"Sono tanti i modi in cui possono essere accolte le giovanili lettere familiari di Andrea Camilleri. Uno però trascende tutti gli altri. È il modo di lettura di un oroscopo: di una osservabile configurazione astrale disegnata dai segni zodiacali e dai pianeti, metaforicamente trasposti nelle lettere che fanno sistema e determinano i pronostici sul maturo inventore del commissario Montalbano, sapiente lettore degli stessi libri preferiti dall'ancora inconsapevole scrittore di lettere; e di quell'irresistibile folletto chiamato Catarella, incarnazione di una plateale gestualità e teatrale comicità già portate in scena negli sketches improvvisati da Camilleri nelle sue carte messaggere. Il Camilleri dell'epistolario è un infervorato studente fuorisede. Vive a Roma. È un borsista dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica. Ha due insigni maestri, Silvio d'Amico e Orazio Costa. Fa subito amicizia con Vittorio Gassman, giovane attore del teatro di posa. Lui studia regia teatrale. È un moderno Robinson Crusoe, che di continuo deve inventarsi un alloggio sempre provvisorio, le suppellettili necessarie, tutti i gesti della giornata tra il lavaggio della biancheria e la ricerca di un ristorantino alla portata delle sue tasche semivuote, nonostante le sollecite sovvenzioni di una famiglia tutt'altro che ricca. In casi estremi può sempre contare su qualche generoso buffet da assaltare, magari in compagnia di una attricetta dell'Accademia e intonando «inni di guerra» condivisi dagli invitati più illustri: fra i più insospettabili, scrittori come Moravia o attori già affermati come Massimo Girotti. C'è qualcosa di picaresco nella narrazione epistolare, spesso autoironica e spettacolare: anche nel caso di quel convulso correre, qua e là, senza sosta, alla ricerca di un lavoretto. E intanto Camilleri studia, studia, studia. Pubblica poesie, racconti, articoli. Scrive soggetti per il cinema e per la radio. Si propone come regista. Riesce a collaborare con l'Enciclopedia dello spettacolo. E fa incontri strabilianti, come una volta accadeva ai cavalieri erranti. Conosce, insieme a Jean-Paul Sartre, il grandioso e canagliesco Jean Genet: scrittore e drammaturgo, ladro, cinico, generoso e argutamente spiritoso. Camilleri chiede il recapito all'ospite. Si sente rispondere che l'indirizzo più si- curo è, ovviamente, il carcere. Camilleri è giovane, giovanissimo. Ama il teatro. E come regista ha capacità anche rabdomantiche. Fa sgorgare l'acqua, dove tutti vedono solo cespugli secchi e pietrame. Annusa nell'aria, pure. Capta il vento che arriva. Anticipa i tempi, mettendo in scena autori ancora non sperimentati in Italia. Si chiamano Ionesco e Beckett. Sono gli anni 1957- 1958. Gli capita di cercare un attore all'altezza della parte. Non riesce a trovarlo. Gli piace azzardare. E decide di sostituire l'attore con un manichino. Il successo è strepitoso." (Salvatore Silvano Nigro)
Torna in una nuova edizione con una Nota inedita di Gianfranco Marrone il saggio divertente e arguto dell'antropologo francese Claude Lévi-Strauss che, a partire da un incredibile fatto di cronaca, ricostruisce le origini, i simboli e i rimandi che si celano dietro la figura di un personaggio quasi divino. «Babbo Natale è vestito di scarlatto: è un re. La sua barba bianca, le sue pellicce e i suoi stivali, la slitta sulla quale viaggia evocano l'inverno. Incarna l'aspetto benevolo dell'autorità degli anziani. Ma in quale categoria bisogna collocarlo dal punto di vista della tipologia religiosa? Non è un essere mitico, poiché non c'è mito che renda conto della sua origine e delle sue funzioni; e non è nemmeno un personaggio di leggenda, poiché non è collegato a nessun racconto semistorico. Appartiene piuttosto alla famiglia delle divinità. È la divinità di una sola fascia di età della nostra società e la sola differenza tra Babbo Natale e una vera divinità è che gli adulti non credono in lui, benché incoraggino i propri figli a crederci. Babbo Natale è dunque, anzitutto, l'espressione di un codice differenziale che distingue i bambini dagli adolescenti e dagli adulti». Nel Natale del 1951, sul sagrato della