
La descrizione di un pranzo a casa di Clearco, uno dei più ricchi e voluttuosi cittadini di Atene, attraverso il quale si possono ricostruire le usanze e le tradizioni greche a tavola.
Ricerche archeologiche ancora in corso sull'antico insediamento di Trebbio, localizzato nella piana del Tevere a pochi km a sud di Sansepolcro, hanno introdotto elementi di grande novità nel panorama delle conoscenze sulla tarda protostoria di quest'angolo di Toscana, incuneato fra Umbria, Marche e Romagna. Ne è emerso un insospettato quadro storico risalente all'età del ferro (VIII-VI secolo a.C.), che vede la formazione di un vasto centro di facies umbro-picena, con le sue aree abitative e artigianali, nell'ambito delle quali ha destato particolare interesse il rinvenimento, in località Spinellina, di un settore produttivo destinato alla cottura di vasellame ceramico. All'edizione integrale della prima campagna di scavi (2000) effettuata in quest'area del sito di Trebbio è appunto dedicato il presente volume, in cui archeologi, archeometri e specialisti delle scienze naturali contribuiscono con i loro rispettivi interventi a mettere a fuoco una vasta gamma di problematiche - culturali, tecnologiche, ambientali ed economiche sollevate dai contesti e dai reperti mobili ivi rinvenuti.
Un comandante partigiano polacco, appartenente alle formazioni non comuniste, e per questo rinchiuso dopo la guerra in prigione e condannato a morte, condivise per 255 giorni (dal 2 marzo all'I 1 novembre 1949) la cella con uno dei più efferati carnefici nazisti: il generale delle SS Jürgen Stroop, organizzatore dello sterminio di 550 ooo ebrei galiziani e di 71 000 prigionieri del ghetto di Varsavia. "Semplici e sincere sono le confessioni degli incarcerati dinanzi all'inevitabile", nota Moczarski ricordando che Stroop, si abbandonò, giorno dopo giorno, a un racconto dettaglialo della sua storia personale e delle sue "azioni di guerra". Stroop fu giustiziato il 6 marzo 1952, mentre Moczarski fu liberato e riabilitato il 24 giugno 1956. Dedicò il resto della sua vita a scrivere questo libro. Ia sua eccezionale memoria di giornalista e cospiratore gli permise di ricostruire quelle conversazioni con il carnefice nazista. disponendo il materiale in ordine cronologico e verificando, tramite ricerche d'archivio, l'esattezza di ogni informazione fornitagli dal suo interlocutore.
Un po' stropicciato dall'eccesso di manomissione mediatica, talora fatto oggetto di sintesi affrettate e semplificatrici, l'Illuminismo storico oggi appare sbiadito. Tuttavia, mentre conoscono una crescente fortuna divulgativa e polemica, e riecheggiano anche nel tormentato preambolo al progetto di Costituzione europea, le idee che presero forma in quei decenni cruciali per la civiltà occidentale assumono un nuovo profilo grazie agli ultimi studi specialistici. Un'intera costellazione di princìpi-guida si rivela tanto più duttile e attuale quanto più ne vengono indagate le linee di frattura, le affinità e le dissonanze, al di là degli appiattimenti ideologici di comodo. Il lemmario, ordinatore illuministico per eccellenza, torna a essere lo strumento che meglio si adatta a tali ricognizioni; oltre a costituire il criterio costruttivo di quest'opera collettiva, a cui hanno messo mano settecentisti di diversa competenza disciplinare, consente di sfatare usurate mitologie. Coppie concettuali, oppositive o asimmetriche, ridisegnano qui la trama delle idee di un secolo, dal dominio filosofico (ateismo e religione naturale, corpo e mente, critica e libero pensiero, piacere e dolore, ragione e senso comune) all'orizzonte storico-politico (cittadinanza e diritti dell'uomo, diritti e doveri dell'uomo, guerra e pace, monarchia e repubblica, pubblico e segreto, radicalismo e conservazione) all'antropologia della vita associata (amor proprio e virtù sociale, civile e selvaggio).
La prima guerra mondiale, con il crollo del vecchio ordine europeo, segna una fase fondamentale nella storia europea, perché allora iniziò una lunga opera di sperimentazione, interna e internazionale, che tentò di dare un senso e una direzione tanto alla democrazia moderna quanto allo Stato nazionale.
