
Jemolo: "Io penso, soprattutto, ai rapporti tra ceti diversi; quello che poteva essere la famiglia borghese di fronte a famiglie operaie, tante piccole, brutte storie che si leggono anche nella narrativa che erano perfettamente vere, oggi non sarebbero assolutamente più pensabili. (...) Anche in materia di violenza; quand'ero bambino a Roma se si vedevano due litigare si aveva subito paura di veder tirar fuori un coltello." Zincone: "O anche la spada, se erano aristocratici..." Jemolo: "Non sono così vecchio da ricordarmi i tempi del Manzoni e di Fra' Cristoforo..." Dal 1946 al 1990 il "Convegno dei Cinque" fu un vero e proprio simposio radiofonico, che una volta a settimana chiamava a discutere su temi di interesse generale cinque intellettuali di spicco della cultura italiana. Alla trasmissione partecipò per ben 87 volte (spesso in veste di moderatore) il grande giurista cattolico Arturo Carlo Jemolo, esercitandovi quel gusto per la discussione libera, argomentata e ironica, all'inglese, che, al di sotto dei temi politici del giorno, non ha mai smesso d'essere la vera grande assente del nostro dibattito pubblico.
Sono protagonisti, di questo volume, gli Ordini cavallereschi non europei, come i Fata islamici, o i Samurai, celebri guerrieri del Giappone medievale. E ancora l'Ordine del Dragone cinese e quello di Siam. Ampio spazio è riservato anche alle Stelle d'Africa, la cui vicenda comincia con la proclamata fine della tratta degli schiavi, all'inizio dell'Ottocento. Ma nelle pagine di Cuomo c'è anche il Sud America, con le avventure dei suoi effimeri imperatori, e ci sono persino le Hawai, l'arcipelago dei sogni, con l'Ordine di Kamehameha. Una sezione a parte è riservata alle Amazzoni, fenomeno cavalleresco al femminile. Un viaggio, quello di Cuomo, attraverso quasi duecento Ordini cavallereschi, rigorosamente censiti sulla base di un'ampia documentazione, che non ha nulla di nostalgico. Un modo diverso di raccontare la storia a partire dalle lontane nebbie barbariche per arrivare ai nostri giorni. E proseguire la cerca della Bellezza che salva.
Popolazione, comunicazioni via terra e via mare, uso del suolo, agricoltura, industria, commercio estero, credito, istruzione, assistenza, prezzi e salari del Mezzogiorno nell'Ottocento, fino al 1861, sono gli argomenti del volume, che si propone di fornire una visione dell'economia del Mezzogiorno, prima dell'Unità. A questi temi, la storiografia ha dedicato grande attenzione negli ultimi decenni. Il volume ripercorre i vari aspetti della storia del Mezzogiorno e permette di porre in una prospettiva più ampia i temi della crescita dell'economia italiana e delle differenze di sviluppo del Nord e del Sud. Ciascun contributo è diviso in due parti. La prima analizza l'argomento, la seconda raccoglie i dati statistici più significativi. Scopo principale del volume è di raccogliere, elaborare, mettere a disposizione degli studiosi una serie di dati quantitativi sull'economia del Mezzogiorno prima dell'Unità.
Il volume ricostruisce la storia della rivoluzione messicana, individuandone, oltre ai passaggi significativi, le implicazioni politiche, militari, economiche, sociali e culturali. Figure storiche e mitizzate come quelle di Emiliano Zapata, Pancho Villa, Francisco Madero, Venustiano Carranza e Alvaro Obregón accompagnano una storia corale che riflette la pluriculturalità di un paese impegnato in quella che fu la prima grande rivoluzione e guerra civile del Novecento. Tra dimensione locale, nazionale e globale, la rivoluzione messicana è divenuta nel tempo un grande generatore di costruzioni politiche, simboliche e perfino identitarie.
