
Una ricostruzione della storia della scuola (e dell'università) italiana: dalla legge Casati alla riforma Gentile, dalla Carta della Scuola fascista al dibattito nella Costituente, dalla stagione del centro-sinistra ai Decreti delegati, dalla scuola dell'autonomia alle speranze (e alle incognite) della "buona scuola". Una riflessione sul cammino di una istituzione caratterizzata dalla prolungata assenza di un progetto riformatore che consideri, come è avvenuto solo in qualche tratto della vicenda politica nazionale, il diritto allo studio come un atto costituzionale che si compie ogni giorno, una costruzione della cittadinanza come cultura, una parte essenziale di una sfera pubblica comune. "Forse scuola, università e ricerca sono anche l'anima di appartenenza non solo mia, ma anche di quanti ho formato e, soprattutto, di quanti ho visto, ogni giorno, salvare la scuola come atto costituzionale colto e competente, fieri di farlo senza essere del tutto riconosciuti".
«Un pullulìo di ex, dentro il quadro strategico di una frettolosa riconversione materiale e mentale: come Cesare Battisti, “social-patriota” di sinistra; Leonida Bissolati, social-patriota di destra; Agostino Gemelli, da positivista figlio di mangiapreti a bulimico consacratore dell’esercito al Sacro Cuore di Gesù; Benito Mussolini, da neutralista arrabbiato a spregiudicato araldo dell’Intervento; e infine l’idea stessa della guerra, da quella passiva e coercitiva di Cadorna a quella duttile e persuasiva di Diaz. D’altronde, in quegli anni si consuma in Italia un passaggio storico d’ordine generale: dalla società dei notabili alla società di massa».
Tra il giugno 1914 e il maggio 1915 l’Italia operò un clamoroso ribaltamento delle sue alleanze internazionali, che condusse alla decisione di dichiarare guerra all’Austria e alla Germania. Si trattò di una riconversione non solo militare, ma anche politica, culturale e ideale, fatta di abdicazioni, di trasfigurazioni, di palinodie e di abiure d’ogni sorta. La trasfigurazione dall’Italia triplicista alleata di Francesco Giuseppe a quella irredentista protesa alla liberazione di Trento e Trieste comportò la conversione dell’immagine della Germania da modello ad antimodello; l’eclissi dell’internazionalismo socialista e il conseguente passaggio al nazionalismo di settori importanti dell’opinione di sinistra, repubblicana, mazziniana; la trasformazione dei cattolici da intransigenti nemici dello Stato a clerico-patrioti; il completo riassetto degli equilibri interni alla classe dirigente liberale. In quella concitata transizione, si consumava il passaggio storico dalla società dei notabili alla società di massa. Così, i dieci mesi di maturazione dell’entrata in guerra trascorsero all’insegna di un clamoroso dualismo. Da un lato, avanzava sulla scena un nuovo, tumultuoso coacervo di minoranze, un labirinto di comitati mobilitati per la guerra che, mettendo in mora il Parlamento, si affermava come politicamente egemone, sempre più minaccioso nei confronti di chi alla guerra si dichiarava contrario. Dall’altro lato, continuava a esistere, quantitativamente forse maggioritaria, un’Italia composta di pura e semplice lontananza ed estraneità alla politica, un blocco d’ordine che contribuiva a rafforzare i poteri di un modesto governo di centro-destra, non certo pensato per così grandi compiti. Le risorse principali cui attingere per schierare le truppe in questa situazione appartenevano in larga misura al campo della disciplina e dell’ubbidienza. Anche per questa via più modesta – e a bassa temperatura – si supponeva che i tricolori potessero scaldare le menti e i cuori. Una volta ottenuto l’effetto desiderato e forzato il passaggio dalla pace alla guerra, queste risorse minimali si sarebbero rivelate essenziali al fine di ottenere che le masse militari rimanessero il più possibile ancorate alla «religione della patria» e al «senso del dovere» di coloro a cui spetta di comandare. E così, dopo il 24 maggio, il coinvolgimento dei cittadini attivi e politicizzati viene messo decisamente alla porta, lasciando il posto alle logiche della coercizione e dell’ubbidienza – sostenute e incoraggiate da una schiera di sacerdoti prontamente inviati al fronte –, unici strumenti con cui tenere a freno forme di obiezione e contrasto rispetto a una morte «assurda» che solo in una nuova «fede» patriottica può trovare la sua giustificazione. Ma in vista di Caporetto e dopo, nell’ultimo anno di guerra, le retoriche dell’ubbidienza e della passività rassegnata non basteranno più, e si torna questa volta per tutti a fare appello alle risorse del civismo e della politica, ridando protagonismo all’immaginario, alla parola e alle idee.
