
Martedì 20 settembre 1870: Roma è circondata da 50 mila soldati italiani che, dopo aver forzato i confini dello Stato Pontificio, l'assediano con cinque divisioni militari. La città del Papa Re, difesa da 11 mila uomini in armi, è pronta a resistere. All'alba dall'avamposto pontificio di villa Patrizia partono all'improvviso colpi di fucile contro le truppe avversarie schierate a villa Albani: è l'inizio della battaglia. Antonio Di Pierro ricostruisce la cronaca dettagliata, ora per ora e in presa diretta, di quella giornata fondamentale nella storia dell'Italia moderna in cui veniva cancellato dall'atlante politico europeo uno degli Stati più antichi e Roma si apprestava a diventare, dopo Torino e Firenze, la capitale definitiva del giovane Regno.
Il Regno delle due Sicilie terminò la sua esistenza a seguito di un processo di decomposizione interna accelerato dal moto risorgimentale che portò all'unificazione del nostro paese? Oppure a provocare il crollo del regime borbonico fu decisiva la pressione delle grandi "Potenze marittime" (Francia e Inghilterra) che, dalla metà del XIX secolo, tentarono di trasformare il Mezzogiorno in una colonia economica e in un avamposto strategico funzionale alla loro strategia mediterranea? Il volume di Eugenio Di Rienzo risponde a questi interrogativi, alla luce di una documentazione inedita, proveniente dagli archivi diplomatici francesi, inglesi, austriaci, russi, spagnoli, analizzando la lunga agonia del Regno di Napoli in una durata che va dal conflitto commerciale ingaggiato con la Gran Bretagna nel 1840, ai riflessi internazionali della rivoluzione del 1848, alla Guerra di Crimea, alla distruzione del vecchio equilibrio europeo successiva alla presa di potere di Napoleone III. Senza nessuna nostalgia neoborbonica ma con una grande attenzione ai problemi della storia presente, questo saggio suggerisce inoltre che la stessa debolezza geopolitica, che determinò il crollo del "Piccolo Stato" napoletano, avrebbe condizionato, fino ai nostri giorni, il destino della "Media Potenza" italiana nel segno di un passato destinato a non passare.
Il recente colpo di Stato di Kiev è stato l'ultimo atto di una strategia messa in atto per spingere l'Ucraina nella Nato e quindi per preparare il terreno alla definitiva disintegrazione della Russia come Grande Potenza. Dopo aver assistito a questo tentativo di minare le basi geostrategiche della sicurezza russa, Putin è tornato con maggior forza a promuovere un'azione in grado di ricostituire la sfera d'influenza di Mosca nelle regioni dell'ex Unione Sovietica e di dimostrare alla comunità internazionale che l'"Orso russo" possiede ancora artigli forti che gli consentono di tenere a bada i suoi avversari. Sfidando la Russia nel suo cortile di casa l'Occidente ha dato il via a una crisi globale destinata a minare per i prossimi anni la possibilità di costruire un pacifico ordine mondiale.
Questa ricostruzione biografica si basa su una ricca documentazione inedita proveniente dagli archivi italiani, vaticani, britannici, francesi, nipponici, tedeschi, statunitensi e dalle memorie delle maggiori personalità politiche entrate in rapporto con l'ultimo ministro degli Esteri dell'Italia fascista. Un lavoro corale che analizza la sua vita privata, la costruzione della sua straordinaria fortuna finanziaria, il complesso rapporto con il padre naturale e con il suocero Mussolini, la storia d'amore con Edda. Questo libro è anche una biografia dell'Italia del Ventennio nero, delle sue classi dirigenti fasciste o fascistizzate, degli intrighi e delle lotte di potere condotti all'interno del Partito Fascista, nei saloni del Quirinale, nelle segrete stanze della Santa Sede, nei circoli affaristici del regime e nei Palazzi della grande industria e dalla grande finanza. La vera novità di questo testo consiste, però, nell'aver dimostrato, per la prima volta in maniera compiuta, la sostanziale inautenticità del Diario di Ciano finora ritenuto fonte veridica per tracciare la storia del fascismo e del secondo conflitto mondiale. Quel documento invece si rivela, grazie a una più attenta analisi, una semplice deposizione a discolpa, redatta a uso dei contemporanei e dei posteri.
