
«Le seduzioni del totalitarismo»: ecco in due parole - secondo Bracher - la chiave di lettura più appropriata e la sintesi dell'intera storia del Novecento. L'autore ripercorre cento anni di storia attraverso le alterne vicende e il destino delle ideologie: la crisi del liberalismo sul finire dell'Ottocento, la nascita di un nuovo irrazionalismo e di nuovi nazionalismi razzisti, le origini del fascismo, i contraccolpi della Rivoluzione d'Ottobre, le esperienze totalitarie in Italia e in Germania, la ventata sessantottesca, le ricorrenti tentazioni integralistiche più recenti nel Terzo Mondo e non soltanto nel Terzo Mondo.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro viene rapito dalle Br in via Fani, a Roma. Il libro ricostruisce la vita dell'ostaggio e dei sequestratori durante i 55 giorni del rapimento, raccontando la quotidianità, i rapporti umani, le conversazioni, gli scontri, le paure, le speranze delle persone che abitarono la prigione. La voce narrante della Braghetti, che comperò e arredò la casa di via Montalcini, racconta dall'interno e nei dettagli una delle vicende più drammatiche e determinanti della storia d'Italia. Nel farlo parla anche della sua vita, dell'incontro con la lotta armata, della sua doppia esistenza di impiegata e di militante clandestina, dell'omicidio di Vittorio Bachelet, fino all'arresto, nel 1980, alle carceri speciali, al cambiamento interiore.
La nostra epoca sembra caratterizzata da un senso di stanchezza e di scetticismo nei confronti della storia umana: anche il tentativo di rintracciare in essa dei barlumi di senso o dei motivi di speranza è considerato ingenuo. In questo libro in forma di intervista uno dei maggiori pensatori viventi, Rémi Brague, riflette criticamente su tale atteggiamento, contestando molti stereotipi circa il rapporto di noi "postmoderni" con le nostre radici. Le considerazioni di ordine filosofico si intrecciano con questioni assai concrete, di drammatica attualità: per esempio, con quelle riguardanti la convivenza tra le grandi religioni, la possibilità di un dialogo con l'islam, la "vocazione" dell'Europa, il futuro delle biotecnologie e la tentazione - serpeggiante nella cultura del nostro tempo - di "farla finita con l'uomo", in nome di un mortifero ideale di perfezione.
Le trasformazioni del libro e della lettura come aspetti essenziali della nascita della cultura moderna. Lodovica Braida insegna Storia della stampa e dell'editoria all'Università di Milano.
L’editoria europea conosce nel corso del Settecento una fase di straordinario fermento: accanto all’estensione del mercato del libro, cresce sempre più l’affermazione della personalità creativa degli autori, e non è un caso che in quegli anni si inizi a riconoscere, almeno in Inghilterra, il diritto d’autore. L’Italia partecipa a questa vivacità intellettuale, ma accanto all’esigenza degli scrittori di affermare la propria identità, si affianca un’altra tendenza, sempre esistita, di segno contrario: la scelta di far circolare le proprie opere in forma anonima. Quali le ragioni dell’anonimato? Il silenzio d’autore è certamente legato a una logica di controllo per i generi su cui pesa il giudizio negativo della censura ecclesiastica. Ma c’è di più: scrivere libri che potevano essere considerati di basso profilo culturale, come molti romanzi o altri libri di larga circolazione, poteva nuocere al buon nome dell’autore. Meglio dunque rifugiarsi nell’anonimato. Un capitolo fondamentale e fin qui poco studiato della storia dell’editoria italiana.
La battaglia di Mosca, tra l'ottobre 1941 e l'aprile del 1942, fu il punto di svolta nella Seconda guerra mondiale, la prima sconfitta strategica della Germania. Nel giugno del 1941 Hitler ha conquistato quasi tutta l'Europa continentale: l'unica potenza in grado di contrastarlo, con l'Inghilterra sottoposta a un bombardamento martellante, è l'Unione Sovietica, con cui è stato stipulato un trattato di non aggressione. Per eliminare ogni minaccia alla sua supremazia, il Fuhrer prende la decisione fatale: occupare i territori sovietici. In pochi mesi la Wehrmacht arriva alle porte di Mosca, in una campagna fulminea e vittoriosa, ma quello che sembra il culmine della gloria si trasformerà nell'inizio della sconfitta. In una lotta dove sette milioni di uomini e donne si trovarono impegnati a combattere, e in cui morirono circa novecentomila soldati russi, l'esercito sovietico e il popolo di Mosca riuscirono in quella che sembrava un'impresa impossibile: fermare l'esercito di Hitler. Il diplomatico inglese Rodric Braithwaite, ambasciatore in Russia dal 1988 al 1992, ricostruisce i fatti di quei mesi dal punto di vista dei sovietici, raccontando le storie di soldati e intellettuali, contadini e politici, e offrendo il ritratto di Stalin e dei suoi generali mentre gettano le basi per la vittoria finale, che arriverà solo dopo altri quattro anni di guerra.
