portarlo con sé per una campagna militare nelle terre da cui ha preso il suo nome: la Germania. Perché suo padre è Germanico, il più potente e acclamato generale di Roma. L'uomo che molti vorrebbero incoronare imperatore, al posto dell'odiato e temuto Tiberio. Il comandante che non ha paura di nulla, tranne che di un essere umano: la moglie, Agrippina, nipote di Augusto, la madre dei suoi figli. Tra loro c'è Gaio, che non ama il suo nome e preferisce il soprannome che gli hanno dato i suoi amici legionari, cui procura schiave e divertimenti, ottenendo in cambio di essere accolto nel loro gruppo e ricevere i loro duri insegnamenti. Quel soprannome che prende origine dalle calzature militari troppo larghe che ha sempre ai piedi, le "caligae". Quel soprannome che porterà con sé per tutta la vita: Caligola. E quando suo padre Germanico viene avvelenato ad Antiochia, la terza città più grande del mondo, il piccolo Caligola giura che avrà la sua vendetta. È in quel momento che capisce che essere amato non basta, che essere un grande guerriero non è sufficiente, che il vero potere risiede nelle informazioni. Per questo impara ad attraversare non visto i corridoi dei palazzi imperiali, dove viene a conoscenza di trame, intrighi e congiure, ordite da uomini assetati di potere e da donne crudeli e disinibite. Sotto il sorriso maligno del vecchio Tiberio, che pare avere stretto un patto con gli dèi, tanto si mantiene lucido, energico e spietato...
Un'infanzia solitaria e pensosa; un'adolescenza di sogni tormentosi, illuminata dalle letture; e una giovinezza rivoluzionaria, tra battaglie, giornali, illusioni e disillusioni. "Un uomo finito" (1913) è il romanzo-autobiografia intellettuale nel quale Papini racconta i primi trent'anni di vita di un giovane "nato con la malattia della grandezza". Affascinato da Bergson e dal titanismo di Nietzsche, lo spirito inquieto e geniale dell'autore, alla perenne ricerca della verità, rivive in un racconto sincero animato da una prosa ricca e brillante, con accenti di profonda poesia. Un'opera imprescindibile per cogliere la temperatura ideale, l'entusiasmo e la delusione della generazione di intellettuali che inaugura il Novecento.