
Uno dei massimi storici dell’arte rinascimentale racconta l’irripetibile stagione della Roma di Paolo III, Michelangelo, Giulia Farnese, prima dell’avvento letale della Controriforma. Massimiliano Panarari, “Il Venerdì di Repubblica”
Con una narrativa avvincente e appassionata che non cede all’acquiescenza culturale – e parla anche dell’oggi, cosa credete? – il restauratore e studioso racconta come, a metà del ’500, franino le aspirazioni a una cristianità meno avida di potere qual era quella spietata e perversa dei papi. Un affresco accurato e accorato per rammentarci come non si possa mai dare per assodato l’essere uomini liberi. Stefano Miliani, “l’Unità”
Con vivace vena narrativa e sapiente ricostruzione storica, che sintonizza il segreto della creatività su trame biografiche anche affannate e misere, Forcellino fa rivivere, in 1545, figure di artisti, letterati, nobildonne, e voci popolari di sberleffo. Giuseppe Amoroso, “Corriere della Sera”
In breve
Il volume di Patricelli è un’efficace, impressionante ricostruzione di quei giorni. L’autore, che unisce la preparazione dell’accademico alla capacità di racconto del giornalista, ha scritto un saggio esemplare, animato dal ritmo narrativo e da uno sdegno non celato per i comportamenti di chi doveva pensare al popolo italiano e invece pensò anzitutto alla propria salvezza, mascherandola da ragion di Stato. Giordano Bruno Guerri,“il Giornale”
Il piccolo re e il grande dittatore. Novanta ore di cinismo e incapacità per azzerare uno Stato, fra l’alba del 9 e il pomeriggio del 12 settembre 1943. Marco Patricelli racconta con stile serratissimo l’incredibile sequenza di eventi che mise fine al regime e consegnò l’Italia a un destino di macerie.
Indice
Introduzione - Prologo. Azione e reazione - I. Il re in fuga da Roma - II. Mussolini in fuga da Campo Imperatore - Epilogo. Memoria condivisa e memoria manipolata - Bibliografia - Indice dei nomi
Il 9 giugno del 53 a.C, sulla pianura di Carre nell'Alta Mesopotamia, un esercito di cavalieri venuti dall'Iran e dall'Asia centrale sbaraglia un'armata di oltre cinquantamila uomini, inviati da Roma a conquistare l'impero rivale dei Parti. Oltre metà dei legionari trovano la morte sul campo, molti altri sono presi prigionieri e deportati, e quel che è peggio i nemici si impossessano delle insegne militari, estremo disonore per anni nella coscienza collettiva romana. Il generale, Marco Licinio Crasso, è massacrato poco dopo la battaglia, e il suo cadavere oltraggiato rimane insepolto. Lo scontro segna una battuta d'arresto per Roma: la sua avanzata verso la conquista del mondo, ritenuta fino ad allora inarrestabile, è bloccata da un'armata di cui erano state sottovalutate la perizia militare, la forza d'urto e, soprattutto, la capacità di resistere al temibile dispositivo della legione.
Che cosa si intende per storia culturale? Un campo d'indagine fra i tanti oppure un modo diverso di leggere il passato? Il volume rintraccia i sentieri sin qui percorsi da questo particolare approccio storiografico, passando in rassegna sia la varietà delle forme che di volta in volta ha assunto (storia di idee e concetti, di mentalità, di discorsi e rappresentazioni), sia il ventaglio dei fenomeni che ha permesso di mettere in luce (dal corpo e dalla sessualità alle emozioni, alla cultura materiale e ai consumi, alle forme e ai mezzi di comunicazione).
Sviluppatasi tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta del secolo scorso, la teologia della liberazione in America Latina ha messo in discussione i condizionamenti ideologici, socio-politici ed ecclesiali di una teologia segnatamente europea nelle sue preoccupazioni e nelle sue prospettive, e lo ha fatto a partire da un diverso rapporto con la realtà, sottolineando la necessità di adattare la teologia alle diverse situazioni culturali e socio-politiche. Il testo ripercorre l'itinerario essenziale della teologia della liberazione, così come si è articolato in America Latina, in contesti segnati dalla povertà e da una militarizzazione violenta.
Un vecchio popolo disperso e decimato, sotto l'impulso di un'ideologia nuova radicata nella memoria antica, il sionismo, ritorna alla terra che lo ha visto nascere, strappa l'indipendenza a un ambiente ostile, si forgia in uno Stato-nazione moderno e lo foggia nelle fattezze insite nei costumi ancestrali della sua tradizione, lo ricuce con la lingua degli avi, conquista con una lotta aspra il diritto alla "normalità", senza rinunciare perciò a rivendiacare una radicale alterità, e si dota di una temibile potenza militare, che è prima il suo mezzo di sopravvivenza e diventa poi strumento di dominio fino alla modernizzazione sociale, al prezzo però anche della brutalizzazione, della violenza, della "latente guerra civile" che investe la società e poi tragicamente la politica; fino al 4 novembre 1995, quando un giovane fanatico assassina uno dei principali responsabili del processo di pace, Rabin, il Primo ministro di una Repubblica democratica ormai inserita a pieno titolo nel novero delle nazioni "moderne" e che vive oggi la propria "normalità" nelle sue manifestazioni più complesse e drammatiche.
