
La "Vita Mathildis", poema epico-storico composto dal monaco Donizone all'inizio del sec. XII, è una delle testimonianze letterarie più importanti della coscienza nobiliare europea dei secoli centrali del medioevo. Sotto il titolo "La memoria di Canossa" si presentano qui sette saggi che costituiscono altrettanti percorsi di interpretazione del poema, volti a ricostruire i suoi immediati contesti sociali di produzione e di ricezione. Tali saggi si propongono al contempo di ribadire ed esemplificare la ricchezza dei testi letterari come fonti, da un lato accettando le sfide lanciate all'interpretazione storica dalla cultura postmoderna e dall'altro cercando di non cadere nelle insidie tese dai "nuovi realismi".
Dopo la scomparsa della figura, dell'immagine, del quadro stesso, nell'arte sono ormai le forme e gli oggetti della vita a occupare la scena: graffiti, happening, performance, installazioni, arte del corpo e del paesaggio, sino all'irruzione del video e del digitale. Com'è cambiata la nozione di storia dell'arte? Qual è l'origine storica delle tendenze così estreme dell'arte attuale? Quali nuovi criteri di valutazione si sono andati imponendo? Queste sono le domande cui Denys Riout risponde, ampliando il più possibile l'orizzonte degli eventi e suggerendo di conseguenza l'impossibilità di una risposta univoca, offrendo al lettore tutti gli elementi di un quadro artistico e culturale assai complesso.
Docente di Lingua e letteratura coreana, a lungo residente in Estremo Oriente, autore di un libro di introduzione alla lingua coreana e di uno sulla storia della letteratura di quel Paese, Maurizio Riotto ripercorre in questo volume la storia della Corea. Partendo dalle stesse mitiche origini della nazione coreana, dal territorio e dalla lingua, l'autore dipinge la grande avventura di un popolo di antica civiltà che, occupando da sempre un posto fondamentale nello scacchiere geo-politico dell'Estremo Oriente, contribuì alla formazione di quella cultura giapponese oggi nel mondo ben più conosciuta e apprezzata. Il volume è proposto direttamente in edizione tascabile.
Nel secondo dopoguerra il ritorno dell'Italia alla tradizionale libertà d'emigrazione, la ricostruzione economica europea e l'avvento in Occidente di democrazie più compiute sembrarono promettere un'epoca di liberi flussi migratori. Nella realtà tutto andò diversamente: la necessità di lavoratori stranieri fu a lungo limitata e le politiche migratorie internazionali rimasero restrittive e inefficienti. Di conseguenza, in decenni in cui l'Italia era il principale serbatoio europeo di manodopera, l'espatrio illegale divenne un fenomeno vasto e diffuso in tutta la penisola. Solo una piccola porzione dei clandestini italiani era mossa da ragioni giudiziarie o politiche. La maggioranza era composta da lavoratori, uomini, donne e bambini che quasi in nulla si distinguevano dai connazionali più fortunati che riuscivano ad emigrare nel rispetto della legge. Dopo avere attraversato i confini stranieri spesso al prezzo della vita, molti furono "sanati" ed equiparati agli immigrati regolari, ma quasi tutti vissero a lungo nell'illegalità sperimentando sfruttamento e precarietà. Molti si rassegnarono a rimpatriare rapidamente, mentre i più sfortunati, in mancanza di meglio, finirono per arruolarsi nella Legione Straniera francese partecipando anche alle guerre d'Indocina e d'Algeria.
"Senza processo e senza condanna, forse solo per essere rimasto tenacemente fedele alla sua scelta, salvando con il suo silenzio il paese di Odeno, gli amici e i compagni, Emi viene mitragliato di spalle, scalzo, e il suo corpo viene lasciato esanime nella gelida neve di febbraio, poco fuori il paese di Belprato". Si concludeva così - il 10 febbraio 1945, a poche settimane dalla Liberazione - la vita di Emiliano Rinaldini, partigiano nelle "Fiamme Verdi" catturato tre giorni prima da militi fascisti e torturato dalle SS. Le pagine del suo Diario, qui presentato in una nuova edizione, sono la testimonianza del percorso spirituale e politico che portò una coscienza profondamente religiosa alla scelta, difficile e sofferta, di combattere nella Resistenza per contribuire alla nascita di una società migliore, più giusta. Presentazione di Agostino Gemelli. Introduzione di Daria Gabusi.