cattedrale di Digione, un fantoccio di Babbo Natale viene impiccato e poi bruciato, per manifestare agli occhi di tutti i bambini il rifiuto, da parte del clero, della «paganizzazione» della festa cristiana. Lévi-Strauss, fondatore dell'antropologia culturale e padre nobile dello Strutturalismo, trasse dalla notizia l'occasione per questo saggio, straordinario per intelligenza e ironia. Uno scritto intensamente divertente, perché fa rivolgere - divergere, appunto - lo sguardo da Babbo Natale, figura abituale e innocente, alle sue profondità di significato più recondite, arcaiche e perenni. Partendo dalle «coerenti illogicità» di questo culto - prima di tutto il fatto di essere forse l'unica credenza in cui gli adulti non credono pur spingendo i bambini a crederci - Lévi-Strauss scava in questa divinità dei non-iniziati, ovvero i bambini, che li demarca e li riunisce periodicamente agli iniziati. Perché cosa sono i bambini fin da sempre, e i loro riti di passaggio, e i morti, e i vivi-morti, nelle rappresentazioni incise nelle culture umane? L'episodio di Digione diventa così un momento di riflessione sulla categoria sociologica e antropologica che Gianfranco Marrone, nella sua Introduzione, chiama «natalizzazione». Categoria che, come mostra Antonino Buttitta nello scritto che chiude il volume, viene ricompresa all'interno delle tradizionali simbolizzazioni del «contratto sociale» iniziatico tra i vivi e i morti.
Tornano i bestseller di Madeline Miller, per la prima volta riuniti in un prezioso cofanetto in lamina d'oro: il regalo perfetto per gli amanti della mitologia e dello stile unico dell'autrice.
«Tutti quei morti ammazzati, e io ancora senza giustizia». Serve coraggio quando si parte, ma a volte ne serve ancora di più quando si torna. È il luglio del 1940, l'Italia è in guerra. Ricciardi - preoccupato per la figlia Marta e per i suoceri, in grave pericolo a causa delle origini ebraiche - ha ormai trasferito la famiglia a Fortino, il paese dove è nato. Lì, nei luoghi dell'infanzia, sperava di avere un po' di quiete. Invece, mentre in città il fido brigadiere Maione cerca di salvare un comune amico da morte certa, tra le montagne del Cilento il commissario è messo faccia a faccia con un passato che avrebbe voluto scordare. Per lui, e non solo per lui, è arrivato il momento di regolare i conti con la propria storia. Del resto è questo, quasi sempre, il destino di chi torna.
Inaudita e ingannevole è la presenza di Dioniso, il nemico dei tessitori, il dio che scioglie e dissolve, «la cui manifestazione trascina gli umani alla pazzia». Attraverso pagine dense e affascinanti, Otto ci conduce alla scoperta di un dio straordinario, e, come già Nietzsche prima di lui, si fa esegeta della complessità dionisiaca per cristallizzare quell'irriducibile singolarità che è stata la forma greca del divino. Da semplice opposto della ragione, l'irrazionale assume nella lettura di Otto l'aspetto di Dioniso stesso, in cui la contraddizione è duplicità sensibile e piena di senso. E in quella che emerge come tesi portante, fra le più sorprendenti, del libro, Dioniso si rivela un dio genuinamente greco - non proveniente dall'Asia Minore come spesso ipotizzato -, dunque piena espressione di quel «divino grecamente sperimentato» che, secondo Otto, rappresenta «un'eccezione nella storia dell'umanità».
Ognuno di noi ha un brano letterario a cui è particolarmente affezionato. Esistono brani che toccano un po' tutti, sia perché collegati a ricordi indelebili del proprio percorso scolastico, a passaggi di vita significativi, o anche solo perché famosissimi. La proposta che l'autrice fa a ogni lettore in questo libro è quella di trovare in questi testi - antichi e moderni - qualcosa che può essere di ispirazione, aiuto, consolazione e sostegno per il nostro quotidiano. Da S. Francesco a Carducci, da Dante a D'Annunzio, da Boccaccio a Foscolo, da Petrarca a Leopardi per finire con Pirandello, Ungaretti e Deledda, undici autori e undici testi per scoprire qualcosa che la letteratura può insegnarci ancora oggi: a stare con le persone, a gestire le nostre emozioni, a comprendere il mondo che ci circonda.