Il "Vade mecum in tribulatione" è l'opera più celebre del profeta Giovanni di Rupescissa, il frate minore alvergnate che, arrestato nel 1349 e inizialmente detenuto in un carcere dell'ordine francescano, fu poi trasferito in una prigione papale ad Avignone e liberato solo alla vigilia della morte (1366). Nelle sue prigioni Giovanni viene progressivamente a conoscenza dell'intero patrimonio dei testi profetici medievali, che trascrive e interpreta per costruire un sistema previsionale dei tempi finali unitario e coerente. Nei venti brevi capitoli (chiamati "intenzioni") del Vade mecum, il frate fissa i tratti delle imminenti tribolazioni e i modi per non esserne travolti, in attesa del successivo inizio dei mille anni di pace preconizzati nel libro dell'Apocalisse, e riporta attese apocalittiche e profili messianici entro un lessico profetico originale, destinato a notevole fortuna nei secoli successivi, come dimostra la rapida diffusione dell'opera in tutta Europa, sia nella versione originale latina sia nei volgarizzamenti prodotti in sette lingue. Il volume offre la prima edizione critica del testo latino del Vade mecum, allestita da Elena Tealdi sulla base dei quarantasei manoscritti superstiti, la maggior parte dei quali venuti per la prima volta alla luce in questo lavoro. Il commento della curatrice e le ampie introduzioni di Robert E. Lerner e di Gian Luca Potestà permettono di scorgere in controluce le tensioni spirituali e le attese riformatrici...
Non può esistere futuro senza memoria, è quindi importante recuperarla soprattutto per le nuove generazioni, quelle chiamate appunto a costruire il futuro.
Ci sono pagine della nostra storia che abbiamo rimosso, come il periodo dell'espansione coloniale.
Come viene studiato a scuola il colonialismo italiano? Come lo raccontano i libri di storia? Per coglierne la complessità non può più servire un modello storiografico cronologico-lineare, evoluzionista ed etnocentrico, ma occorre partire da punti di vista diversi, utilizzare anche fonti alternative come romanzi, film, perché nell'ottica delle civiltà e delle mentalità i prodotti artistici e i saperi quotidiani diventano fondamentali per capire il passato e il presente.
L'archivio storico di Lentini costituisce, sia per la consistenza che la natura della documentazione, uno dei più interessanti archivi comunali esistenti in Sicilia, anche se notevoli e gravi sono state le perdite, soprattutto per il periodo medievale e l'inizio dell'età moderna (praticamente assente dalle carte dell'archivio storico, ad eccezione del "Libro Rosso", di un registro di un Consiglio civico della metà del '500 e di documenti del sec. XIV - copie dei secc. XVII e XVIII- per rivendicare la legittimità del titolo di Senato).
È una notte senza luna quella del 27 luglio 1929. Sono le 21.30 quando un motoscafo si avvicina alla costa di Lipari. L'imbarcazione, motori spenti, è ancora immersa nell'oscurità quando tre ombre, che hanno eluso la sorveglianza di Milizia fascista e Carabinieri, la raggiungono a nuoto. Braccia amiche issano a bordo i tre uomini. Il motoscafo riparte. Una settimana dopo, a Parigi, Gaetano Salvemini accoglie Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti evasi dal confino. Pochi giorni dopo, gli stessi fondano Giustizia e Libertà. "Lipari 1929" è la ricostruzione di quella vicenda, un collage narrativo dei ricordi, delle lettere, dei messaggi e dei dispacci dei protagonisti dell'impresa, dei testimoni, dei sorveglianti. Tutte le fasi della fuga dal confino di Lipari, dal sorgere dell'idea al suo compimento, vengono narrate in un racconto dove dialogo e confronto tra punti di vista spesso opposti scandiscono il ritmo della storia. Una voce narrante accompagna e lega insieme l'alternarsi di entusiasmi e delusioni dei confinati di Lipari, spiega i retroscena internazionali, chiarisce le strategie messe in atto dalle forze in campo. Le immagini entrano nel testo e diventano parte integrante di una vicenda tormentata, che si dipana tra idee balzane, tradimenti, traversate marittime e viaggi fluviali, appuntamenti in località esotiche e pistole sempre pronte.