Nel mondo cristiano medievale, la parola miles Christi indicava il guerriero spirituale che combatteva il diavolo con le armi dello Spirito Santo: questa figura si era dapprima "incarnata ", per così dire , nei santi eremiti del deserto e in seguito rimase per lungo tempo sinonimo di "monaco".
Ma un episodio della Storia della Chiesa modificò radicalmente il concetto di miles Christi: la creazione dell'ordine dei "Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone", detti poi TEMPLARI, ordine che fu riconosciuto nel 1129 quandi fu data loro anche una regola "speciale", di cui si analizza in questo volume l'originalità.
Accadde che i padri conciliari autorizzarono esplicitamente dei religiosi - tali erano i Templari - che professavano i voti di povertà, castità ed obbedienza, ad uccidere il nemico di Cristo, e questo senza compiere alcun peccato.
Nato da un importante Convegno questo volume presenta diversi contributi dei massimi esponenti europei degli studi sui Templari. In particolare viene approfondito un aspetto centrale della vicenda templare: la guerra e la religione.
Saggi di Fulvio Bramato, Franco Cardini, Alain Demurger, Cristina Dondi, Anthony Luttrell e Simonetta Cerrini, anche curatrice del volume.
INDICE DEL LIBRO:
Introduzione
I cristiani, la guerra e la santità di Franco Cardini
I templari: una vita da fratres, ma una regola antiascetica; una vita da cavalieri, ma una regola antieroica di Simonetta Cerrini
Gli ordini religioso-militari e la guerra tra il XII e il XIII secolo di Alain Demurger
La "guerra" e la "santità" nelle domus templari italiane delle origini di Fulvio Bramato
Manoscritti liturgici dei templari e degli ospitalieri: le nuove prospettive aperte dal sacramentario templare di Modena di Cristina Dondi
Templari ed ospitalieri: alcuni confronti di Anthony Luttrell
L'ordine del Tempio. Aggiornamento bibliografico di Simonetta Cerrini
Indice dei nomi e dei concetti
Se si leggono le ricostruzioni che storici e giornalisti fanno degli anni di piombo, sembra che i brigatisti rossi e i loro stretti parenti siano sempre stati considerati dei folli, isolati da tutto il resto del Paese. Sembra che il progetto di una società comunista, da realizzare attraverso una rivoluzione, sia stata una pazza idea nelle menti di pochi. Ma non andò così. Per una decina d’anni, diciamo dal 1968 in poi, l’estremismo di sinistra poté godere della benevolenza, del consenso, e a volte della complicità della maggior parte dei giornali e del mondo della cultura ufficiale. Ci volle il cadavere di Moro fatto trovare a metà strada fra le sedi della Dc e del Pci per interrompere una mistificazione che i mass media conducevano dal tempo della scoperta dei primi covi delle Brigate Rosse. Per dieci anni gli italiani furono ingannati dai nove decimi della stampa nazionale, che chiamò «sedicenti» le Brigate Rosse e nascose e negò qualsiasi episodio di violenza e di estrema sinistra. Perché accadde tutto questo? Molti giornalisti agirono per fede politica. Ma molti altri, più semplicemente, si accodarono seguendo il vento, che in quel momento sembrava portare a un immancabile trionfo del marxismo. Così, legioni di cronisti «borghesi» si misero l’eskimo, confermando una vecchia battuta di Leo Longanesi, e cioè che lo stemma al centro della bandiera italiana dovrebbe essere la scritta: «Ho famiglia».
Questo libro, il cui titolo è entrato a suon di edizioni nell’immaginario collettivo come la sintesi più efficace di un dato periodo di giornalismo italiano, riporta fra virgolette che cosa scrissero i giornali sui principali episodi di violenza dell’estrema sinistra. Il lettore della presente nuova edizione rivista e aggiornata, a distanza di tanti anni dalla prima del 1990, continuerà a stupirsi, incredulo.