Già quattro anni dopo la sua creazione, avvenuta nel 1831 per volontà di Luigi Filippo, la Legione Straniera ha adottato il principio di "amalgamare" le nazionalità all'interno delle sue unità; come risultato, nei suoi 168 anni di vita, essa ha visto fondersi cento nazionalità diverse, unite da un unico scopo: sacrificare tutto per la Legione. È da questo sacrificio che nasce il mito del legionario che abbandona ogni cosa, affetti familiari compresi, e trascorre prima sedici, durissime, settimane nell'addestramento di base e poi almeno cinque anni all'interno del corpo. Ma chi sono davvero i legionari? Che cosa li ha spinti a tagliare i ponti col passato? E come si vive dentro la Legione?
Nel luglio 1942 l'Armata italiana in Russia contava circa 230.000 uomini, più veicoli, carri, materiali vari e animali. Per il trasporto furono necessari duecento convogli ferroviari. In seguito all'offensiva sovietica del dicembre di quell'anno, cominciò una disastrosa ritirata che continuò per centinaia di chilometri nella sterminata pianura russa: ogni giorno duri combattimenti falciarono migliaia di soldati. Il resto, e fu il più, lo fece il gelo. Male armati, peggio equipaggiati, in condizioni disumane, 70.000 vennero fatti prigionieri: la maggior parte morì di stenti nei campi di prigionia.
Il 7 ottobre 1571 le acque del Golfo di Patrasso si tinsero di sangue: le galee di una fragile alleanza cattolica, capitanata da don Giovanni d'Austria, sconfissero l'invincibile flotta turca di Mehmet Ali. Infranto il mito dell'imbattibilità ottomana, l'incubo di una conversione forzata all'Islam dell'Europa si dileguò. Insieme a Salamina, Waterloo e Stalingrado, Lepanto è entrata nella leggenda come una delle grandi battaglie che sono riuscite a fermare una potenza nemica inarrestabile, oltre a essere divenuta simbolo dello scontro tra Oriente e Occidente, tra Islam e Cristianesimo. Niccolò Capponi ne confuta i luoghi comuni, concentrandosi in particolare sulla strategia militare, sulla tecnologia delle armi e sui documenti originali dell'epoca (tra i quali spicca la testimonianza di Miguel de Cervantes, ferito nel corso dei combattimenti).
Un lampo di umanità tra gli orrori del primo conflitto mondiale. Sono passati sei mesi dall'inizio delle ostilità, le truppe tedesche e quelle alleate si fronteggiano in una estenuante guerra di posizione, sotto i colpi del fuoco nemico, della fame, del freddo e della paura. Ma all'improvviso, alla vigilia di Natale, in un luogo imprecisato delle Fiandre, dalle trincee tedesche si levano canti natalizi e cartelli con la scritta "We not shoot, you not shoot". Superata la diffidenza iniziale gli inglesi rispondono con i loro canti e i due schieramenti concordano una tregua di tre giorni ribellandosi agli ordini. Materiali d'archivio, diari, fotografie, lettere hanno consentito a Michael Jùrgs di raccontare questo piccolo e grande miracolo dimenticato dalla Storia.
Atene, 404 a.C. La città-Stato è devastata da una lunga e sanguinosa guerra con la vicina Sparta. Atene, faro della libertà e della democrazia nel mondo antico, è alla ricerca di un perché della sua crisi. La sua storia, la sua cultura leggendaria, il suo modello politico, la religione, la sua stessa identità sono in piena tempesta, ormai sull'orlo del crollo. Intanto la Grecia rimane senza guida: chi prenderà il comando? Chi sarà all'altezza? Città come Sparta e Tebe fanno le loro mosse. Grandi tiranni provano a calcare la scena mondiale. Alessandro Magno cerca di espandere il suo regno e conquista l'intero Impero persiano. Passano quasi 100 anni, neanche un secolo dopo la caduta di Atene, nel 323 a.C., alla morte di Alessandro, e tutta la Grecia e gran parte del mondo noto a quell'epoca si scoprono nelle mani di un monarca assoluto, modello di despoti per millenni a venire. Com'è stato possibile in questo arco di tempo precipitare da una società politica pluralista a un regime chiuso e dispotico?

