Il volume testimonia l'avanzatissimo stato di costruzione della Sagrada Familia dopo la consacrazione e il riconoscimento di basilica minor da parte di papa Benedetto XVI nel 2010. La vertiginosa altezza e complessità della chiesa di Antoni Gaudí è ora visibile a tutti. Fino al 1985 i lavori di cantiere erano proceduti molto lentamente e tra polemiche infuocate, i cui protagonisti internazionali spingevano perché la costruzione fosse conservata nello stato in cui l'aveva lasciata l'autore. La volontà di prosecuzione del progetto del grande catalano venne perseguita dai suoi discepoli, dalla Junta Constructora del templi expiatori de la Sagrada Familia, dai barcellonesi e dalle molte donazioni liberali che affluirono con continuità. Più recentemente vi hanno contribuito gli innumerevoli visitatori da ogni parte del mondo. Per statuto la basilica doveva essere costruita solo su base di donazioni. Jaca Book ha pubblicato diversi volumi su Gaudí e sulle sue architetture, divenendone il principale referente e interprete italiano. Sulla Sagrada Familia, in particolare, ha promosso coedizioni in più lingue con l'editore spagnolo Lunwerg. Quest'ultimo volume è il primo a segnalare in Italia lo stato avanzato del cantiere e a ripercorrerne la lunga storia.
Come si comportò Giuseppe nei confronti del figlio adottivo Gesù? E come hanno interpretato i pittori di ogni epoca il loro singolare rapporto? Prefazione di Isabel Iribarren
I santuari hanno cominciato a diffondersi a partire dal IV secolo grazie al successo in Occidente del culto dei santi. Grande, infatti, era l'afflusso di pellegrini desiderosi di ottenere guarigioni, di venerare reliquie e immagini sacre legate soprattutto alle apparizioni della Madonna e dell'arcangelo Michele. Questo rappresentava un paradosso per la religione cristiana, dal momento che il suo fondatore aveva rifiutato l'idea che esistessero dei luoghi privilegiati per rivolgersi a Dio. Ma le iniziative dei vescovi e la pressione dei fedeli smussarono presto questo riserbo. André Vauchez ricostruisce la storia della formazione di questi santuari e la loro crescita all'interno del mondo cristiano occidentale fra il IV e il XVI secolo. I più rinomati furono quelli di Gerusalemme - a cominciare dal Santo Sepolcro -, San Michele Arcangelo sul Gargano e in Normandia, San Martino di Tours e Rocamadour in Francia, Santiago di Compostela in Spagna e, negli ultimi secoli del Medioevo, San Francesco ad Assisi e della Madonna di Loreto in Italia. Insieme ad altri più modesti e meno noti, questi santuari formarono una rete densa di luoghi sacri che popolò l'Europa con forme nuove di sacralità. Un'ampia iconografia completa una ricerca così vasta e originale.
Il testo analizza tredici icone mariane, fra le più antiche e venerate nella Chiesa orientale e occidentale. Le icone sono descritte dall'autrice in chiave teologico-artistico-spirituale per proporne una lettura che guidi a scoprirne il profondo significato dottrinale e, nello stesso tempo, la bellezza iconografica. Tale bellezza è quella che conduce, gradualmente, coloro che guardano queste icone, a entrare in una dimensione "altra", spirituale, ovvero pervasa dalla stessa pienezza di relazione nello Spirito Santo che ha guidato gli iconografi a "scrivere" ciascuna icona. E quindi a poter iniziare quel dialogo interiore con il Dio uno e trino, la preghiera contemplativa, cui l'immagine rimanda.