Autore
Mario Isnenghi
Mario Isnenghi, uno dei più autorevoli storici italiani, è professore emerito dell’Università di Venezia e presidente dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Studioso dei conflitti fra le memorie nella storia dell’Italia ottonovecentesca, ha pubblicato fra l’altro: Il mito della Grande guerra (il Mulino, 2014); L’Italia in piazza (il Mulino, 2004); I luoghi della memoria (Laterza, 2013).
Fra il IV e il VI secolo la società antica subisce grandi cambiamenti, legati all'affermazione del cristianesimo, alla divisione definitiva dell'impero in due parti, con l'emergere della nuova città di Costantinopoli nella metà orientale, e infine alla caduta dell'impero romano d'Occidente, travolto dalle invasioni barbariche. Com'era la vita quotidiana in quella turbolenta epoca di transizione? Il libro ce la restituisce in tutta la sua ricchezza e in rapporto ai diversi strati sociali.
Dominarono gran parte dell'Italia, intrattennero rapporti con fenici e greci, civilizzarono la prima Roma per poi, alla fine, soccombere al suo ambizioso potere. Ma chi erano gli etruschi, questo popolo rimasto a lungo tra gli enigmi della storia? Basato sulle ultime conoscenze archeologiche, questo libro, che torna in una nuova edizione aggiornata, fa il punto sulla storia, la religione e l'arte di uno dei popoli più interessanti dell'antichità.
Il 18 giugno del 1815 gli eserciti di Francia, Gran Bretagna e Prussia si scontrarono in una tranquilla piana a sud di Bruxelles. Nei tre giorni precedenti l'esercito francese aveva battuto gli inglesi a Quatre Bras e i prussiani a Ligny. Gli alleati erano in ritirata. La sanguinosa battaglia di Waterloo sarebbe diventata una pietra miliare nella storia europea, anche perché fino alla sera del 18, l'esercito francese era a un passo dalla vittoria. Bernard Cornwell racconta la cronaca dei quattro giorni che precedettero la battaglia e poi ora per ora le emozioni di quella giornata fatidica. Da queste pagine escono così l'incalzare degli eventi della battaglia, ma anche i pensieri e le preoccupazioni dei due grandi protagonisti, Napoleone e Sir Arthur Wellesley, Duca di Wellington, così come di tutti i soldati e ufficiali che vissero quella memorabile giornata.
Nell'immaginario collettivo, le SS rappresentano la più famigerata formazione militare della storia. Dalla sua nascita negli anni Venti del secolo scorso come guardia del corpo di Hitler composta da pochi elementi, il reparto si espanse rapidamente sino a un'organizzazione che comprendeva centinaia di migliaia di uomini, con un potente esercito (le Waffen-SS, SS combattenti) costituito da armate, corpi d'armata e quasi 40 divisioni, senza contare le unità minori autonome - e una componente politica e razziale (Allgemeine-SS, SS generiche). Le attività passavano dalle imprese eroiche a quelle orribili, dai successi offensivi e difensivi in battaglia sui fronti della Seconda guerra mondiale alla gestione dei campi di concentramento e sterminio, fornendo il personale necessario agli Einsatzgruppe (gruppo da Impiego speciale) colpevoli dell'omicidio di intere popolazioni. Documenta la storia completa delle SS a livello individuale, di unità e dell'intera organizzazione, fornendo un quadro generale prima delle complesse origini sociali e dell'espansione all'Interno della Germania nazista, poi della storia militare tra il 1939 e il 1945 e infine della traccia negativa lasciata dopo il termine della guerra. Chris McNab affronta anche temi come l'ideologia, il reclutamento, l'inserimento di personale straniero, l'addestramento, l'equipaggiamento.