Gli Stati Uniti d'America nacquero il 4 luglio 1776 con la Dichiarazione d'indipendenza. Perché diventassero qualcosa di simile a ciò che conosciamo oggi, in termini di territorio, popolazione e forma di governo, dovette tuttavia passare almeno un secolo. Tra il 1776 e il 1876 il paese definì i suoi confini; aumentò la popolazione; abolì la schiavitù razziale; si trasformò da piccola repubblica in grande democrazia elettorale (maschile). Attraversò guerre di conquista con le nazioni vicine (native e di origine europea), conflitti sociali e politici, una sanguinosa guerra civile (1861-65). Il volume illustra la storia di questo primo secolo di vita degli Stati Uniti, sottolineando la forte carica espansiva, geografica, politica, ideale, che lo caratterizzò.
Il volume è la prima antologia italiana delle risposte scritte che l'Europa dell'età barocca ha dato all'arte figurativa. Riunisce oltre seicento testi diversissimi per qualità, genere, funzione: dalle pagine di Shakespeare agli inventari e ai contratti perla realizzazione di opere d'arte. Questa scelta si deve alla convinzione che la risposta critica all'arte figurativa "non involge solo il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant'altro occorra" (Roberto Longhi). Il testo introduttivo è concepito in stretta dipendenza dall'antologia, con il fine di illuminarne il montaggio e mostrare alcuni dei nessi principali che costruiscono ogni sezione, facendo del libro uno strumento didattico che fino ad oggi non esisteva.
Dopo anni di carcere, ancora braccato dall'FBI e ormai costretto su una sedia a rotelle, Frank Sheeran confessa, per la prima volta al suo avvocato Charles Brandt, il mistero che ha ossessionato l'opinione pubblica statunitense per quasi trent'anni a partire dall'estate del 1975: la sparizione di Jimmy Hoffa, mitico protagonista del sindacalismo americano tra gli anni Cinquanta e Settanta, un caso rimasto irrisolto poiché nessuno è stato mai condannato né il corpo di Hoffa ritrovato. Per certo, è stato un personaggio scomodo a molti uomini, politici e criminali, e che il caso non sia mai stato chiuso fa pensare alla responsabilità di poteri molto in alto. Ma perché Sheeran ha scelto di parlare a trent'anni dai fatti, fuori da un'aula di tribunale? Frank "l'Irlandese" Sheeran a metà degli anni Cinquanta è stato dirigente della più grande unione sindacale americana, l'International Brotherhood of Teamsters (che rappresenta la categoria degli autotrasportatori), al fianco del suo fondatore e leader, Jimmy Hoffa. Ma Frank è stato anche l'uomo delle "commissioni" che la mafia gli affidava in nome della sua leggendaria freddezza. Com'è riuscito questo gigante dai capelli rossi e dal pugno di ferro a diventare il braccio armato del padrino Russell "McGee" Bufalino e insieme la spalla del sindacalista più potente degli Stati Uniti? "L'Irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa" risponde a questa e a molte altre domande...
Il volume si propone di esaminare la storia del mondo cattolico italiano negli oltre centosessant'anni che vanno dal 1848 ai giorni nostri: da Pio IX a Benedetto XVI. Una prospettiva di medio-lungo periodo che permette di cogliere le linee evolutive e i caratteri permanenti di una realtà, come quella cattolica, il cui riferimento sul piano religioso è una istituzione dalla storia bimillenaria. Per la sua inclinazione a proiettarsi verso l'esterno e a trasformare il contesto in cui si trova a operare, il mondo cattolico è qui studiato in rapporto con la realtà sociale ed economica nazionale, nel confronto con la cultura laica e, quando manifesta il suo massimo vigore, anche con quella socialista. Il tentativo è di cogliere la dialettica tra realtà nazionale e regionale, in particolare piemontese, non solo mettendo in rilievo nella realtà locale gli aspetti "esemplari", come troppo spesso ha fatto la storiografia regionale: l'obiettivo è piuttosto lo studio di un aspetto particolare che permetta di comprendere meglio il caso generale, le sue tonalità specifiche, le sfumature.
