
"A questi motivi di recriminazione si aggiunsero altri meno nobili, che venivano dal costume della vecchia Italia: la consuetudine di scorgere nel governo un'autorità estranea o addirittura nemica, nella polizia non la tutela dell'ordine e della libertà, bensì l'esoso strumento dell'oppressione, nei tributi la imposizione arbitraria, nel servizio militare una mortificante servitù, nella legge un ordine estrinseco cui era lecito e bello sottrarsi". Nel periodo confuso e terribile dell'estate del '43, un intellettuale italiano, concentrato fino ad allora sui propri studi di storia del pensiero, avverte il bisogno di una riflessione eminentemente politica sul senso ultimo della storia d'Italia. Ne nasce un saggio rapido eppure pensoso, che in poche pagine di eccezionale pregnanza coglie una ad una le cause di lungo corso di quei mali pubblici della nazione ancora oggi ben vivi tra noi.
Fra il 1943 e il 1945 decine di migliaia di civili furono vittime di 2273 stragi brutali compiute da nazisti e fascisti lungo il territorio del nostro paese. Un elenco tragico che comprende nomi ormai noti e tanti altri completamente sconosciuti: Stazzema, Marzabotto, Fivizzano, Fossoli, Capistrello e cento altri comuni. Nei mesi successivi alla Liberazione, molti dei colpevoli furono individuati e su di loro furono aperti procedimenti penali. Ma nel 1947 una mano ignota mise tutto a tacere, e i fascicoli con i nomi dei responsabili di quelle stragi finirono sepolti dentro un armadio custodito nella sede della Procura generale militare.
Non ci furono istruttorie né processi. Tutto fu avvolto nel silenzio imposto dal potere. La descrizione di quei misfatti, le prove, le testimonianze, vennero scoperte per caso mezzo secolo più tardi, nascoste in quel vecchio armadio rifilato in un vano recondito, le ante chiuse a chiave, rivolte verso il muro. Grazie a quell'armadio gli assassini hanno goduto di sessant'anni di impunità. Grazie a quell'armadio è stata consumata l'ingiustizia più grande nei confronti del popolo italiano.
Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso il ghebì, il palazzo del nobile Nasibù Zamanuel, svetta sontuoso nel centro di Addis Abeba. Nella vita del degiac, tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell'ippodromo di Janehoymeda, a come l'ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescià, dove il santo eremita abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli. Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l'Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra. Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua terra, ma le forze sono però troppo impari e il conflitto segna la fine dell'impero etiopico e dello splendore dei Nasibù, che nei mesi successivi sono costretti all'esilio. A più di sessant'anni dagli avvenimenti, Martha Nasibù, figlia del degiac Nasibù, racconta l'incredibile vicenda della sua famiglia esiliata in Italia sul finire del 1936 e tenuta al confino sino all'agosto del 1944.
"Italiani, brava gente"? Non la pensa così lo storico Angelo Del Boca che ripercorre la storia nazionale dall'unità a oggi e compone una sorta di "libro nero" degli italiani, denunciando gli episodi più gravi, in gran parte poco noti o volutamente e testardamente taciuti e rimossi. Si va dalle ingiustificate stragi compiute durante la cosiddetta "guerra al brigantaggio" alla costruzione in Eritrea di un odioso universo carcerario. Dai massacri compiuti in Cina nella campagna contro i boxer alle deportazioni e agli eccidi in Libia a partire dal 1911. Dai centomila prigionieri italiani lasciati morire di fame in Austria, durante la Grande Guerra, al genocidio del popolo cirenaico fino alle bonifiche etniche sperimentate nei Balcani.
La dura disamina dello stato della fede cristiana in Italia e in Occidente.
La critica di una fede ammorbata dal clericalismo vaticano e dal materialismo marxista.
Per un rinnovamento della religiosità attraverso la laicità dello Stato e una "religione civile".
Nel pensiero di Giuseppe Mazzini (1805-1872), la religione occupa un posto centrale ed è strettamente legata, tramite il disegno provvidenziale, alla lotta politica per l’Unità d'Italia.
La sua concezione religiosa e la sua profonda spiritualità emergono con chiarezza nei quattro saggi proposti in questo volume, risalenti al periodo 1832-1870, che sostanzialmente racchiude l'intero arco della sua vita attiva.
Vi emergono con chiarezza molti temi chiave del pensiero mazziniano: la critica del papato, che ostacola l'unificazione e l'indipendenza della nazione oltre che l'emancipazione civile e religiosa del popolo; lo stretto nesso tra religione e politica e, contemporaneamente, la distinzione tra potere politico e potere spirituale; gli ideali democratici e repubblicani, la religione del Progresso...
