
Eugene Rogan ripercorre la storia degli arabi a partire dalle conquiste ottomane del XVI secolo, attraverso l'imperialismo europeo prima e la Guerra fredda poi, fino all'attuale egemonia americana. Facendo ampio ricorso ai racconti dei testimoni diretti degli avvenimenti narrati, questo libro restituisce la ricchezza di voci differenti - intellettuali e studenti, poeti e politici, protagonisti e comprimari - in un disegno ricco di trame affascinanti. La sconfitta sofferta contro gli ottomani nel 1516 chiuse la lunga e gloriosa esperienza dell'indipendenza: i paesi arabi, dal Medio Oriente al Marocco, entrarono a far parte dell'impero turco e vi restarono fino al 1918. La loro storia precedente (dal VII al XVI secolo) entrò dunque nel mito, diventò leggenda e suscitò il rimpianto per la grandezza perduta, alimentando un bisogno di rivalsa mai sopito. Seguendo l'evoluzione dell'identità araba, Rogan affronta i temi che ancora oggi infiammano la regione: il conflitto israelo-palestinese, l'affermazione dei nazionalismi, il potere economico e politico del petrolio, il rapporto tra Islam e società civile. Un ritratto sfaccettato e suggestivo, un riferimento essenziale per comprendere la storia moderna del mondo arabo e intuirne il futuro.
Davide Rodogno esamina l'emergenza di una pratica d'intervento nei conflitti, chiamata intervento d'umanità o intervento umanitario a livello internazionale, dalla caduta di Napoleone sino alla prima guerra mondiale. Contrariamente al luogo comune che vuole che gli interventi umanitari siano un'invenzione recente, Rodogno dimostra che la loro storia risale ad almeno due secoli fa quando, sotto l'egida di un sistema internazionale chiamato il "Concerto europeo", le grandi potenze europee si sono arrogate il diritto morale e la legittimità politica di intervenire per salvare popolazioni straniere vittime di massacro, atrocità e sterminio. I casi di intervento riguardano specificamente popolazioni cristiane vittime di violenze commesse da regimi "barbari", come quello turco, che violavano gravemente "il diritto alla vita". Rodogno esplora la percezione politica, legale e morale che gli europei svilupparono dell'impero ottomano e le ragioni per le quali quest'impero fu escluso dalla cosiddetta "famiglia delle nazioni". Un'analisi storica inedita di questa pratica internazionale controversa e delle sue conseguenze sulle popolazioni civili.
L'Altipiano dei Sette Comuni è stato l'unico territorio in Italia a vivere in prima linea tutti i 41 mesi del Primo conflitto mondiale. Introdotto dallo storico Alberto Monticone, e arricchito di contributi di altri valenti studiosi, il volume è un'utile guida per capire come scoppiò il conflitto, quali devastanti conseguenze umane, sociali ed economiche ebbe su questa parte del territorio nazionale, e come oggi se ne conservi e tuteli la memoria, nello specifico mediante l'applicazione di quanto previsto dalla legge n. 78 del 7 marzo 2001, "Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale", che proprio da una proposta partita dall'Altipiano prese le mosse per essere votata dal Parlamento. La pubblicazione, che presenta una ricerca condotta con un'attenzione speciale al tema del dramma umano, raccoglie insieme i caduti nella Grande Guerra dell'Altipiano così come era organizzato amministrativamente cento anni fa, con le località di Pedescala e San Pietro Valdastico all'interno del Comune di Rotzo. Viene così disegnato nell'insieme il quadro sociale di una peculiare realtà di confine che, sconvolta dalla guerra, non solo perderà il nerbo delle sue forze giovanili, ma vedrà il profugato di tutti gli abitanti e la totale distruzione del territorio, per ritrovare nella memoria a cento anni dal conflitto il significato di un luogo educativo per le giovani generazioni sul dramma della guerra.
Il libro di Giorgio Roda è un'introduzione alla storia romana attenta sia alle vicende politche e istituzionali che alla realtà sociale, economica e culturale.
Tra il 1935 e il 1945 l'Italia fu in guerra senza interruzioni in Etiopia, Spagna, nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa settentrionale, in Russia. Dal 1935 al 1941 il governo italiano dichiarò guerra a: Etiopia, Spagna, Albania, Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Stati Uniti. In questo libro, la sintesi aggiornata e completa di questi conflitti. Una storia militare che mette in luce la continuità tra la politica fascista e il ruolo che le forze armate ebbero nel tradurre in atti concreti la ricerca di potenza nazionale: il principale scopo e giustificazione della dittatura mussoliniana.
