In Italia, dove il potere della Chiesa per lungo tempo non è stato controbilanciato da quello di uno Stato in grado di arginarlo, sembra che l'unico atteggiamento possibile nei confronti di tutto ciò che riguarda la religione sia l'alternativa adesione/rifiuto. Tuttavia, prima di accapigliarsi sulle vere o presunte "radici cristiane dell'Europa", non sarebbe opportuno acquisire maggiore consapevolezza del ruolo del cristianesimo nella storia del continente e, soprattutto, dei cambiamenti che ha attraversato dalle origini ai giorni nostri? La Riforma protestante, nata dal pensiero e dall'opera di Lutero, è senza dubbio uno dei più importanti. Con quell'atteggiamento teso a comprendere, più che a giudicare, che Marc Bloch sosteneva essere una delle principali caratteristiche del lavoro storico, l'autore presenta la vicenda biografica di Martin Lutero e offre a un pubblico di non specialisti gli strumenti per comprendere le implicazioni più profonde e durature della Riforma iniziata con le sue novantacinque tesi. Nell'ultimo capitolo vengono passate in rassegna le interpretazioni della figura di Lutero, con una particolare attenzione alla cultura italiana.
Livia Drusilla Claudia fu moglie dell'imperatore Augusto e visse negli anni della trasformazione di Roma da repubblica a impero, testimone sia dei trionfi di Augusto che dell'epoca d'instabilità politica aperta dalla lotta per la successione. Deificata postuma nel 41 d.C., in vita Livia rappresentò per le matrone romane un modello di austerità e dedizione ai valori tradizionali. Ciononostante, i posteri non sono stati teneri con lei: autorevoli commentatori come Tacito, infatti, ne hanno restituito un'immagine di donna maligna e prepotente, votata all'intrigo e pronta a uccidere subdolamente uno a uno i suoi stessi familiari pur di spianare la strada verso il trono al figlio Tiberio, così da assicurarsi il controllo su Roma attraverso di lui. Matthew Dennison supera lacune e faziosità delle fonti, e in questa attenta ricostruzione biografica prova finalmente a rendere giustizia a una grande figura storica, dipingendone un ritratto appassionante ed equilibrato. In una società conservatrice e maschilista, nella quale le donne potevano essere ricordate solo quali esempi di virtù o vizio estremo, Livia seppe affermarsi come personaggio pubblico, gestì il proprio circolo di clientes e mantenne negli anni una sua sfera d'influenza riconosciuta: l'unico vero «crimine» di Livia non fu l'assassinio, dunque, ma l'esercizio del potere.
"Sono una rompiballe, lo so. Sai che dicevano gli astronauti americani? Un modo sicuro di tornare dalla Luna è quello di portare con noi l'Oriana..." Il famoso cattivo carattere di Oriana Fallaci oscura troppo spesso il talento e la determinazione che l'hanno fatta diventare quello che era: la giornalista e scrittrice italiana più celebre del Novecento. Nata povera in una famiglia di antifascisti, cresciuta in fretta nella Resistenza, si è presentata in una redazione appena uscita dal liceo e in pochi anni si è imposta in un lavoro allora dominato dagli uomini. Ha scoperto l'America negli anni '50, diventando amica dei divi di Hollywood e degli astronauti della Nasa. Si è trasferita a New York negli anni '60, per essere al centro dell'impero della comunicazione globale. È andata in Vietnam nel 1967, unica giornalista italiana a farlo, per avere finalmente il diritto di scrivere di politica come voleva lei. Ha affrontato l'uomo più potente dell'epoca, Kissinger, conquistandosi la fama planetaria che sarà poi il trampolino per la stagione dei grandi romanzi della maturità. E nella vita privata ha rivendicato fino all'ultimo il diritto di vivere senza tabù, come un uomo, con "un ventre e dei desideri". Grazie alle carte inedite e alle testimonianze di chi l'ha conosciuta, Cristina De Stefano ricostruisce una figura di donna modernissima, coraggiosa e sempre libera in ogni sua scelta.
Il tragico percorso della vita di Maria Stuarda ha origini e radici nella sua ascesa incredibilmente rapida alla condizione della massima potenza terrena: a sei giorni regina di Scozia, a sei anni fidanzata di uno dei più potenti principi d'Europa, a diciassette regina di Francia. Un'ascesa ottenuta senza fatica né merito, come in un sogno. Ma subito il sogno svanisce e interviene la delusione. Al ritorno in Scozia è esposta alla bufera della guerra di religione fino a giungere alla tragedia finale.
