
Perché Annibale subito dopo Canne non sferra l'attacco finale marciando su Roma? Cosa si cela dietro la morte improvvisa e oscura (anche ai medici) di Scipione Emiliano? E che relazione c'è con la morte di poco successiva dell'ambizioso tribuno della plebe Marco Livio Druso? Perché Cesare non si sottrae al suo destino di morte? E infine quale serial killer si aggira per la corte di Augusto? Quattro misteri della storia di Roma antica, quattro enigmi rimasti insoluti che per la penna di Luca Canali, fra i massimi conoscitori del mondo classico, rivivono e trovano una loro possibile spiegazione nel quadro di un più ampio discorso sul senso, sui limiti e sulle sfide che il fare storia pone all'uomo del terzo millennio.
Luca Canali affronta il tema della insostituibilità della tradizione culturale e letteraria classica, intervenendo nel dibattito che sta accompagnando la straordinaria diffusione dello studio del latino negli Stati Uniti e in Inghilterra, diversamente da quanto accade in Italia. "Fermare Attila", il metaforico titolo del libro, è un'esortazione a sbarrare il passo ai distruttori di civiltà, quale fu Attila, oggi spesso annidati nelle comode nicchie del potere. Al saggio di apertura rigorosamente unitario segue una documentazione di testi latini (tradotti per lo più da Canali stesso) che dimostrano l'inesauribile attualità di quei capolavori. Infine il catalogo delle sentenze latine (tradotte e spiegate) aggiunge la forza della saggezza popolare antica. A conclusione del libro, lo splendido resoconto virgiliano dei giochi siciliani (vere Olimpiadi italiche) sembra saldare il mondo dello sport antico con quello appassionato e violento del mondo moderno.
Subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, dal 1919 al 1926, sulle rovine dell'Impero ottomano, la Turchia e le potenze vincitrici si contendono il controllo su una piccola provincia del neonato Regno di Iraq. La zona di Mossul, ricchissima di petrolio, diventa l'epicentro di un conflitto politico e diplomatico che rischia più volte di farsi armato. È una crisi che per la prima volta rivela l'abbraccio incestuoso tra diplomazie occidentali e interessi petroliferi, in uno schema che non sarà mai più così chiaro e trasparente. Ma è anche la prima esibizione muscolare di Mussolini nel mondo, in una vicenda che mostra i tratti già vecchi di un regime in formazione. Una vicenda profetica e appassionante, che Mauro Canali ci racconta sulla base di documenti inediti raccolti negli archivi italiani e statunitensi.
Mauro Canali lavora da tempo al tema scottante degli apparati informativi e repressivi del regime fascista: a partire dallo studio su Cesare Rossi, animatore della Ceka, proseguendo con i retroscena del delitto Matteotti, per arrivare al discusso caso di Ignazio Silone e del suo ruolo di informatore. Ora ha portato a termine un'opera complessiva che, raccogliendo il frutto di molti anni di lavoro e rendendo pubblica una approfondita conoscenza della documentazione archivistica (in larga parte ancora ignota agli studiosi), fotografa nei dettagli la rete informativa stesa dal regime fascista per controllare e neutralizzare l'opposizione e il dissenso, in Italia come all'estero. Canali segue l'evoluzione dei vari organismi di polizia (la Polizia politica, l'Ovra) e ne descrive il funzionamento, rintracciando zona per zona, città per città, l'esercito di fiduciari e informatori, dei quali vengono ricostruite identità e attività e, in una corposa appendice, elencati i nomi. Da un consimile viaggio nei sotterranei del regime, il fascismo si rivela per quello che fu: un gigantesco, efficiente, occhiuto e corruttore stato di polizia.
«Matteotti non voleva e non cercava la morte. Volle e cercò la lotta; volle e cercò i posti di responsabilità nelle ore più dure, seppe vincere tutti i giorni, e perdere tutti i giorni la sua piccola battaglia. Io ammiro in lui la fede di tutte le ore, la tenacia, la costanza, l'ottimismo contagioso, il volontarismo» Carlo Rosselli Frutto di anni di ricerche e di un'indagine quasi poliziesca, questo libro di Mauro Canali, aggiornato agli ultimi documenti, è il testo di riferimento sul delitto Matteotti, quello che, se non «risolve» il caso, certo porta la maggior quantità di informazioni e argomenti a favore della tesi di una responsabilità diretta di Mussolini. Inseguendo la pista «affaristica» - quella secondo cui Matteotti è stato eliminato perché stava per rivelare dei torbidi affari relativi a una concessione petrolifera -, ricostruendo le vicende del primo e del secondo processo e infine seguendo il destino dei protagonisti del delitto durante il Ventennio, Canali riesce a delineare un quadro vivido e convincente di un affaire che è all'origine del regime fascista e ne riassume emblematicamente le caratteristiche.