Il periodo che va dall'immediato primo dopoguerra all'ascesa al potere di Mussolini è senz'altro uno dei più importanti per la storia militare italiana: fu allora che l'esercito, uscito vittorioso dalla guerra, cercò e si diede una nuova organizzazione, tenendo conto del mutato contesto politico. Lo testimonia l'attenzione insolitamente alta dell'opinione pubblica del tempo ai problemi militari. Le vicende della guerra, le crescenti ambizioni degli alti gradi dell'esercito, il mito della nazione armata, le prime agitazioni operaie e l'ombra del bolscevismo confluivano nel dibattito pubblico, agitando una serie di interrogativi e aspettative sul ruolo dell'esercito nella società. Il presente volume è una nuova edizione con una Premessa dell'autore.
Alcuni tra i maggiori storici contemporaneisti italiani riflettono su temi e problematiche che hanno accompagnato la costruzione dello Stato-nazione in Italia, cercando di mettere in luce gli aspetti politici, culturali, economici, sociali, istituzionali che hanno caratterizzato questo processo storico all'interno del più ampio contesto dell'Europa dell'Ottocento. Si tratta di partire da una rilettura della vicenda risorgimentale che tenga conto della complessità e della pluralità di istanze e dinamiche, a volte anche ambigue e contraddittorie, che hanno contribuito a connotare il paese all'indomani dell'Unità. Vengono dunque analizzati il passaggio dagli Stati dinastico-territoriali allo Stato-nazione, i legami tra Risorgimento e nuova realtà nazionale, il confine tra i concetti di razza e nazione, i rapporti con la Chiesa e la religione, quelli tra Nord e Sud, e tra centro e periferia, le tensioni e i conflitti, ma anche la cultura e i saperi messi in campo al servizio del nuovo Stato.
A non molta distanza dalla stazione Termini, il profilo urbano di Roma è segnato dalla presenza di imponenti resti, integrati nelle mura della città: è tutto ciò che rimane del perimetro dei castra praetoria, la caserma che alloggiava le coorti pretorie. Ma chi erano i pretoriani? Gli storici antichi, senatori animati per lo più da sentimenti ostili nei confronti del regime imperiale, non esitavano a considerarli lo strumento di repressione utilizzato dai Principi per schiacciare l'antica libertas repubblicana, quando non addirittura una soldataglia interessata soltanto ad accrescere i propri privilegi. Ancora oggi l'immaginario comune, nutrito dalla vulgata di certa fiction, tende a vedere nei pretoriani gli sgherri in uniforme di imperatori crudeli e pazzoidi: una muta di spietati cani da caccia sempre pronti a mordere persino la mano di chi li nutriva. Questo volume si propone di ampliare la visuale sulle fonti, per meglio definire il volto degli uomini - soldati, tutori dell'ordine, funzionari - che marciarono sotto l'insegna dello Scorpione.
Dalle desolate brughiere del Settentrione britannico alle dinamiche città carovaniere del Vicino Oriente, dagli infuocati deserti africani percorsi da nomadi e greggi alle onde ribollenti del Danubio e del Mar Nero, fino al limite delle steppe sarmatiche e delle impenetrabili foreste germaniche: per secoli i soldati di Roma sorvegliarono le frontiere del più grande impero dell'Occidente premoderno. Con il tempo, la prorompente espansione romana in remote province fu sostituita dalle crescenti incursioni degli innumerevoli popoli del barbaricum, sempre vendicate da spietate spedizioni punitive. E alla fine quei popoli si insediarono nelle province, ormai indifendibili. Una vicenda storica che non visse solo di battaglie, tradimenti e massacri, ma anche di una difficile dialettica intessuta di fragili tregue, incerti trattati, intensi scambi commerciali e culturali.
Perlopiù nota dalla Bibbia ebraica, nel Vicino Oriente antico la letteratura sapienziale risale in Egitto alla più alta antichità, trasmessa da testimoni sparsi per l'intero II millennio a.C. Questo genere di scritti, pervenuto soprattutto in frammenti, consente di farsi un'idea di quale grande civiltà della parola e della scrittura fu l'Egitto faraonico, e anche documenta come la saggezza più che la violenza abbia segnato lo sviluppo della civiltà faraonica, e come tale saggezza venne consegnata a un'arte del discorso destinata a fare scuola non soltanto in Egitto. A trent'anni dalla prima pubblicazione, il confronto con la nuova edizione, interamente riveduta e rielaborata, dà la misura dei progressi e delle scoperte incessanti che continuano a fare dello studio dell'Egitto antico un terreno fertile e imprevedibile.