
Scritto a cavallo tra il XIV e il XV secolo da Cennino Cennini, un pittore di scuola fiorentina, nato a Colle di Val d'Elsa, allievo di Agnolo Gaddi e autore forse di una "Madonna col Bambino" conservata presso il Deposito degli Uffizi, "Il libro dell'arte" è certamente tra i più famosi trattati sulle tecniche artistiche che siano stati tramandati. La fortuna di quest'opera, che probabilmente nacque nell'ambito di una delle potenti corporazioni che regolamentavano e tutelavano l'attività dei pittori risale soprattutto agli ultimi due secoli, nei quali è diventata una sorta di totem, di manifesto della pittura a partire da Giotto, il gran maestro che secondo le parole di Cennino "rimutò l'arte del dipingere di grecho in latino e ridusse al moderno". Sin dai primi dell'Ottocento divenne un documento prezioso per la storia dell'arte e per quanti ne potevano cogliere i valori storici, stilistici o filologici. Con l'edizione curata da Franco Brunello nel 1971, fu definitivamente recepito come "il primo esempio di opera tecnologica rinascimentale, precorritrice di quella serie di trattati sulle diverse arti industriali, fioriti in Italia tra il XV e il XVI secolo". Questa edizione sottopone il testo cenniniano a un esame integrale e contestuale.
25 agosto 1939: l'Inghilterra e la Polonia firmano un patto di alleanza per garantirsi mutua assistenza in caso di attacco militare tedesco. 3 settembre 1939: l'Inghilterra e la Francia dichiarano separatamente guerra alla Germania, che due giorni prima ha invaso la Polonia. Per dieci giorni l'Europa vive sull'orlo di una crisi di cui nessuno prevede ancora tutte le conseguenze. Lo scoppio della guerra la precipiterà in una delle più grandi tragedie della sua storia. Richard Overy ci immerge nel ritmo incalzante degli eventi di quei drammatici dieci giorni. Giorno per giorno seguiamo l'evolvere della situazione fino al terribile epilogo finale: l'ultimatum tedesco, i travagli di inglesi e francesi, le manovre italiane, gli estremi tentativi diplomatici, l'atmosfera febbrile in cui maturano scelte decisive. Tutto inevitabile? Forse sì, se per molti europei la guerra appariva ormai l'unico sbocco possibile per le troppe tensioni politiche, economiche e sociali accumulatesi nel corso degli anni trenta.
"Ciò che indusse buon numero di famiglie ad emigrare per l'Argentina non fu la miseria, ma la paura della miseria". Gabriele Luigi Pecile, personalità politica del Friuli post-risorgimentale, così commentò nel 1878 la partenza degli agricoltori della sua Fagagna. Secondo i registri anagrafici tre furono i contingenti partiti dal territorio comunale tra ottobre e dicembre 1877. Raggiunsero l'Argentina e in maggioranza si insediarono nell'allora territorio del Chaco, a Resistencia. La prima motivazione della scelta migratoria fu la speranza di terra da lavorare. Gli ostacoli che clima e suolo opposero e la (non usuale) collaborazione con gli indios resero epica l'esperienza dei pionieri fagagnesi. L'identità contadina prevalse infatti nel contatto con i primi abitatori di quelle terre: nessuna boria nazionalistica, nessuna prevaricazione ma un rapporto di pacifica convivenza e di condivisione di comuni problemi.
Durante gli anni della Rivoluzione francese la città renana di Coblenza fu un luogo di incontro e punto di raccolta di fuorusciti: un luogo marginale, ma anche un osservatorio insolito. La “Coblenza” da cui l’Autore ci invia queste testimonianze si situa invece all’interno della nostra società: è il luogo di chi vuole sottrarsi agli ideologismi rigidi e manichei per affrontare liberamente temi di religione, storia e antropologia, evidenziando con passione e ironia i percorsi di pace-giustizia-ordine e di guerra-ingiustizia-disordine.
Rivisitando miti antichi e riti contemporanei, analizzando le origini della diversità e dei tabù, studiando le maschere della violenza e i falsi pacifismi, indagando sui modelli della cultura medievale e su quelli della civiltà tecnologica, Franco Cardini si rivela ancora una volta acuto e sorprendente storico delle idee e dei movimenti controcorrente, e spregiudicato osservatore e testimone di fatti e problemi del mondo d’oggi.