"La finzione di un racconto a volte è l'unica maniera che abbiamo per poterci avvicinare alla drammaticità dell'esistenza. Christian Bobin è un maestro in questo. Egli sa bene che per dire qualcosa di serio a un adulto bisogna parlare al suo bambino. Ai bambini si può dire la verità..." (Postfazione, L. M. Epicoco). Tacite e Brulhe, due gatti, lui nero, lei bianca come la neve. Attraverso di essi Ch. Bobin racconta le sofferenze di una coppia finita e quando lei lo abbandona lui crolla nell'oscurità, fino al giorno in cui un fiocco di neve lo riempirà di luce. Un cuore luminoso... è il 24 dicembre e Tacite riprende a vivere. "Il Natale, in fondo, è la nascita di un bambino fragile come un fiocco di neve, fragile come una sottile ostia, ma capace di suscitare una luce dentro, che ha il potere di cercare e guarire ciò che sembrava perduto." (L. M. Epicoco)
"La maggior parte dei miei amici diventano personaggi dei miei romanzi. Ma questo assassino che immaginavo senza conoscerlo, il mio terribile assassino, da dove viene?" D. P. Nonnino, che diventerà il formidabile malfattore di Capolinea Malaussène, ha solo quattordici anni quando prepara il primo colpo della sua magistrale carriera di ricattatore e criminale. Nel seguirne i primi passi, Pennac intreccia invenzioni letterarie e autobiografia rivelando il suo modo di lavorare e le sue fonti di ispirazione per creare un personaggio. Non è solo il nuovo romanzo di Pennac, è tutto Pennac in un romanzo.
Nessuna generazione prima di questa ha raggiunto la vecchiaia in così numerosa formazione e in uno stato così attivo, e questo - scrive Erri De Luca - la rende oggi un'età sperimentale. Un'occasione, dunque, la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo di sé e degli altri, di allenare il corpo e la mente con maggiore consapevolezza e forse con più gusto. Non invece il momento, come pensano in molti, di guardare soltanto indietro. "A che somiglia quest'età?" si chiede De Luca. "Alla risalita di un bosco di montagna. Nel fitto delle conifere entra poca luce, vedo giusto quello che mi sta stretto intorno, ma verso l'alto si diradano, si aprono radure, c'è più luce. In questa età da cima del bosco vedo lontano, scorci di futuro, non il mio, quello senza di me. Il poeta Goethe morente pronuncia le sue ultime parole: 'Mehr Licht', più luce. Non è una richiesta, è la sorpresa di vederla splendere. Oggi vedo una gioventù che sente il proprio futuro tutt'uno con quello della Terra intera. Guarda lontano, avvista l'avvenire. Anche io, anche i nuovi vecchi vedono più lontano, in cima al loro bosco." Grazie anche al contrappunto di Ines de la Fressange, celebre stilista e amica dell'autore, L'età sperimentale è un libro e al tempo stesso un'occasione, per scoprire quante possibilità racchiude la terza età - ciascuno trovi la propria, e De Luca ne cita molte -, e tutto il vantaggio di aver guadagnato "lo slancio del tempo accumulato, potente catapulta del participio passato del verbo passare". "È un'età sperimentale. Ho la strana sensazione che nessuno è stato vecchio prima di me. La vecchiaia di chi mi ha preceduto non mi fa da modello e non mi prepara a niente. Per il corpo di ognuno, quando succede è per la prima volta."