Luciano Pavarotti è stata una delle grandi stelle della lirica mondiale, il marchio inconfondibile del belcanto italiano. Ambasciatore infaticabile della musica, con il timbro della sua voce "morbida eppure volitiva come una melagrana appena spaccata, che sembra sangue e sa di zucchero", ha emozionato il pubblico dei più celebri teatri, dalla Scala di Milano al Metropolitan di New York. A suo modo "figlio d'arte" - il padre Fernando faceva il panettiere per mestiere e il cantante lirico per passione - Luciano non frequentò il Conservatorio ma si dedicò a un meticoloso apprendistato con Arrigo Pola ed Ettore Campogalliani, i suoi mentori e maestri, per poi esordire con successo all'inizio degli anni Sessanta. Da allora la sua straordinaria avventura artistica e umana non ha conosciuto soste. Fino al 6 settembre 2007, giorno della sua scomparsa, quando si è capito che Big Luciano avrebbe lasciato un vuoto difficile da colmare. Lo rimpiangono i melomani, ma anche i tantissimi appassionati d'opera, i milioni di fan che hanno imparato a conoscerlo grazie ai concerti con José Carreras e Placido Domingo e ai duetti con le grandi star del pop internazionale, in occasione dei "Pavarotti&Friends". Ma Big Luciano un successore ideale ce l'ha, e porta il nome di Andrea Bocelli. Anche per il tenore toscano la musica è una sola, e il messaggio che veicola, potente e universale, può diffondersi nello spazio raccolto di un teatro come in uno stadio gremito di folla.
Ci son quelli che amano i bilanci, la nostalgia, tornare piuttosto che partire. Ci son quelli, invece, che guardano sempre avanti e preferiscono mille volte gli inizi alle conclusioni. Lorenzo Jovanotti Cherubini è uno cosí, uno che, non appena finisce un disco, non vede l'ora di farne uno nuovo. Ma anche per quelli come lui arriva prima o poi il momento di volgere lo sguardo all'indietro e fare, se non un vero e proprio bilancio, almeno un backup. Per liberare spazio salvando il passato. A venticinque anni da "È qui la festa?", il suo primo grande successo, Lorenzo Cherubini tira il fiato e si racconta: la passione per il rap, le notti in consolle, gli inizi a Radio Deejay e, all'improvviso, la sensazione di essere al centro della scena della musica italiana, senza sapere bene come. E poi i viaggi, le idee, le canzoni scritte di getto e subito incise, o quelle tenute in un cassetto per anni. Come "Bella", rimasta musica fino all'arrivo della moglie Francesca. Sí, perché c'è anche questo in "Gratitude", c'è forse soprattutto questo: l'ispirazione che viene dalle persone e dall'amore per le persone. La donna della vita, un fratello che non c'è piú ma che si sente sempre... Con una voce in cui risuonano tutto il ritmo, la passione e l'allegria della sua musica, Lorenzo Cherubini ci trascina in una festosa maratona all'indietro, la rincorsa che serve a spiccare il volo. Perché per quelli come lui, anche con venticinque anni di carriera alle spalle, la vita è sempre un nuovo viaggio.
Dal 17 ottobre 2013 al 26 gennaio 2014, nella monumentale Sala delle Cariatidi, al piano nobile di Palazzo Reale a Milano, è allestita una grande mostra dedicata ad Auguste Rodin (Parigi 1840 - Meudon 1917), che con Michelangelo è uno dei più grandi rivoluzionari della tradizione plastica moderna. Promossa e prodotta dal Comune di Milano - Cultura, Palazzo Reale, Musée Rodin di Parigi, Civita e Electa, in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, l'esposizione è curata da Aline Magnien, Conservatore capo del patrimonio del Musée Rodin di Parigi, in collaborazione con Flavio Arensi. La rassegna presenta un corpus di oltre 60 opere con un numero tanto vasto di sculture in marmo da costituire la più completa rassegna che sia stata allestita sui marmi di Auguste Rodin. L'illusione della carne e della sensualità è il tema intorno a cui si sviluppa la prima sezione, nella quale sono raccolte alcune opere giovanili, di stampo classico, fra cui il celeberrimo Homme au nez cassé, rifiutato dal Salon parigino del 1864, un ritratto omaggio al grande genio Michelangelo. Al vertice di questa sezione sarà Il bacio, la scandalosa scultura che rappresenta due amanti e fece scalpore nella Francia di fine Ottocento, opera che ancora conquista i visitatori del Musée Rodin. La seconda sezione propone alcune fra le sculture più conosciute di Rodin e dimostra la piena maturità del maestro anche dal punto di vista della capacità di elaborazione...
