
Nel presente volume sono stati raccolti quattro studi, fra loro strettamente connessi da un fondamentale motivo unificante, l'analisi dello spazio extraurbano in un settore specifico della penisola anatolica, le regioni 'storiche' di Ponto e Cappadocia, e in un arco temporale compreso fra il III ed il VI secolo d.C. La raccolta sistematica e l'analisi delle fonti letterarie, epigrafiche, archeologiche e numismatiche su queste aree dell'Asia Minore tardoantica, hanno permesso di evidenziarne non solo strutture produttive e dinamiche insediative, ma anche problemi amministrativi e aspetti socio-culturali. L'indagine si è così concentrata sulle divinità pagane e sulle figure carismatiche ritenute capaci di allontanare insetti voraci dai terreni agricoli, sui luoghi cristiani di accoglienza, sostegno e cura dislocati fuori dalle città e destinati a tutti i bisognosi, sul complesso rapporto fra "vescovi di campagna" e "funzionari dei distretti rurali", sulla significativa convergenza di infermità e ospitalità, povertà e medicina monastica intorno alle miracolose reliquie di un santo.
La famiglia Lorio tra la fine del Quattrocento ed i primi trent'anni del Seicento diede vita a una vera e propria dinastia impegnata nel mondo del libro. Originari di Portese (nei pressi di Salò), ricoprirono infatti diversi ruoli: da librai ad editori, da traduttori di testi greci a produttori di carta, a tipografi, svolgendo la loro attività tra Udine e Venezia. Lo studio affronta in particolare la figura di Lorenzo Lorio, editore nella città di San Marco tra il 1514 e il 1528, che fu certamente il più importante finanziatore delle opere di Erasmo da Rotterdam uscite in Italia nei primi trent'anni del Cinquecento. Di questo personaggio viene qui offerta una descrizione puntuale dell'intera produzione editoriale.
Il volume traccia una storia politica del Libano contemporaneo dal mandato francese ai giorni nostri evidenziando lo stretto legame fra la struttura confessionale del paese e le sue complesse vicende interne e internazionali. Le istituzioni democratiche libanesi hanno sempre convissuto con il sistema comunitario, che le ha profondamente permeate secondo le proprie esigenze istituzionali, politiche e religiose. Il comunitarismo di stampo confessionale è stato il minimo comune denominatore che ha influenzato le dinamiche socio-politiche, potendo prevenire, tramite un continuo processo di mediazione e contrattazione, le spinte autoritarie o contribuire a esacerbare le tensioni portando allo scontro e al conflitto. Ancora oggi al centro di complesse dinamiche internazionali e regionali, il Libano dovrà tenere conto, come in passato, delle spinte comunitarie e della loro interazione con il sistema politico.
Tra i monasteri e gli eremi delle Solovki – l’arcipelago del Mar Bianco, nell’estrema parte nord-occidentale della Russia, al largo di Archangel’sk – fu creato il primo campo di concentramento sovietico, il laboratorio di quella rete di 476 campi divenuti tristemente famosi con il nome di «Gulag». Apartire dal 1923 e fino al 1939 i bolscevichi vi deportarono i «nemici» del comunismo: aristocratici, preti, «borghesi », contadini, operai, intellettuali, funzionari, artisti, quadri del Partito caduti in disgrazia. «Inventato» da Trockij, adottato da Lenin e perfezionato da Stalin, il campo delle Solovki arrivò a ospitare 70.000 detenuti e nel solo 1937 furono eseguite 2000 fucilazioni. Il modello delle Solovki (e, più in generale, il Gulag) influenzò profondamente la costruzione della società sovietica: si calcola che in quei decenni un adulto su sette trascorse almeno alcuni mesi in un campo. L’esperienza penitenziaria serviva a distruggere le «strutture» dell’epoca imperiale, a livellare le classi sociali e, soprattutto durante lo sforzo bellico, a fornire la manodopera necessaria all’industrializzazione del paese. L’«armata del lavoro» teorizzata da Trockij nel 1918, che avrebbe dovuto fare le fortune dell’Unione Sovietica, non consistette in altro che in migliaia e migliaia di esseri umani ridotti in schiavitù, mutilati e uccisi (anche mediante l’uso, sempre negato dalle autorità, di armi batteriologiche).