Quando gli imperi scoprirono di avere al loro interno delle minoranze? Oggi la domanda può sembrare assurda, ma rispecchia esattamente la questione dell'evoluzione dei sistemi imperiali: da aggregazioni di "nazioni" diverse sotto un unico sovrano a soggetti che, a confronto con i nuovi stati usciti dalle rivoluzioni costituzionali, avevano anch'essi bisogno di una identità etnico-nazionale aggregante, per cui i non-assimilabili divenivano "minoranze" Il volume esplora questa problematica sia nella sua genesi storica riguardo all'evoluzione delle ideologie imperiali, sia nella crisi concreta che i vari sistemi "multinazionali" affrontarono nell'Europa del trionfo dei nazionalismi e, quasi una contraddizione, del nuovo tipo di imperialismo su basi etniche che questi finivano per promuovere di fronte alla questione coloniale. Studiosi di varia estrazione e sensibilità propongono in queste pagine una lettura dei vari "modelli" di Impero (quello britannico, quello tedesco, quello asburgico, quello russo e quello ottomano) e si addentrano poi nell'esame delle strutture con cui gli imperi cercarono di costruire la loro peculiare identità: l'esercito, la scuola, la religione.
Vagabondi, stranieri, anziani incapaci di lavorare, individui affetti da malattie e da menomazioni fisiche, donne sole, bambini e bambine lasciati a se stessi, uomini privi di un mestiere, sottoccupati: una folla che le fonti di età moderna collocano sotto l'unica etichetta di poveri. Ma chi sono davvero? Come sono percepiti? Quali sono gli orientamenti caritativi e gli interventi attuati per fronteggiare il fenomeno del pauperismo? L'autrice, con gli strumenti dello storico, risponde a queste domande fornendo utili spunti di riflessione su un fenomeno che, sebbene abbia assunto forme nuove, non è certo scomparso nel nostro paese.
Nel 1914-15 la gioventù colta volle la guerra, si riversò nelle piazze d'Italia per forzare gli equilibri politico-istituzionali e trascinare il paese nel conflitto mondiale. L'immagine di una 'rivoluzione giovanile' agita in odio al materialismo borghese informò la propaganda politica ben oltre la guerra. Si trattò davvero di una rivolta? Se lo fu, si compì nel segno di una cultura nazionalista respirata sui banchi di scuola e nelle pratiche del tempo libero dei giovani borghesi negli anni precedenti. Creare un circolo studentesco e mobilitarsi in favore dei 'fratelli irredenti', provarsi in ascensioni alpine alle frontiere del Regno o vogare sul Tevere, frequentare il tiro a segno o fondare un battaglione studentesco: questi i moderni esercizi di responsabilizzazione sociale e nazionale di quella gioventù. Alla prova della guerra i giovani mostrarono di aver appreso il lessico della nazione in armi, concedendosi all'uso della violenza di piazza per affermare il proprio diritto a determinare il destino nazionale. La guerra restituì infine all'ammirazione dei più giovani una schiera di reduci-studenti ormai decisi a proseguire la lotta anche sul fronte interno.
C'è una diffusa tendenza ad appiattire la storia dei primi tre secoli del Cristianesimo sulla drammatica vicenda delle persecuzioni e a immaginare i primi Cristiani come dei reclusi nelle catacombe: il tutto prima dell'avvento "miracoloso" di Costantino. La responsabilità di questo e di altri stereotipi ricade sul pregiudizio ideologico di una buona parte della storiografia moderna, che ha usato la penuria delle fonti antiche per piegare la verità storica. La cristianizzazione dell'Impero fu in realtà un processo molto complesso e lungo almeno tre secoli, iniziato con la predicazione degli Apostoli e proseguito nell'anonimato della vita quotidiana da sempre più numerosi fedeli, molti dei quali attivi nella società civile e altri invece limitati nelle proprie libertà e chiamati alla testimonianza pubblica del martirio. Il rapporto tra il Cristianesimo e l'autorità civile romana fu ricco di numerose sfaccettature - Barzanò si sofferma in particolare sulla condizione dei "laici" a Roma, su quella della donna e sul significato del servizio militare prestato dai Cristiani - e anzi fu un processo a doppio senso: si può infatti parlare sia di cristianizzazione dell'Impero sia di romanizzazione del Cristianesimo, come la storia successiva della civiltà europea ha d'altronde dimostrato, sia pure in modo problematico.