Nato a Cividale tra il 720 e il 730, Paolo Diacono ebbe rapporti con la corte dei duchi friulani e poi con quella regia di Pavia. Studiò il greco, insegnò il latino: aveva un'ottima cultura classica, sia letteraria che storiografica. A Pavia si dedicò agli studi sacri, diventò monaco a Montecassino; e infine visse alla corte di Carlo Magno, che consigliò e per il quale scrisse. La sua "Storia dei Longobardi" è uno dei capolavori della storiografia d'ogni tempo. Nelle oscure popolazioni discese dal Nord, alle quali deve la sua origine. Paolo Diacono scorge una forza potenziale, quasi priva di contenuto, che si adatta alla tradizione romana, e la rinnova dall'interno. La sua fedeltà alla propria gente si concilia, in equilibrio perfetto, con l'amore per la storia romana e cristiana, la cultura e la lingua che ha appreso. Pochi altri libri realizzano così meravigliosamente l'ideale di una storiografia totale. La "Storia dei Longobardi" è, in primo luogo, una storia della natura europea: stupendi scorci geografici, paesaggi visti e immaginati, diluvi, incendi, notizie meteorologiche, prodigi. Su questo sfondo, si accampa la storia di un'emigrazione barbarica, un flusso furibondo di genti, episodi di passione e di ferocia, raccontati da uno scrittore posseduto da un forte senso del mito. L'ingenuità di un cronista medievale, l'intuizione acutissima dello storico politico, la fede del cristiano si fondono, nelle sue pagine, con il genio del grande narratore, che racchiude in un episodio minimo il senso della storia universale. La traduzione di Lidia Capo riproduce mirabilmente la mescolanza di cultura e di rozzezza, che è propria dello stile di Paolo Diacono. L'ampio e meticoloso commento lascia affiorare, attorno alla storia tragica dei Longobardi, l'ampio respiro della storia d'Europa e di Bisanzio. Il volume è completato da una suggestiva rassegna di immagini, che rivelano i vertici dell'arte longobarda.
Indice - Sommario
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
Nota al testo
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
COMMENTO
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Indice dei nomi di persona e di luogo
Indice delle fonti citate nell'introduzione e nel commento
Prefazione / Introduzione
Nell'Europa rivoluzionata dalle invasioni germaniche, nell'inaudita realtà di regni guidati da popoli "barbari", venuti a rompere e sostituire l'unità e la tradizione dell'impero di Roma, maturò presto il bisogno di integrare il passato e il presente in una prospettiva storica che riuscisse a conciliare vecchio e nuovo e a rendere accettabile culturalmente quello che era inevitabile sul piano politico. Si trattò di un vero e proprio tentativo di interpretazione e di riconversione delle tradizioni storiche germaniche nel linguaggio e negli schemi della storiografia mediterranea: un'opera compiuta ovviamente da Romani, e non da letterati o storici "puri", bensì da personaggi in qualche modo vicini al potere, disposti ad accettare la presenza e il predominio dei Germani. La prima fase della storiografia europea dopo la dissoluzione dell'impero in occidente - quella rappresentata da Cassiodoro, da Gregorio di Tours, da Isidoro di Siviglia - nacque appunto dalla volontà di collaborazione dell'elemento romano con lo strato politico germanico e dal suo conseguente sforzo di romanizzare, cioè rendere comprensibili per il pubblico romano perché omogenee alla sua cultura, le vicende e le tradizioni, in sé molto diverse, dei singoli popoli germanici: un'operazione compiuta partendo dalla storia, perché è la storia che, in un mondo dominato dall'intervento umano e dalla memoria scritta come quello romano, distingue e definisce gli uomini, e soprattutto li redime dalla barbarie. Per questo Gregorio di Tours ha tanto cercato nelle vicende dei Franchi la comparsa dei re - primo embrione di uno stato - ed ha esaltato nell'opera di Clodoveo (quintessenza di grande barbarie) le linee di forza di un futuro civile. E per questo Cassiodoro ha manipolato le tradizioni dei Goti, combinandole con quelle di altri popoli da più tempo noti al mondo classico, compiendo un lavoro di adeguamento ed equiparazione culturale (in realtà trasformazione), che egli stesso ha definito con assoluta precisione e consapevolezza: "Originem Gothicam historiam fecit esse Romanam".
Questa collaborazione dei Romani, che aveva in fondo lo scopo di adattare a sé le novità, mantenendole sotto il proprio controllo, ebbe un successo variabile (solo in Francia poté dare frutti duraturi), ma l'ingresso dei popoli germanici nella "storia romana", come protagonisti, era ormai una conquista definitiva. Nel VII-VIII secolo nell'ambito del regno franco, nella prima metà dell'VIII nell'Inghilterra anglosassone, nel VII e VIII nell'Italia longobarda altri scrittori si posero di fronte allo stesso problema, l'inserimento dei nuovi popoli e regni nella storia "civile". Nonostante il tempo intercorso e nonostante il fatto che fossero, stavolta, Germani (meno, forse, il cosiddetto Fredegario), anche questi scrittori utilizzarono gli schemi della storiografia romano-cristiana. Si trattò dunque di una vittoria della cultura latina: la storia che viene scritta (e ovunque, meno che in Inghilterra, la storia sarà ancora a lungo scritta solo in latino) non è concepibile che attraverso le strutture portanti - tempo, spazio, scansioni di regni e pontificati, forme di organizzazione stabile - datele dalla cultura antica, integrata e riveduta dalla Chiesa.