Vi è un capitolo di quella storia che questo lavoro ha cercato di indagare, sia per la sua rilevanza nel quadro complessivo della storia delle relazioni internazionali, sia per la sua attualità. Parliamo dell’intreccio che vi è stato tra la storia della Società delle Nazioni e quella delle minoranze europee, attraverso cui emerge un fenomeno abbastanza sconosciuto alla letteratura specialistica, ma di tutto interesse per segnare i confini della storia delle minoranze: il movimento di quella che oggi chiameremmo la «società civile internazionale » e nel nostro caso «europea » che, attraverso la sua costituzione in Organizzazioni Internazionali Private, cioè non governative, si fece portavoce dei bisogni e delle richieste delle minoranze nazionali.
Nel periodo tra le due guerre, se da una parte la Società delle Nazioni si preoccupò di costruire un sistema, rivelatosi poi fallimentare, di tutela e di protezione delle minoranze nazionali presenti in alcuni paesi europei, dall’altra le Organizzazioni Internazionali Private si preoccuparono di fare lobby presso la stessa Società delle Nazioni, spesso stringendo alleanze fra loro, per rendere effettiva la protezione e nel contempo per estenderla a tutte le minoranze europee. Tra queste Organizzazioni un posto rilevante venne occupato dal Congresso delle Nazionalità Europee, il caso particolarmente esaminato in questo lavoro, che ebbe come Presidente il parlamentare triestino della minoranza slovena Josip Wilfan.
Nell'agosto 1914, allo scoppio delle ostilità, molti si erano arruolati entusiasti, immaginando di prender parte a una gloriosa avventura, convinti che il sacrificio del sangue avrebbe dato vita a un mondo e un uomo rinnovati. Dopo pochi mesi, l'entusiasmo era scomparso. Ci si rese conto che la guerra era completamente diversa da quelle fino ad allora combattute: per l'enormità delle masse mobilitate, per la potenza bellica e industriale impiegata, per l'esasperazione parossistica dell'odio ideologico, per l'ingente numero di soldati sacrificati inutilmente. La Grande Guerra rappresentava il naufragio della civiltà moderna. I combattimenti cessarono alle ore 11 dell'11 novembre 1918. E già all'orizzonte nuove tragedie si profilavano, poiché il trattato di Versailles ridisegnava l'intera geografia europea secondo la volontà dei vincitori, con conseguenze gravi e di lunga durata a livello politico e ideologico: le rivendicazioni territoriali, la corsa al riarmo e la militarizzazione di massa della società saranno alcuni dei principi cardine sui quali regimi totalitari come il fascismo e il nazismo baseranno il proprio consenso. Gentile ricostruisce il contesto sociale, culturale e antropologico entro il quale maturò quella che è ritenuta una delle più tragiche esperienze del Novecento, soffermandosi in particolare sugli artisti e gli intellettuali che, se all'inizio avevano invocato la guerra come una catarsi, si fecero poi interpreti dell'angoscia profonda da essa scatenata.
Il testo scritto è spesso un elemento fondamentale nella costituzione delle identità religiose.
Pertanto un'indagine storica sulle differenti modalità di produzione, circolazione, ricezione e conservazione del libro inerente un territorio che, come le Valli valdesi, è caratterizzato dalla presenza di lunga data di due diverse confessioni cristiane si rivela di grande interesse.
Il volume – che raccoglie gli atti del XLIV convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia – ne esamina in particolare tre aspetti: la stampa e la circolazione del libro tra il Piemonte sabaudo e l'Europa protestante; l'uso dei libri e la pratica religiosa tra cattolici e valdesi; infine, la formazione e la conservazione di biblioteche pubbliche e private nonché di istruzione e professioni.
Testi di: Alessandro Bima, Reinhard Bodenmann, Loris Canalia, Walter Canavesio, Paolo Cavallo, Paolo Cozzo, Andrea De Pasquale, Marco Fratini, Albert de Lange, Domenico Maselli, Roberto Morbo, Chiara Povero, Maria Prano.
La storia della cosiddetta "guerra di Gradisca", o "guerra degli Uscocchi", che contrappose la Repubblica di Venezia e gli Asburgo tra 1615 e 1617, viene qui approfondita attraverso una ventina di contributi di studiosi italiani, inglesi, sloveni e croati. Gli interventi trattano aspetti diversi del conflitto: dal contesto politico-diplomatico in cui lo scontro maturò, alla realtà economica, sociale e demografica del territorio gradiscano e istriano nella prima metà del XVII secolo, alla storia sociale e militare degli eserciti e dei tenitori coinvolti.