"Storia e cultura della Scandinavia" presenta un ritratto del mondo scandinavo come una grande regione culturale prima che geografica. Opera unica nel suo genere, risultato di lunghi anni di ricerche, il testo attraversa la storia della regione e dei popoli, le loro espressioni sociali e religiose, gli sviluppi politici ed economici seguendo il reale percorso che, al di là di preconcetti e stereotipi, ha accompagnato la formazione dei moderni Stati nordici. I quali, pur presentando le caratteristiche di quella che è solitamente intesa come comunità scandinava, hanno avuto una storia propria, che non solo ne ha definito i tratti distintivi, ma nel corso dei secoli ha dato luogo a guerre, rivalità e rappresaglie. E tuttavia questo lavoro mostra al contempo come si sia giunti all'attuale clima di cooperazione e alla considerazione di cui essi godono come modelli di democrazia, senza dimenticare di sottolineare il contributo che possono portare all'attuale mondo globalizzato. Il volume, arricchito da illustrazioni, affianca alla trattazione storica, momenti di approfondimento culturale, così come citazioni di testi originali che offrono un approccio diretto a diversi e significativi stadi nello sviluppo di Paesi che la geografia ha relegato all'estremo Nord, ma che da sempre sono interlocutori e protagonisti di primo piano nello scenario della vecchia Europa.
"Ogni Giorno della memoria si ripete sempre nello stesso modo: si parla molto di Auschwitz, si parla di Birkenau o Treblinka, di Buchenwald o di Mauthausen, ma quasi mai di Dora-Mittelbau, di Natzweiler-Struthof e altri campi riservati ai Triangoli rossi, i deportati politici. E spesso mi risentivo, qualche volta a voce alta, non perché sono stato un Triangolo rosso anch'io, bensì perché avere sul petto, sotto il numero che sostituiva il nome e il cognome, il triangolo rosso, significava che ero stato catturato perché come soldato non mi ero presentato all'autorità militare nazista, ma avevo scelto di oppormi in nome della libertà. Ecco, questa era la ragione del mio risentimento: bisognava ricordare come l'opposizione nei diversi paesi si fosse organizzata anche in resistenza attiva, certo soprattutto clandestina, ma non solo." (Boris Pahor). Con la collaborazione di Tatjana Rojc.
Il mito di Arianna è così celebre da esserci quasi familiare. La sua silhouette attraversa le rovine di gigantismi mitologici: figure che hanno colonizzato in modo ipertrofico l'immaginario della cultura occidentale; lei minuta fra le statue ciclopiche del padre Minosse, del fratello Minotauro e della prigione, il labirinto, in cui era rinchiuso. Tuttavia, se anche si muove leggera nel cono di luce di questo mondo famoso, Arianna è intessuta nell'ombra e quando si afferra la sua veste è pronta a sfuggire, negandosi all'interpretazione. È stata, nella sua madrepatria, una dea del labirinto e ha visto i coetanei muoversi in cerchio, seguendo una misteriosa coreografia inventata da Dedalo. Ha amato follemente Teseo, senza esserne in verità mai ricambiata. Ha scelto di tradire la famiglia, di lasciare dietro di sé la patria, per salire su una nave ateniese sperando di diventare, un giorno, regina di Atene. Si è spenta, invece, sulla riva del mare di Nasso, dopo l'abbandono. È morta di parto a Cipro. Si è mutata in statua sulla piana di Argo, per aver incrociato lo sguardo pietrificante della gorgone Medusa. Il dio Dioniso l'ha scelta, infine, come compagna e le ha regalato una nuova vita fra le stelle. Molti destini diversi, a volte persino dissonanti fra loro, per un personaggio fra i più noti della mitologia antica. Questo libro vuole restituire al lettore tutte le anime di Arianna e infonderle un po' di nuova vita...