Il 5 agosto 1943, a pochi giorni dall'arresto di Mussolini, i giornali pubblicano una notizia sensazionale: il governo Badoglio ha istituito una commissione con il compito d'indagare sulle fortune accumulate dai gerarchi nel corso del ventennio, i cosiddetti illeciti arricchimenti del fascismo. Il duce e i capi del regime, un tempo intoccabili, finiscono in prima pagina, dati in pasto a un'opinione pubblica che fino al giorno prima li aveva temuti, odiati, riveriti, spesso invidiati. Chi sono e quanto hanno «rubato»? E lo Stato è voluto veramente andare fino in fondo o ha chiuso un occhio, consentendo ai più di farla franca? Infine, quanto è tornato nelle tasche degli italiani? Quello che l'inchiesta scoperchia è un autentico verminaio. Una storia di corruzione e concussione, di tangenti e appalti, di capitali che trovano riparo all'estero, di raccomandazioni; un intreccio perverso tra politica e affari alla faccia del rigore e dell'onestà tanto proclamati dalla propaganda fascista. È una storia anche grottesca, fatta di fughe rocambolesche, di rotoli di banconote nascosti nell'acqua degli sciacquoni, di tesori sotterrati in giardino; e verbali di sequestro così scrupolosi da non crederci: favolosi patrimoni in ville e palazzi, pellicce, arazzi, gioielli, fino al numero di posate in argento, all'ultima pantofola, calza e mutanda del gerarca inquisito. Alla ribalta salgono nomi eccellenti: si scopre per esempio che Alessandro Pavolini, ministro del Minculpop, gran signore del cinema di regime, è pronto a tutto, anche a cambiare le leggi, pur di far felice l'amante, l'attrice e icona sexy Doris Duranti; che l'integerrimo Roberto Farinacci, l'ideologo della purezza fascista, ha accumulato un patrimonio di centinaia di milioni, niente male per un ex ferroviere diventato avvocato copiando la tesi di laurea; o, ancora, che Edmondo Rossoni, ex leader sindacale - «la migliore forchetta del regime» e non solo perché usa pasteggiare con posate d'oro - si è costruito nel Ferrarese un vero e proprio impero immobiliare. C'è poi Mussolini e i suoi «affari di famiglia», con gli intrallazzi di Galeazzo ed Edda Ciano, l'avidità di donna Rachele e la rapacità del clan Petacci. Mauro Canali e Clemente Volpini forniscono con documenti una radiografia del malaffare in camicia nera, facendo i «conti in tasca» ai vertici della nomenclatura fascista.
Il racconto di un pezzo fondamentale della storia politica italiana. Quali sono le radici e i princìpi fondamentali della cultura politica cattolico democratica? Chi sono le donne e gli uomini che hanno posto le basi di questo pensiero politico? Quali sono i volti e le storie che hanno dato vita concreta alle idee? È a partire da queste domande che prende forma una galleria di 50 ritratti, di respiro nazionale ed europeo, di pensatori, politici, sindacalisti, insegnanti, animatori sociali. Ogni ritratto è una rapida pennellata tracciata da altrettanti autori rappresentativi del pensiero cattolico democratico di oggi, coordinati da Monica Canalis. Tra i ritratti: Konrad Adenauer, Tina Anselmi, Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, Piersanti Mattarella, Aldo Moro, David Sassoli, Oscar Luigi Scalfaro, Luigi Sturzo, Benigno Zaccagnini. Tra gli autori che hanno scritto i ritratti: Graziano Delrio, Giovanni Grasso, Mariapia Garavaglia, Gianfranco Astori, Bruno Manghi, Francesco Antonioli, Anna Maria Poggi, Fabio Pizzul, Renato Balduzzi e Francesco Occhetta.
La storia dei Florio, prestigiosa famiglia siciliana del secondo Ottocento e dei primissimi anni del Novecento, con collegamenti con i più alti vertici della finanza e dell'industria internazionale e rapporti con regnanti di tutta Europa, è espressa molto bene dal sarcastico aforisma degli americani nei confronti di quelle famiglie di immigrati «che iniziarono in maniche di camicia e, nel corso di tre generazioni, si ritrovarono in maniche di camicia». È purtroppo così! Oggi il loro nome in Italia e all'estero è ricordato soltanto da una marca di liquori e da una corsa automobilistica su strada, la Targa Florio, tra le più antiche d'Europa. Ma per l'immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito. Rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali del Sud, i tempi nostalgicamente sempre rievocati in cui anche al sud fiorivano iniziative industriali vincenti. Allora, nella seconda metà dell'Ottocento, il nome Florio equivaleva nel campo della navigazione mercantile a quelli, nei decenni successivi, degli Agnelli nell'industria automobilistica o di Berlusconi nel settore televisivo. Ed era noto in Italia e all'estero, perché i loro cento piroscafi solcavano tutti i mari del mondo e i loro prodotti (vini e tonno in scatola) conquistavano i mercati italiani e stranieri. Cancila ricostruisce le vicende della famiglia Florio da storico, senza nessuna concessione agiografica né indulgenza regionalistica, ma con rigore scientifico e rifuggendo da interpretazioni romanzesche. E tuttavia, sebbene si avvalga di una ricchissima documentazione d'archivio, più che un'opera storica, la sua sembra la storia romanzata di una famiglia, una favola antica cui manca soltanto il lieto fine.