Costruito sulla scorta di una vasta documentazione originale, resa in gran parte accessibile dall’apertura degli archivi dell’ex Unione Sovietica, e con l’ausilio di molte testimonianze inedite di prigionieri sopravvissuti e dei loro familiari, questo libro di Francine-Dominique Liechtenhan è un contributo di eccezionale valore alla conoscenza della verità e un omaggio alla memoria delle vittime del comunismo, ancora oggi dolorosamente neglette, in Russia come in Occidente.
L'AUTORE
Francine-Dominique Liechtenhan è nata nel 1956 a Basilea e si è laureata in Storia moderna e contemporanea e in Filologia russa a Parigi, città nella quale risiede e dove insegna all’università della Sorbonne-Paris IV e all’Institut Catholique. È autrice, oltre che di numerosi saggi pubblicati in riviste, dei volumi Les trois christianisme et la Russie. Les voyageurs occidentaux face à l’Eglise orthodoxe russe (XVème-XVIIIème siècle) ed Elisabeth Ière de Russie. L’autre impératrice.
“La nostra storia è stata fatta da noi,
rispecchia i nostri vizi e le nostre virtù.
Non possiamo accettarne soltanto alcuni
pezzi perché ne siamo tutti, anche se
in misura diversa, responsabili.
Ha molte brutte pagine, ma anche momenti
di cui possiamo andare legittimamente
orgogliosi.”
Una storia comune degli italiani non esiste più. A quasi 150 anni dall’unità nazionale si è frantumata in tante piccole schegge, ognuna delle quali rispecchia l’ideologia, le passioni, le radici familiari dei cittadini. Uno scollamento che si riflette nei quesiti contenuti nelle undicimila lettere che giungono ogni mese nella redazione del “Corriere della Sera” alla rubrica di Sergio Romano. Le risposte “non formano una ‘storia d’Italia’, ma ciascuna di esse descrive una persona, un evento, un problema, segna un punto su una immaginaria carta cronologica della storia nazionale”. In questo modo vengono messe in luce proprio le costanti e i temi ricorrenti che continuano ad appassionare (e dividere) gli italiani: dal rapporto tra Stato e Chiesa agli scandali che periodicamente scuotono il mondo politico, dalla collocazione dell’Italia sullo scacchiere internazionale alle tante fratture mai sanate (tra Nord e Sud, fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti). Sotto la guida esperta di Romano, unendo un punto all’altro, il lettore comporrà un disegno – per una volta unitario – e scoprirà non la storia “scientifica” dei libri degli studiosi, “ma quella dei monumenti e delle targhe commemorative, dei riferimenti alla nazione nei discorsi delle ‘autorità’, delle conversazioni quotidiane degli italiani. È una storia più modesta, ma è stata fatta da noi, rispecchia i nostri vizi e le nostre virtù”.
Il 1914 segnò la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova era. Di colpo l'Europa sprofondò in un conflitto di portata e intensità tali da determinare il tramonto della civiltà della borghesia e del capitalismo liberale che aveva dominato per tutto il XIX secolo. Dopo la Grande Guerra il mondo non fu più lo stesso: un senso di crisi morale e civile sostituì l'ottocentesca fiducia nel progresso; gli Stati Uniti sottrassero il primato culturale ed economico al Vecchio continente; un'idea di Stato forte prevalse a discapito dei principi liberali, aprendo la strada all'affermarsi di totalitarismi di destra e di sinistra. In queste pagine lo storico Hew Strachan descrive il sistema di relazioni internazionali e le trame diplomatiche che furono all'origine della Prima guerra mondiale, ripercorre gli avvenimenti militari e politici che ne segnarono le svolte fondamentali, analizza gli elementi sociali ed economici che furono i fattori realmente determinanti per il crollo degli imperi centrali. Avvalendosi di un nutrito apparato fotografico in gran parte sconosciuto, l'autore offre al grande pubblico un valido e aggiornato compendio di una delle pagine più cruciali e drammatiche della storia moderna.

