
"Memoria", "unicità", "mai più": moniti che dopo la Shoah vengono messi in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un "conflitto tribale", come all'epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un "figlio maggiore". Dal cuore dell'Europa al cuore dell'Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare in un percorso in venti "stazioni", con somiglianze stridenti e alcune differenze, comprese le responsabilità di una parte dell'Occidente che in Ruanda, cinquant'anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali che considerava acquisiti. Le due lezioni parallele sono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzognee ipocrisie del nostro tempo.
"Senza processo e senza condanna, forse solo per essere rimasto tenacemente fedele alla sua scelta, salvando con il suo silenzio il paese di Odeno, gli amici e i compagni, Emi viene mitragliato di spalle, scalzo, e il suo corpo viene lasciato esanime nella gelida neve di febbraio, poco fuori il paese di Belprato". Si concludeva così - il 10 febbraio 1945, a poche settimane dalla Liberazione - la vita di Emiliano Rinaldini, partigiano nelle "Fiamme Verdi" catturato tre giorni prima da militi fascisti e torturato dalle SS. Le pagine del suo Diario, qui presentato in una nuova edizione, sono la testimonianza del percorso spirituale e politico che portò una coscienza profondamente religiosa alla scelta, difficile e sofferta, di combattere nella Resistenza per contribuire alla nascita di una società migliore, più giusta. Presentazione di Agostino Gemelli. Introduzione di Daria Gabusi.
Nel secondo dopoguerra il ritorno dell'Italia alla tradizionale libertà d'emigrazione, la ricostruzione economica europea e l'avvento in Occidente di democrazie più compiute sembrarono promettere un'epoca di liberi flussi migratori. Nella realtà tutto andò diversamente: la necessità di lavoratori stranieri fu a lungo limitata e le politiche migratorie internazionali rimasero restrittive e inefficienti. Di conseguenza, in decenni in cui l'Italia era il principale serbatoio europeo di manodopera, l'espatrio illegale divenne un fenomeno vasto e diffuso in tutta la penisola. Solo una piccola porzione dei clandestini italiani era mossa da ragioni giudiziarie o politiche. La maggioranza era composta da lavoratori, uomini, donne e bambini che quasi in nulla si distinguevano dai connazionali più fortunati che riuscivano ad emigrare nel rispetto della legge. Dopo avere attraversato i confini stranieri spesso al prezzo della vita, molti furono "sanati" ed equiparati agli immigrati regolari, ma quasi tutti vissero a lungo nell'illegalità sperimentando sfruttamento e precarietà. Molti si rassegnarono a rimpatriare rapidamente, mentre i più sfortunati, in mancanza di meglio, finirono per arruolarsi nella Legione Straniera francese partecipando anche alle guerre d'Indocina e d'Algeria.
Docente di Lingua e letteratura coreana, a lungo residente in Estremo Oriente, autore di un libro di introduzione alla lingua coreana e di uno sulla storia della letteratura di quel Paese, Maurizio Riotto ripercorre in questo volume la storia della Corea. Partendo dalle stesse mitiche origini della nazione coreana, dal territorio e dalla lingua, l'autore dipinge la grande avventura di un popolo di antica civiltà che, occupando da sempre un posto fondamentale nello scacchiere geo-politico dell'Estremo Oriente, contribuì alla formazione di quella cultura giapponese oggi nel mondo ben più conosciuta e apprezzata. Il volume è proposto direttamente in edizione tascabile.
Dopo la scomparsa della figura, dell'immagine, del quadro stesso, nell'arte sono ormai le forme e gli oggetti della vita a occupare la scena: graffiti, happening, performance, installazioni, arte del corpo e del paesaggio, sino all'irruzione del video e del digitale. Com'è cambiata la nozione di storia dell'arte? Qual è l'origine storica delle tendenze così estreme dell'arte attuale? Quali nuovi criteri di valutazione si sono andati imponendo? Queste sono le domande cui Denys Riout risponde, ampliando il più possibile l'orizzonte degli eventi e suggerendo di conseguenza l'impossibilità di una risposta univoca, offrendo al lettore tutti gli elementi di un quadro artistico e culturale assai complesso.
La "Vita Mathildis", poema epico-storico composto dal monaco Donizone all'inizio del sec. XII, è una delle testimonianze letterarie più importanti della coscienza nobiliare europea dei secoli centrali del medioevo. Sotto il titolo "La memoria di Canossa" si presentano qui sette saggi che costituiscono altrettanti percorsi di interpretazione del poema, volti a ricostruire i suoi immediati contesti sociali di produzione e di ricezione. Tali saggi si propongono al contempo di ribadire ed esemplificare la ricchezza dei testi letterari come fonti, da un lato accettando le sfide lanciate all'interpretazione storica dalla cultura postmoderna e dall'altro cercando di non cadere nelle insidie tese dai "nuovi realismi".