A un primo sguardo, molte delle più significative icone russe del XIV e XV secolo sembrano viziate da assurde incongruenze, violazioni inspiegabili del canone prospettico e della conseguente ‘unità’ della rappresentazione: edifici di cui vengono raffigurati insieme la facciata e i muri laterali; libri (i Vangeli) di cui si scorgono tre o addirittura tutte e quattro le coste; volti con «superfici del naso e di altre parti» che non dovrebbero vedersi; e, a sintesi di tutto, un policentrismo che fa coesistere «piani dorsali e frontali». Eppure, simili icone ‘difettose’ – fondate proprio sull’eresia di prospettive «rovesciate» – risultano infinitamente più creative ed espressive rispetto ad altre più corrette, ma inerti. Come mostra Pavel Florenskij in questa perorazione fiammeggiante – con un excursus storico che si estende dalle scenografie del teatro tragico greco ai vertici della pittura rinascimentale e oltre –, quelle violazioni, lungi dal dipendere da una « grossolana imperizia nel disegno», sono «estremamente premeditate e consapevoli». Di più: riassumono una ribellione, cognitiva prima che estetica, alla stessa egemonia della rappresentazione prospettica e alla sua presunzione di detenere «l’autentica parola del mondo». Ne deriva una sorta di invettiva, in cui il regesto delle carenze della prospettiva lineare e della visione del mondo che la presuppone si traduce, a contrario, in quello dei caratteri richiesti dall’«arte pura»: la sola che ci permetta di accedere – come le dorate «porte regali» dell’iconostasi – all’«essenza delle cose» e alla «verità dell’essere».
«Le porte regali» uscì in Italia nel 1977 con traduzione dal russo e introduzione di Elémire Zolla. Ora che molti scritti florenskijani sono noti al pubblico italiano, questa edizione procura l'occasione rara di immedesimarsi attraverso la parola di Florenskij e il commento empatico di Zolla nel mistero di un dipingere che si fa strumento di conoscenza soprannaturale giacché l'icona - scrive l'autore - è la reminiscenza di un archetipo celeste. Le fasi del dipingere equivalgono a una cosmogonia: dalla campitura di biacca sulla tavola all'abbozzo, alla stesura del colore di base, alla modellatura dell'immagine, alla luce sul volto con le ripassate dell'oro in polvere. Gli stili della pittura di icone in Russia e nelle altre terre di fede ortodossa hanno conosciuto un'ovvia evoluzione attraverso i secoli mantenendo però intatta la fedeltà al canone la cui formulazione esemplare è nel sillogismo: «Esiste la Trinità di Rublev, perciò Dio è».
Il saggio indaga una possibile analisi icono(teo)logica del capolavoro di Rembrandt: Il ritorno del figliol prodigo. Lo scopo di questo studio è di leggere attraverso la doppia lente della teologia e dell’iconografia, o meglio, attraverso una sintesi delle due, l’icono(teo)logia, il tema dell’abbraccio. Grazie ai significati nascosti nei gesti, nei colori e nelle pose degli elementi figurativi, l’opera di Rembrandt offre una personificazione della Trinità, alla luce di passaggi scritturali e teologici che ne fondamentano e illuminano il messaggio.
L'immortalità dell'anima e la risurrezione dei corpi, il giudizio universale e quello individuale, l'inferno e il paradiso sono i temi ricorrenti nei saggi raccolti nel volume, dedicati alle tematiche escatologiche nell'iconografia medievale. Il principale argomento della trattazione è tuttavia la morte, considerata sia nella sua portata analogica - la riflessione cristiana ha conosciuto da sempre differenti accezioni e livelli - che in quella dialettica, che coglie della morte un volto positivo e uno negativo. Prefazione di Severino Dianich. Con un saggio in collaborazione con Agnese Maria Fortuna.