Attraverso una attenta ricostruzione della vita e della filosofia di Giovanni Amendola, Alfredo Capone fornisce la chiave per indagarne il pensiero politico, che assume la democrazia liberale moderna fondata sul superamento del principio individualistico del liberalismo classico e su una concezione della religione come cristianesimo filosofico e aconfessionale. La democrazia politica di Amendola trova le sue origini nel radicalismo risorgimentale, nel cui solco egli colloca il riformismo del Partito socialista al quale aderì adolescente. Attraverso l’analisi del suo pensiero e delle sue vicende politico-biografiche, come l’esperienza della guerra – che mise a nudo le sue illusioni interventiste e il suo sogno di una “Grande politica nazionale” – l’autore mette in luce la svolta in senso radicale della sua concezione della democrazia, che si fonda sulla presa d’atto della catastrofe irreversibile della classe dirigente italiana nel suo insieme. Giovanni Amendola segna la linea di non ritorno dell’Italia liberale e laica del Risorgimento e l'inizio dell’Italia dei partiti di massa. Deve la sua “sfortuna” storiografica, secondo l’autore, alla struttura del sistema politico italiano, i cui conflitti trovano sempre una ricomposizione sulla frontiera del populismo, del consociativismo e dunque nel rifiuto della democrazia liberale europea di cui il nostro fu il massimo esponente nell’Italia contemporanea e per molti aspetti, il fondatore.
"Questa era la mia storia, e adesso dovevo raccontarla fino in fondo. Volevo che la mia Olimpiade impossibile, lunga quarantotto anni, spiegasse che il proprio futuro bisogna saperselo vedere nella testa, senza cedere alla rassegnazione e all'idea che tutto sia predestinato, liberando la mente da leggi assolute, da stereotipi e luoghi comuni, i grandi nemici del coraggio e della fantasia." Come scrisse Candido Cannavò, rimpianto direttore della "Gazzetta", a poche ore dalla pazzesca finale del kayak femminile alle Olimpiadi di Pechino 2008: "Signori, questa non è una storia di sport. È la vita che parla e, attraverso Josefa, ci sussurra: amatemi gente, e non ponetemi dei limiti". Niente limiti nella storia incredibile della canoista tedesca che, trasferitasi in Italia per amore, si allena con il marito Guglielmo Guerrini in una cava dismessa, "a tu per tu con aironi, anatre e alcune coppie di cigni", e diventa una delle azzurre più premiate di sempre. Niente limiti per l'atleta data molte volte per finita e che ogni volta era lì, ai Giochi, otto edizioni, ventotto anni di Olimpiadi. Niente limiti, anche se: "Non puoi vincere se hai appena avuto un bambino!", "Non puoi essere una brava mamma e portarti a casa l'oro!", "E poi, cosa c'entra la politica? Dove la metti, in questa vita di corsa?". Già, la politica, una nuova avventura, la più grande, proprio quando tutto sembrava finalmente calmo e tranquillo come il lago dopo una gara. Le elezioni da fuoriclasse, il Senato, il ministero...
Stella non ha mai conosciuto i suoi genitori. Cresce con una nonna eccentrica, una sorta di Bette Davis in stile vittoriano, adorata e terrorizzante al tempo stesso, fino a quando, compiuti i diciotto anni, non decide di trasferirsi a Londra. Il suo spirito ribelle e una voglia bruciante di nuove esperienze la spingono ad abbracciare il movimento punk, affascinata dal cangiante Ziggy Stardust di David Bowie, e a sperimentare ogni cosa. Il sesso innanzitutto. Con i personaggi più disparati. Uomini e donne. Ma una sera, a una festa, incontra "Daddy". Cinquant'anni, alto, forte, ricco, deciso. Stella va a stare da lui. Accetta di portare abiti da Lolita. E scopre che il sottile gioco erotico della sottomissione esercita su di lei un'attrazione irresistibile. Che ogni desiderio di lui è anche il suo. "Era la figura paterna che non avevo mai avuto e l'amante perfetto che avevo sempre desiderato". Trascorre tre anni da scolaretta in tacchi alti, accettando di subire punizioni per aver disobbedito, felice di rimettersi alle sue volontà, di non dover pensare a nulla, di non dover prendere decisioni, nemmeno sul cibo che può o non può mangiare. Tanto "ci pensa Daddy". Fino a quando il gioco non si ribalta.