Andrea Panerini (1983), laureato in Storia contemporanea, studia presso la Facoltà valdese di Teologia a Roma in vista del ministero pastorale. Ha pubblicato numerosi volumi di saggistica e di poesia, tra cui si segnalano la curatela dell'inedito di Mazzini L'Italia, l'Austria e il Papa (2005) e la silloge poetica Litanie arabe (2010), entrambi pubblicati da La Bancarella di Piombino (Li).
Il volume e un ampio approfondimento di tutti gli aspetti politici/culturali che non permettono all'Europa di riscoprire e valorizzare la sua identita Giudaico/Cristiana.
Patrizi di Bellegra. Presbiteri al servizio della Curia Romana dal XVIII al XX secolo
di Davide Bracale
Il volume attraversa tre secoli di storia attraverso l’operato dei presbiteri della famiglia Patrizi che da Bellegra, feudo dell’Abbazia di Subiaco, volsero a Roma e qui, secondo una radicata tradizione familiare, prestarono servizio presso la Curia Romana.
Don Lorenzo Patrizi, archivista del Sant’Uffizio, affrontò la sottrazione di tutti i documenti della Santa Sede durante l’invasione napoleonica di Roma. I documenti furono trasportati a Parigi assieme a Pio VII, ormai prigioniero di Napoleone. Don Lorenzo, dopo la disfatta di Waterloo, fu incaricato di riformare tutto l’Archivio del Sant’Uffizio, in condizioni disastrate, con i documenti che man mano tornavano da Parigi, ritrovati sia nei palazzi nobiliari che tra i pizzicagnoli della capitale francese. Ad oggi, l’impegno di questo presbitero e dei suoi successori ha permesso che l’Archivio del Sant’Uffizio con tutta la sua storia continui ad esistere.
Don Giuseppe Patrizi, docente di diritto canonico all’Archiginnasio della Sapienza, all’epoca università papale, era il ciambellano del card. Angelo Mai, cui Leopardi intitolò il celebre canto “Ad Angelo Mai” quale ringraziamento delle sue scoperte filologiche.
Mons. Pietro Patrizi, ultimo prelato della famiglia vissuto nell’epoca dello Stato Pontificio, era avvocato della Curia Roma e officiale della Congregazione del Concilio. Dopo la breccia di Porta Pia del 1870 egli si pose in strenua difesa di Pio IX e con coraggio per dieci anni tentò di difendere il Beneficio della Madonna della Pace di Bellegra, per centocinquant’anni gestito dai Patrizi con notevoli frutti in favore dell’Abbazia di Subiaco e dell’Apostolica Sede; tuttavia egli dovette cedere alla liquidazione dell’asse ecclesiastico e arrendersi alla caduta dello Stato Pontificio.
L’ultimo esponente della famiglia al servizio della Sede Apostolica fu Mons. Nazareno Patrizi. Incardinato nella diocesi di Roma, insegnava nella scuola operaia di Testa Spaccata e l’estate partiva per le missioni nelle chiese della campagna romana. Canonico dei Ss. Celso e Giuliano ed avvocato rotale, era stato incaricato da Pio X di interessarsi alla questione della legge delle guarentigie dalla prospettiva della Sede Apostolica e secondo quanto determinava il diritto pubblico. Impiegato nel servizio diplomatico pontificio prima come segretario di ablegazione e poi quale incaricato d’affari dei vescovi argentini, da Benedetto XV fu indicato per una complessa nunziatura in America Latina. Pio XII, infine, gli conferì il titolo di Prelato Domestico, quale premio per il suo impegno pastorale e di curia. Con Mons. Nazareno Patrizi tramontò la tradizione di presbiteri della famiglia Patrizi, ma era ormai fissato nella storia il loro secolare operato.
La Rivoluzione francese comprende un complesso di avvenimenti. Dal 1787, vero inizio del periodo pre-rivoluzionario, al colpo di Stato del 18 Brumaio, Godechot ricostruisce il filo degli avvenimenti a Parigi e in provincia, giorno per giorno: un attento diario di bordo della Rivoluzione, una cronoca commentata precisa ed essenziale che ha l'immediatezza del linguaggio giornalistico e la precisione del saggio storico. Completa il volume un piccolo dizionario biografico dei 400 personaggi protagonisti e non della Rivoluzione.
Cinquant'anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, un libro schietto e appassionato che ricorda chi ha combattuto per la libertà. Un libro che non tace le atrocità dei fatti, anzi li racconta con la lucidità di chi li ha vissuti in prima persona. La storia, le battaglie, le riflessioni di un italiano che l'8 settembre non buttò le armi.