Basandosi soprattutto sulle carte inedite dell'archivio della Sede centrale del Club alpino italiano, questo lavoro cerca di documentare la presenza di elementi politici e nazionali all'interno del Cai, sin dalla sue origini (1863). Negli anni della crescita numerica dei soci e della diffusione delle sezioni a tutto il territorio nazionale, il Cai inizia a rivendicare le aree di lingua italiana dell'Impero Austro-Ungarico e a stabilire frequenti scambi e collaborazioni con le associazioni alpinistiche irredentiste di area trentina e giuliana. Con lo scoppio della prima guerra mondiale il Cai partecipa dapprima all'accesa campagna a favore dell'intervento e quindi, con l'entrata in guerra dell'Italia, compie una vera e propria mobilitazione dei soci, impegnati a combattere soprattutto sul fronte alpino, teatro della guerra bianca. Contestualmente si sviluppa nel sodalizio un vivace dibattito a proposito dei futuri confini italiani, dove, nel primo dopoguerra, il Cai assumerà un ruolo di presidio nazionale.
A distanza di sette anni ritorna questo volume in nuova veste, riveduta e ampliata. Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, che avevano gettato ombre angosciose sul futuro dell’umanità, non sono stati dimenticati (non del tutto, per lo meno) e non hanno perduto uno iota del loro valore storico, nonostante la smemoratezza e l’incoscienza dell’Occidente. Nella loro cifra simbolica gli attentati di al Qaeda, condotti in luoghi ove era inimmaginabile potessero accadere, recano ancora un secco, ma significativo messaggio: la forma di vita occidentale divenuta egemone sull’intera Terra può essere vinta attraverso la guerra del terrore, odierna modalità di quel duro conflitto che per secoli oppose (e oppone) cristiani e musulmani in Europa, Asia e Africa. Di questo conflitto Alberto Leoni narra la storia dalle guerre arabo-bizantine ai giorni nostri, situando il confronto militare e le relative operazioni belliche (battaglie, assedi, strategie) entro i sistemi di valori propri delle civiltà islamica e cristiana e rendendo, in pari tempo, contemporaneo un passato con troppa faciloneria rimosso per convinzioni ireniche o per opportunismo politico. Emerge da queste pagine una verità incontrovertibile, che l’asfittica e provinciale storiografia italiana non ha mai adeguatamente sottolineato, preferendo i Masaniello ai Giovanni da Capistrano o agli Eugenio di Savoia: i popoli cristiani d’Europa (in particolare quelli cattolici) hanno combattuto guerre sanguinosissime e feroci contro l’Islàm per non perdere la propria identità e difendere, con la fede, la libertà e la dignità della persona a vantaggio dell’Occidente e dell’umanità tutta. La presente edizione accoglie un’appendice che attualizza quei conflitti e fa comprendere come, rispetto al 2001, la situazione mondiale sia addirittura peggiorata. La sfida dell’Islam fondamentalista all’Occidente continua.
Dopo la legittimazione politica della Democrazia cristiana, ottenuta con la vittoria nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948, si apre per De Gasperi una fase del tutto nuova. Alle prese con le difficoltà legate alla ricostruzione materiale e morale del paese, lo statista si rende conto che non è più possibile governare con i metodi liberali dell'età pre-fascista e nemmeno con il metodo della collaborazione fra partiti eterogenei che aveva caratterizzato la tumultuosa fase dell'immediato dopoguerra. Così come si rende conto della necessità di riconquistare un prestigio internazionale che le vicende della dittatura e della guerra avevano minato. Se il problema interno è quello della stabilizzazione della democrazia, che De Gasperi non vede ancora del tutto salva, sul piano internazionale il problema sta nell'ancoraggio sempre più stretto dell'Italia al mondo occidentale (e quindi nell'entrata a pieno diritto nel Patto atlantico) e nella preservazione della pace in Europa attraverso una svolta europeista (Patto di difesa, preludio a una unione politica vera e propria): il tutto si concreta in fede attiva in un'Europa unita che De Gasperi contribuisce a fondare nei suoi ideali e a costruire nei suoi primi organismi. A Strasburgo nel dicembre 1951, l'europeismo di De Gasperi prende forma e riesce, grazie alla sua autorevolezza morale e politica, a diventare metodo e programma.