Imprenditore illuminato, "utopista tecnicamente provveduto", sindaco e deputato al Parlamento, Adriano Olivetti (1901-1960) è stato uno degli italiani più originali e lucidi del Novecento. Idealmente inserito nel solco della tradizione di un socialismo consapevole e riformista, ha intuito con anticipo la crisi dei partiti politici e dei sistemi urbani metropolitani.
Uomo intimamente religioso, di padre ebreo e madre valdese, si era convertito al cattolicesimo, leggeva con passione Emmanuel Mounier, Jacques Maritain e Simone Weil e amava costellare i suoi discorsi di citazioni evangeliche. Laureato in Chimica industriale al Politecnico di Torino, Olivetti aveva soggiornato negli Stati Uniti per studiare i metodi produttivi e la struttura organizzativa delle grandi fabbriche americane, un'esperienza che lo aveva portato a rinnovare radicalmente l'azienda paterna di Ivrea - la prima a produrre in Italia macchine per scrivere - trasformandola in una multinazionale. Alla ricerca di un rapporto armonico tra città e campagna, fra industria e comunità - ma senza angustie municipaliste e paternalismi strapaesani - Olivetti aveva rinunciato al sistema a cottimo e aveva modificato la catena di montaggio affinché la sua fabbrica diventasse un modello di socialità e di industrializzazione senza disumanizzazione.
Sommario
Prefazione. L'uomo e le sue idee. Un imprenditore creativo. Politica e comunità. La terza via. Vangelo e rivelazione. Documenti. La Dichiarazione di Ivrea 22 gennaio 1955. L'esperienza sindacale di Ivrea. Il «Fordismo».
Note sull'autore
Franco Ferrarotti, professore emerito di Sociologia all'Università La Sapienza di Roma, direttore della rivista La Critica sociologica, deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963, è stato tra il 1948 e il 1960 tra i più stretti collaboratori di Adriano Olivetti. È stato tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d'Europa nel 1949, responsabile della divisione Facteurs sociaux dell'Ocse a Parigi. Nominato Directeur d'etudes alla Maison des Sciences de l'Homme di Parigi nel 1978, è stato insignito del premio per la carriera dall'Accademia nazionale dei Lincei nel 2001 e nominato Cavaliere di gran croce al merito della Repubblica dal presidente Ciampi nel 2005.
Sono passati cento anni esatti dalla sua nascita e Albert Camus è uno degli scrittori più letti e più amati del mondo. I romanzi: "Lo straniero", "La peste", "La caduta", i saggi filosofici "Il mito di Sisifo" e "L'uomo in rivolta", che coniugano al massimo grado il senso dell'assurdità del vivere e il continuo risorgere della speranza e dell'impegno, vengono continuamente ristampati in tutte le lingue e appassionano nuove generazioni. Michel Onfray, tra i più noti filosofi viventi, gli ha dedicato questa imponente "biografia filosofica", che testimonia finalmente la grande radicalità e originalità del suo pensiero. Nato ad Algeri, Camus apprese la filosofia nello stesso tempo in cui scopriva un mondo al quale rimase fedele tutta la vita: il mondo dei poveri, degli umiliati, delle vittime. Il mondo di suo padre, contadino morto in guerra, e quello di sua madre, donna delle pulizie incolta ma modello di virtù che Onfray definisce "mediterranee": coraggio, senso dell'onore, modestia, dignità. La vita filosofica di Albert Camus, che fu edonista, libertario, anarchico, anticolonialista e visceralmente ostile a ogni totalitarismo, illustra pienamente lo svolgersi di questa "morale solare" e offre a tutti noi non solo pagine di grande lucidità e passione, come quella che Onfray nutre, e fa nutrire, per Albert Camus, ma anche un praticabile modello di vita e di pensiero.