Avevano fatto entrambi la Grande Guerra da alpini, lo scrittore Paolo Monelli e il pittore Giuseppe Novello; anni dopo vollero raccontarla insieme in questo libro, uscito nel 1929 "sotto gli auspici dell'Associazione Nazionale Alpini". Monelli era un giornalista affermato e aveva alle spalle il grande successo del suo diario di guerra "Le scarpe al sole"; Novello aveva invece cominciato da poco, proprio sulla rivista dell'ANA "L'Alpino", quell'attività di disegnatore esercitata poi per decenni sui giornali, che lo ha rivelato come uno dei maggiori umoristi italiani del Novecento. Il piatto forte del libro sono appunto le 46 spassosissime tavole in cui Novello affila la sua ironia a un tempo feroce e affettuosa; il testo di Monelli che le accompagna è anch'esso a suo modo una galleria di vignette, di aneddoti di guerra alpina un po' malinconici e un po' ridanciani. Insieme, parole e immagini compongono un libro unico, che celebra gli alpini e il loro mito ma insieme ne sorride, che racconta senza retorica la guerra ma non sa evitare, ricordandone l'esperienza umana, una misura di nostalgia.
Nel secondo dopoguerra si è diffusa e radicata la "leggenda nera", che vede la Chiesa cattolica in primo piano nel sistema di copertura e protezione dei criminali di guerra nazisti in fuga. Nessuno è stato risparmiato: né Papa Pio XII, né i suoi più diretti collaboratori, né gli organismi umanitari, né le diocesi, né le associazioni ecclesiali. Tuttavia, l'apertura di nuovi archivi tedeschi, croati, italiani, argentini, statunitensi ha permesso l'avvio di altre ricerche più approfondite sul fenomeno. È in questo contesto che si colloca l'opera di Pier Luigi Guiducci. Grazie a un lavoro decennale, l'autore è riuscito a differenziare in modo molto chiaro le varie realtà presenti all'interno dell'enorme flusso migratorio dell'epoca, a fare il punto sulle specifiche responsabilità (area pubblica, privata, religiosa, iniziative a titolo personale), a cancellare ogni dato romanzato, a far emergere l'influenza avuta da determinate cabine di regia, sia quelle note e mai evidenziate sia quelle rimaste in ombra per decenni. È riuscito, poi, a far luce su un disegno umanitario della Chiesa che, mentre erano in corso gli accertamenti di responsabilità per crimini di guerra, ha cercato di evitare il prolungarsi di fatti di sangue, ma soprattutto di tutelare le migliaia di persone innocenti colpite dal conflitto e dalle sue conseguenze.
I 'margini d'Italia' sono tutto ciò che si è scelto di relegare alla periferia fisica o simbolica della nazione: le popolazioni africane delle colonie, le zone meno sviluppate del meridione, i manicomi prima della loro chiusura, le baraccopoli delle grandi città e i campi nomadi di oggi. È indubbio che l'esclusione di alcuni soggetti e alcuni luoghi contribuisce a determinare l'identità culturale di una nazione. Nel nostro paese l'esclusione sociale non è sempre passata attraverso un progetto politico preciso, ma è sempre stata contrassegnata da un discorso pubblico che ha rappresentato luoghi e persone come marginali. Nel libro, le voci e le fotografie di coloro che hanno contribuito alla segregazione politica e sociale, o l'hanno combattuta, ci raccontano molto sul processo di formazione dell'Italia moderna. II risultato è un ribaltamento di prospettiva nella considerazione della nostra identità, destinato a lasciare il segno nella storiografia italiana.