Sullo sfondo di una Catania ancora in macerie per il sisma del 1693, durante una carestia che investì l'isola, il vescovo della città Salvatore Ventimiglia, cadetto di una ricca e potente famiglia palermitana, sospettato forse ingiustamente di simpatie massoniche e gianseniste, fondò insieme ad alcuni alti prelati e aristocratici discendenti delle poche famiglie nobili sopravvissute al terremoto un istituto per accogliere i poveri e gli accattoni che avevano invaso le strade. Nel ripercorrere le vicende del ricovero possiamo ricostruire la quotidiana miseria di oscure vite di indigenti. Lungo i secoli il patrimonio dell'istituto si sarebbe accresciuto grazie alle elargizioni di benefattori uomini e patronesse: un'articolata galleria di ritratti umani che contano ecclesiastici d'alto rango, nobili ma anche esponenti dell'emergente ceto medio. Tra Sette e Ottocento la storia dell'Albergo rivela un intenso intreccio tra miseria e ricchezza grazie al ruolo assunto dall'istituto all'interno del tessuto economico urbano, attraverso la costante erogazione di crediti all'élite locale. Il testo si conclude con uno sguardo sulla legislazione fascista che avrebbe modificato il nome degli istituti assistenziali in IPAB portando così a compimento quel lungo processo che, già inaugurato da Crispi, avrebbe tentato di imporre il controllo statale e il principio di "pubblico" sui limiti privatistici e localistici che avevano caratterizzato le opere pie fin dalla loro fondazione.
Agitazioni e riforme dal luglio 1846 al gennaio 1848 - La rivoluzione e i primi due mesi della guerra d'indipendenza - La crisi del federalismo e del neoguelfismo. La reazione a Napoli. Il fallimento della guerra regia - La crisi del moderatismo e la riscossa democratica - Il 1849
Salutata ogni volta all'apparire dei singoli volumi che la compongono da un caldo e crescente successo di critica e di pubblico, la "Storia dell'Italia moderna" di Giorgio Candeloro ha ormai un grande e incontestato rilievo nella storiografia italiana e non solo italiana del dopoguerra. L'ininterrotta, meritoria fatica con cui l'Autore ha dato vita a un'opera di carattere generale, non rigidamente specialistica, ma costantemente a un alto livello specialistico, ha acquisito in questi anni "una funzione insostituibile, di permanente riferimento per la conoscenza del modo col quale si è venuto formando il nostro paese" (Ernesto Ragionieri).
Quella di Candeloro - secondo un giudizio che Paolo Spriano formulò nel 1968 e che i fatti hanno confermato - è "un'opera che resterà".
Giorgio Candeloro nato a Bologna nel 1909 e morto nel 1988, ha preso parte alla Resistenza. Docente universitario, dopo ricerche di storia del pensiero politico, si dedica a una grande ricostruzione della storia politica e sociale dell’Italia moderna e contemporanea che proseguirà per un trentennio: il primo degli undici volumi della Storia dell’Italia moderna è uscito, infatti, nel 1956 e l’ultimo nel 1986.
Salutata ogni volta all'apparire dei singoli volumi che la compongono da un caldo e crescente successo di critica e di pubblico, la "Storia dell'Italia moderna" di Giorgio Candeloro ha assunto un grande e incontestato rilievo nella storiografia italiana e non solo italiana del dopoguerra. L'ininterrotta, meritoria fatica dell'autore ha dato vita a un'opera di carattere generale, non rigidamente specialistica, ma costantemente a un alto livello scientifico, che ha acquisito in questi anni "una funzione insostituibile, di permanente riferimento per la conoscenza del modo col quale si è venuto formando il nostro paese" (Ernesto Ragionieri). Quella di Candeloro - secondo un giudizio che Paolo Spriano formulò già nel 1968 e che i fatti hanno confermato nei decenni successivi - è "un opera che resterà". In questo volume: Agitazioni e riforme dal luglio 1846 al gennaio 1848; La rivoluzione e i primi due mesi della guerra d'indipendenza; La crisi del federalismo e del neoguelfismo. La reazione a Napoli. Il fallimento della guerra regia; La crisi del moderatismo e la riscossa democratica; Il 1849.