Lungo tutto il primo millennio dell'era cristiana, le immagini religiose erano state elevate a una dignità che le avvicinava al potere simbolico del sacramento Nei secoli moderni, questa gloria storica dell'icona perde progressivamente significato. Si inaugura, con l'Umanesimo, quella che Giuliano Zanchi chiama «l'epoca dell'Arte e della Ragione», in cui il pensiero scientifico diventa lo strumento di interfaccia col mondo e l'immagine viene codificata secondo i canoni squisitamente qualitativi della formalità artistica. La cultura religiosa si ritrova così in esilio nella sua stessa epoca, guardata con sospetto e spesso assimilata alle regioni occulte della magia e della credulità. Eppure, la materia simbolica continua a muoversi, nella 'clandestinità' della devozione popolare. Compaiono immagini sacre 'residuali' che però riescono ad aprire brecce a quanto era stato lasciato fuori da porte ormai chiuse. 'Immagini vive' come quella del Sacro Cuore (ma anche le immagini miracolose, le apparizioni mariane, la Sindone di Torino) che esprimono un disagio e veicolano un rimosso. Storie che possono illuminare anche spazi della nostra 'civiltà delle immagini'.
Come ben sapevano i predicatori medievali, delle due grandi leve del comportamento umano - la paura del castigo e la speranza del premio - la più efficace era la prima. Di qui, allora, lo sviluppo di immagini dell'Inferno che fra Tre e Quattrocento sono sempre più complesse e crude, così da turbare gli animi e smuovere le coscienze. Ma in che direzione? E a quale scopo? La domanda è assai meno scontata di quanto non possa apparire. Dal momento, infatti, che gli exempla negativi avevano senso solo in funzione di quelli positivi, il grande teatro dei reprobi si prestava anche ad una lettura al contrario, in cui le figure dei peccatori, lungi dal costituire solo un terribile ammonimento, indirizzavano il fedele verso atteggiamenti speculari e opposti a quelli puniti. La critica si faceva insomma proposta, complici le scelte iconografiche di artisti e committenti (comunità, privati, confraternite, ordini religiosi, ecc.), che attraverso il tema dell'Inferno potevano esprimere i propri ideali di convivenza civile.
Un viaggio dalle catacombe all'arte contemporanea, dall'Oriente all'Occidente europeo, con un'apertura sull'arte extra-europea (Asia, Africa, America), per raccontare un evento fondatore della storia cristiana. Il Battesimo di Cristo, ricevuto all'età di circa trent'anni e raccontato dai quattro Vangeli, mette fine al lungo silenzio sulla vita a Nazareth - il precedente episodio raccontato era il Ritrovamento tra i Dottori del Tempio all'età di dodici anni - e rappresenta il portico d'ingresso sul successivo digiuno nel deserto per quaranta giorni, al quale seguirà il ministero pubblico, che lo condurrà alla Passione, Crocifissione e Resurrezione. Il Battesimo gli fu amministrato, su sua richiesta, dal cugino diventato eremita nel deserto e predicatore, Giovanni Battista, che inizialmente rifiutò dichiarandosi indegno e infine obbedì, imponendogli la mano sulla testa o compiendo un gesto di unzione, mentre Gesù si immergeva nel fiume Giordano. In quel momento ebbe luogo una solenne teofania: lo Spirito Santo scese su Cristo mentre la voce del Padre lo designò come il Figlio prediletto. Questo momento inaugurale costituisce una sorta di archetipo del sacramento che ricevono tutti i battezzati "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" in occasione del Battesimo che li ammette come membri della Chiesa.
L'approccio dell'architetto verso la progettazione di una chiesa, prefigurazione spaziale e sensoriale della Gerusalemme celeste, deve giocoforza superare le dinamiche proprie del disegno di un edificio civile: oggi come ieri, l'architettura di una chiesa deve essere in grado di dimostrare a chi è entrato nell'edificio che ha varcato il fanum, ha superato la soglia del sacro. I quattro saggi che compongono questo libro, solidamente costruiti attorno al dettato della Scrittura e al magistero della Chiesa, si propongono come spunti di meditazione su alcuni degli elementi essenziali attorno ai quali sviluppare il progetto di costruzione o adeguamento di un edificio di culto: la musica, la luce, i poli liturgici, le proporzioni.