«C'è una tela struggente di Frida Kahlo che mostra una cerva dalla faccia di donna, che corre in un bosco. Il corpo è trafitto da frecce, come un san Sebastiano ferito, ma non soggiogato, mentre sul fondo si intravvede un mare in tempesta.» Quel dipinto per Dacia Maraini rappresenta idealmente la realtà degli abusi, dei femminicidi e più in generale la condizione di inferiorità cui le donne sono state condannate per troppo tempo. «Private di libertà e sottomesse, le donne hanno spesso introiettato il loro stato di inadeguatezza arrivando a considerarlo un fatto biologico. Bravissime a fare figli e accudirli, sono state considerate prive di un proprio pensiero e soprattutto di autonomia e libertà.» Per contrastare questa violenza, secondo la scrittrice che ha creato personaggi letterari femminili indimenticabili, occorre agire sulla cultura, sulle abitudini identitarie, sulle disparità di genere, sulla misoginia linguistica. Le ragioni dello scontro vanno ricercate nel mondo patriarcale in cui siamo ancora immersi e in cui è montata una rabbia vendicativa, una voglia di riportare l'ordine colpendo chi ha preteso indipendenza, riconoscimenti professionali e prestigio. Un percorso difficile e irto di ostacoli paragonabile a quello che ha portato alla conquista della dignità sociale ed economica degli operai contro gli industriali. Uno scontro tra poteri inevitabile e non diverso dalle rivolte dei contadini contro i feudatari, o dalle lotte dei democratici contro i proprietari di schiavi.
Molte persone passano gran parte della vita in carcere senza aver commesso alcun crimine. Quello dell'ingiustizia è un tema centrale in tutte le opere di John Grisham, che in questo libro ha deciso di raccontare dieci casi sconvolgenti insieme a Jim McCloskey, da molti anni in prima linea per restituire la libertà agli innocenti. Si tratta di storie tragiche, talvolta assurde, che lasciano con l'amaro in bocca e un senso di profonda incredulità. Drammi umani che svelano aspetti crudeli e altrettanto coraggio. Coloro che finiscono in questa situazione si ritrovano in trappola e sacrificano decenni della loro vita e tutto ciò che hanno di più caro in prigione, rischiando la pena capitale mentre i veri colpevoli restano fuori. Da cosa nascono queste condanne ingiuste? Razzismo, negligenza, collusione, testimonianze false e corruzione tra le forze dell'ordine e nelle aule dei tribunali rendono difficilissima la scarcerazione di persone condannate all'ergastolo o a morte senza ragione, e spesso contro ogni evidenza e ogni logica. Documentato impeccabilmente e narrato in modo avvincente, "Incastrati" descrive l'ingiustizia subita dalle vittime del sistema giudiziario americano e le dure battaglie per ottenere la loro assoluzione e salvare le loro vite. Ne esce un interessante e inquietante spaccato dell'America profonda e la testimonianza che la libertà può vincere anche quando tutto sembra perduto.
«Colette è rimorta, parola che non esiste da nessuna parte. Non esiste il termine rimorire». Colette era una donna senza storia, almeno così crede la nipote fino a quando una telefonata della gendarmeria non la informa del suo decesso. Il fatto è che Colette, la sua unica zia (Tata, zietta in francese), giace sepolta al cimitero già da tre anni... Romanzo raffinato, in cui si intrecciano destini e trame palpitanti, con il quale Valérie Perrin, straordinaria narratrice delle nostre vite, firma il suo grande ritorno. Agnès non crede alle sue orecchie quando viene a sapere del decesso della zia. Non è possibile, la zia Colette è morta tre anni prima, riposa al cimitero di Gueugnon, c'è il suo nome sulla lapide... In quanto parente più prossima tocca ad Agnès andare a riconoscere il cadavere, e non c'è dubbio, si tratta proprio della zia Colette. Ma allora chi c'è nella sua tomba? E perché per tre anni Colette ha fatto credere a tutti di essere morta? È l'inizio di un'indagine a ritroso nel tempo. Grazie a vecchi amici, testimonianze inaspettate e una misteriosa valigia piena di audiocassette, Agnès ricostruisce la storia di una famiglia, la sua, in cui il destino dei componenti è legato in maniera indissolubile a un circo degli orrori, all'unica sopravvissuta di una famiglia ebrea deportata e sterminata dai nazisti, alle vicende di un celebre pianista e a quelle di un assassino senza scrupoli, alle subdole manovre di un insospettabile pedofilo e al tifo sfegatato per la locale squadra di calcio, il FC Gueugnon. Sulla scia di "Cambiare l'acqua ai fiori" e "Tre", Valérie Perrin ci trascina in un intreccio di storie, personaggi e colpi di scena raccontati nel suo stile fatto di ironia, delicatezza e profondità.