La rimarcabile unità geografica da sempre caratteristica dell'Egitto è il primo fondamento della sua eccezionale continuità storica, che si è costruita nell'alternarsi e nel confronto tra diverse dimensioni di espansione e influenza: quelle asiatica e africana sul piano continentale, quelle nilotica e mediterranea sul piano regionale. Il libro introduce a questa molteplicità di dimensioni e piani - storico, politico e culturale - che hanno via via contribuito a trasformare e arricchire l'identità dell'Egitto. Si apre con due contributi sulla civiltà dei Faraoni e le sue espressioni religiose; si svolge poi attraverso la diffusione del cristianesimo e l'elaborazione di forme artistiche proprie, tardo-antiche e cristiane, fino ai cambiamenti portati dalla conquista araba e dalla diffusione dell'Islam. I secoli medievali e quelli del governo dei Turchi, prima mamelucchi poi ottomani, rappresentano per il paese un'alternanza di luci e ombre, una complessità della quale rende conto anche un capitolo sulla società e la cultura del Cairo medievale. La modernità, giunta con l'esercito napoleonico, affascina molti esponenti della società egiziana e, attraverso essi, si irradia in altre regioni del Vicino Oriente. I temi propri del Risorgimento arabo e poi dell'individuazione di quali dimensioni privilegiare tra le tante proprie del paese - islamica, araba, egiziana, mediterranea - hanno fatto dell'Egitto nel Novecento un vero laboratorio di riflessioni e decisioni politiche cariche di conseguenze.
"Siamo nani sulle spalle di giganti", mi è venuto da ripetere con Bernardo di Chartres, rileggendo quei miei elzeviri-incontri con protagonisti nella vita politica e religiosa, sociale e culturale di tre continenti nell'ultimo secolo (oggi tutti ormai scomparsi eccetto Giovanni Paolo II). La mia piccolezza contribuisce, mi pare, a far grandeggiare - anche nell'episodio e nell'aneddoto - la loro importanza nella e per la vita del Novecento. Una vita alla quale io ho partecipato molto modestamente (come ricordano le ultime pagine), operando lungo settant'anni, nella ricerca di verità e di libertà: una ricerca che quei maestri e protagonisti avevano posto generosamente come fine ideale della loro vita e della loro azione. (Vittore Branca)
Il volume è il catalogo della mostra di Roma (Archivio di Stato, 2 maggio - 4 giugno 2005). La mostra illustra, attraverso un ricco corredo iconografico e documentale, le trasformazioni subite dal paesaggio naturale ed urbano del litorale laziale, nel periodo compreso tra il XVI e il XIX secolo. Un'area di estrema importanza storica che ricomprende le più importanti città marinare della provincia di Roma: Civitavecchia, Fiumicino, Anzio, Nettuno, cui si aggiungono altri centri di consolidata vocazione turistica, quali Ladispoli e Santa Marinella.
Il volume di Hugo Brandenburg, pubblicato per la prima volta da Jaca Book nel 2004, è diventato un'opera di riferimento internazionale sulle prime chiese di Roma, straordinario fenomeno edilizio che, a seguito dell'editto di Milano del 313 emanato da Costantino e dal coreggente Licinio, rese Roma il primo centro di espressione e diffusione di quella nuova arte che definiamo «paleocristiana». La lettura delle Scritture, la salmodia, l'omelia e il banchetto divino che caratterizzavano le riunioni e le pratiche di culto delle prime comunità - e anche dopo l'età apostolica - si svolgevano in ampi ambienti privati, o altri edifici messi a disposizione da un membro della comunità, non costituendo ancora un'associazione religiosa riconosciuta, dotata di proprio status giuridico, e non potendo possedere beni immobili. Diversamente dai templi o dagli edifici di culto pagano, sacralizzati dalla presenza del dio, il cui culto si svolgeva per lo più all'esterno, il servizio divino dei cristiani aveva sempre luogo in ambienti chiusi. Dalla fine del II secolo, con l'accrescersi delle comunità si rese necessario avere specifici spazi destinati al culto, luoghi che verranno definiti domus dei o domus ecclesiae, dal termine greco che in origine designava la comunità stessa, l'assemblea dei credenti, ai quali via via verrà attribuita la sacralità che ne farà il «tempio di Dio». Ma bisognerà attendere l'epoca costantiniana perché questi luoghi inizino a presentare una particolare fisionomia architettonica e acquisiscano nella Chiesa cristiana la fisionomia monumentale che possiamo ancora ammirare.