"Memoria", "unicità", "mai più": moniti che dopo la Shoah vengono messi in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un "conflitto tribale", come all'epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un "figlio maggiore". Dal cuore dell'Europa al cuore dell'Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare in un percorso in venti "stazioni", con somiglianze stridenti e alcune differenze, comprese le responsabilità di una parte dell'Occidente che in Ruanda, cinquant'anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali che considerava acquisiti. Le due lezioni parallele sono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzognee ipocrisie del nostro tempo.
«I bambini affamati erano tanti. Cominciava il tempo umido e freddo e non c'era carbone. I casi pietosi erano molti, moltissimi. Bambini che dormivano in casse di segatura per avere meno freddo, senza lenzuola e senza coperte. Bambini rimasti soli o con parenti anziani che non avevano la forza e i mezzi per curarsi di loro.» Così scrisse Teresa Noce, dirigente dell'Udi, Unione donne italiane, che fu l'anima del grande sforzo collettivo avviato all'indomani della Seconda guerra mondiale per salvare i piccoli del Sud condannati dalla povertà. Li accolsero famiglie del Centro-Nord, spesso a loro volta povere ma disposte a ospitarli per qualche mese e dividere quel che c'era. Un'incredibile espressione di solidarietà che richiese un intenso lavoro logistico, con il coinvolgimento di medici e insegnanti. E che non fu priva di ostacoli, tra cui la diffidenza della Chiesa timorosa dell'indottrinamento filosovietico, con qualche parroco che avvertiva: «Se andate in Romagna i bimbi li ammazzano, se li mangiano al forno». Giovanni Rinaldi raccoglie queste storie da oltre vent'anni: partendo dalla sua terra, il Tavoliere delle Puglie, ha viaggiato in ogni regione d'Italia parlando con tanti ex bambini dei «treni della felicità». Franco che non aveva mai dormito in un letto pulito. Severino che non era mai andato in vacanza al mare. Dante che non sapeva cosa fosse una brioche. Rosanna che non voleva più togliere l'abito verde ricevuto in regalo, il primo con cui si sentiva bella. Con le loro voci e un'accurata ricostruzione storica disegna un mosaico di testimonianze di prima mano, divertenti e commoventi: il ritratto di un'Italia popolare eppure profondamente nobile.
Il volume tratta dei giudizi e, principalmente, delle critiche dei pagani sul conto dei cristiani, della loro fede e delle loro Scritture. Il campo d'indagine copre i primi quattro secoli. Il libro è articolato in due parti: la prima presenta, nel quadro della storia politica e culturale del periodo, i profili e le opere dei principali oppositori; la seconda passa in rassegna alcuni tra i più rilevanti temi di controversia. Emerge una rete di interazioni più fitta di quel che si possa prevedere: il pensiero teologico dei cristiani, così come la loro esegesi biblica, dové tenere conto di una lunga serie di accuse formulate in opere smarrite o censurate. Il testo vuole restituirci una storia scritta dalla prospettiva dei vinti. Questo nuovo punto di osservazione integra e completa quello solitamente già noto.
Per troppo tempo i rapporti tra Impero romano e comunità cristiane sono stati considerati esclusivamente in base alle politiche dei vari imperatori e non in riferimento a quei governatori che, provincia per provincia e in varia misura, rappresentavano l'impero avvalendosi di un ampio margine di discrezionalità nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme vigenti. Tale prospettiva va, se non abbandonata, decisamente relativizzata. Questo volume si caratterizza pertanto per un aspetto profondamente innovativo: la vicenda dei cristiani viene messa in relazione con il profilo personale e culturale dei governatori di provincia che ebbero a che fare con la nuova corrente religiosa. Territori privilegiati sono l'Asia, la Siria, l'Egitto, l'Africa. Gli ampi e accurati indici analitici consentono un rapido reperimento di una grande quantità di fonti documentarie (iscrizioni, papiri, monete, scavi) solitamente ignorati nella trattatistica generale di storia del cristianesimo; questo materiale rende più puntuale e articolata la ricostruzione della vicenda degli antichi cristiani.