Ma la vittoria non fu completa, perché dietro queste opere non esisteva più la stessa cultura di prima. Il mondo romano non era più una realtà concreta e la sua capacità di unificare e di uniformare era ormai affidata solo alla Chiesa, che non era in grado di esercitarla ovunque con la stessa intensità. Gli storici quindi, anche quelli forniti di migliore scuola, non avevano più i mezzi per integrare passato e presente in una prospettiva realmente romana; potevano al massimo utilizzare l'immagine che della storia romana si erano creati sulla base delle proprie esperienze e della propria cultura: un'immagine, ovviamente, che con l'effettiva realtà romana poteva avere pochissimo in comune e che in ogni caso era sempre un'interpretazione. E la distanza con la fase storiografica di Cassiodoro era ancora maggiore, perché gli storici della seconda ondata - e soprattutto i più colti e consapevoli, come Beda e Paolo Diacono - non volevano affatto trasformare la propria realtà in senso romano, ma solo darle una leggibilità e una dignità storica, grazie a certi parametri ricavati dalla cultura antica. "L'historia Romana" non significava dunque più adeguamento dei nuovi popoli ai valori e alle forme culturali del mondo classico, bensì impiego, per scrivere la loro originale vicenda, del "reticolo latino", cioè delle coordinate di spazio, tempo e relazioni. Perciò, nonostante la forma latina che le accomuna, il carattere autonomo, germanico, è essenziale nelle opere del VII-VIII secolo: esse sono anzi un primo bilancio che i Germani stessi ricavano dal loro incontro con la grande storia.
Ma nemmeno questo germanesimo è più allo stato puro, un inalterato principio di spiegazione e rappresentazione, sebbene sotto una veste altrui. Al contrario anch'esso è storico: ha subito un processo di crescita e di modificazione a contatto con un mondo estraneo. I nostri testi non sono più la testimonianza di un primo passo nell'incontro tra popoli diversi, bensì il frutto di percorsi storici ormai lunghi, compiuti con apporti variabili degli uni e degli altri: documenti preziosi della travagliata costruzione di un mondo nuovo, che crea e rielabora sulla base delle esperienze di culture differenti, in utile anche se non sempre facile confronto.
E questa vicenda, particolare per ogni paese, che gli autori hanno alle spalle: essa li forma, determina in senso materiale e spirituale il loro rapporto con il proprio passato e con la cultura latina, influisce sulla loro coscienza di sé e sulla loro visione del mondo. Essi riflettono così la qualità e il senso di queste vicende, gli equilibri raggiunti o falliti, gli specifici problemi delle singole realtà, offrendo una sintesi culturale che è un prodotto e uno specchio della loro storia.
Di questi testi "L'Historia Langobardorum" di Paolo Diacono è probabilmente il più complesso: quello che nasce da più intricate motivazioni e da più irrisolte difficoltà, logico riflesso di una storia mai arrivata a sciogliere i nodi essenziali alla sua stessa sopravvivenza.
La saga del popolo Longobardo,dal 433 al 787 d.C. Scritta da Paolo Diacono dal 787 al 789,l'Historia Langobardorumnarra fra mito e storia le vicende del suo popolo dalla partenza dalla Scandinavia all'arrivo in Italia. Il testo viene presentato in una nuova traduzione che vuole rendere leggibile il testo come un romanzo. Il libro si compone di tre parti: 1) una biografia di Paolo Diacono. Cristiano e longobardo, Paolo Diacono è il maggior intellettuale di quel popolo e le sue opere s’inseriscono nel filone storiografico ad indirizzo nazionale romano (Historia Romani) e ad indirizzo nazionale germanico (Historia Langobardorum).Universale e particolare stanno alla base della cultura europea e pertanto Paolo Diacono ne è uno dei fondatori. Non solo, ma il suo rapporto con Carlo Magno lo pone come uno dei fondatori di quella che viene chiamata rinascita carolingia. 2) la nuova traduzione dell’Historia Langobardorum.3) Note di carattere storico in numero limitato e come guida al lettore per la lettura del testo di Paolo Diacono.