In queste pagine è raccontato il depistaggio di via D’Amelio alla luce delle nuove acquisizioni e sentenze: il protagonismo dei servizi segreti e la continuità storica con le deviazioni che hanno caratterizzato la storia delle stragi in Italia, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna.
Questa è la storia di un giudice ucciso due volte: da una Fiat imbottita di tritolo e da una clamorosa macchinazione di Stato che ha coperto i veri responsabili della sua morte. È la storia dell’indagine affidata illegalmente al Sisde di Bruno Contrada e consegnata al gruppo investigativo di Arnaldo La Barbera, che si è trasformata nella più grande mistificazione giudiziaria della Repubblica. C’è solo da leggerla, reprimendo la rabbia e l’indignazione, e raccontarla ad altri, e poi ad altri ancora, perché nessuno possa dimenticare cosa è successo in questo paese e quel che resta oggi delle indagini inquinate: un processo a tre pesci piccoli e tante domande senza risposta, nel trionfo dell’omertà istituzionale. Ventisette anni di falsi testimoni e false verità: colloqui investigativi “anomali”, ritrattazioni ignorate, sopralluoghi mai verbalizzati, investigatori a caccia di colpevoli fasulli, magistrati “distratti” e guerre tra apparati. In queste pagine è raccontato il depistaggio di via D’Amelio alla luce delle nuove acquisizioni e sentenze: il protagonismo dei servizi segreti e la continuità storica con le deviazioni che hanno caratterizzato la storia delle stragi in Italia, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna.
La storia propone una serie di questioni che investono la teologia, la filosofia e l’epistemologia. I suoi contenuti esigono un’oggettività garantita dai documenti e dalle testimonianze, e la validità e l’imparzialità della cronaca relativa agli eventi trattati non sono separabili dalla prospetticità interpretativa degli storici. Il discorso narrativo che la riguarda è sempre sospeso tra la storia vera e propria e l’ipotesi storiografica che la illustra. Il presente volume affronta l’argomento in due parti, la prima di carattere teoretico riferita ai temi, ai problemi e alle prospettive della filosofia della storia, la seconda concernente le narrazioni storiche che dalle origini ad oggi caratterizzano il pensiero occidentale. In quest’ultima parte sono centrali gli autori che nell’ambito filosofico hanno problematizzato la storia stessa dando origine ai modelli storiografici. L’interesse della trattazione è dato dalla prospettiva narrativista, che sposta il problema dalla ricerca veritativa dei fatti al racconto, mediante il quale l’umanità prende coscienza di sé medesima nell’avventura costituita dallo sviluppo delle sue civiltà. Raccontare la storia significa nel contempo prendere coscienza degli eventi vissuti e tramandarne ai posteri il senso e il significato che li anima.
Silvana Procacci si è laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Perugia, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia e scienze umane, proseguendo, accanto alla docenza nella scuola superiore, la sua attività di ricerca come studiosa di filosofia della natura e di filosofia della storia. A tale riguardo ha sviluppato le prospettive sistemiche e olistiche in rapporto alla filosofia, alle scienze e alla teologia, con particolare attenzione al pensiero di P. Teilhard de Chardin, partecipando a numerose attività di ricerca e a progetti nazionali ed internazionali. Ha collaborato con varie riviste, sia nazionali sia internazionali. Tra i libri pubblicati si possono ricordare: Alle radici dell’olismo. Filosofia della natura in J. C. Smuts, ESI, Napoli 2001 e Comunicare la storia. La filosofia della storia nel pensiero occidentale, Morlacchi, Perugia 2005.
Aurelio Rizzacasa è docente ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Perugia. Accanto alle tematiche inerenti alla storia, ha approfondito, con particolare attenzione, anche tematiche etico-filosofiche ed etico-politiche dominanti nel pensiero del Novecento. Coordina il gruppo di ricerca per il dialogo tra scienza e teologia Etruscan Local Group, promosso dalla John Templeton Foundation. Ha pubblicato numerosi saggi su varie riviste filosofiche nazionali e internazionali. Tra i libri pubblicati si possono ricordare: Kierkegaard. Storia ed esistenza, Studium, Roma 1984; L’eclisse del tempo. Il fine e la fine della storia, Città Nuova, Roma 2001; La sentinella del nulla: riflessioni sul pensiero di E. M. Cioran, Morlacchi, Perugia 2007.

