
Questo manuale presenta e mette a confronto le scuole di pensiero che hanno fornito alla psicologia dello sviluppo i suoi paradigmi teorici. A partire dalle pietre miliari della teoria piagetiana e psicoanalitica, passando attraverso i principali sviluppi teorici successivi, l'autrice giunge a descrivere gli approcci più recenti, soffermandosi tra l'altro sulle ricerche che hanno come oggetto le relazioni tra gene e ambiente.
Le risposte di Freud e di Lacan alle tre questioni di Kant: Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi e permesso sperare? L'etica della psicoanalisi come unica risposta possibile alla deriva ideologica delle neuroscienze e alla retorica della validazione pseudoscientifica delle psicoterapie. Alcuni psicoanalisti si danno convegno per esaminare le risposte di Freud e di Lacan alle tre questioni di Kant: Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi e permesso sperare? Sono animati da una passione inedita: far scaturire da Kant una verita che possa illuminare l'Orientamento lacaniano sia per quanto attiene alla clinica che per quanto concerne la dottrina.
Questa raccolta di testi giovanili offre una prospettiva degli anni di apprendistato di un personaggio che aveva alimentato la piccola cronaca del Quartiere latino negli anni Sessanta. Si trova qui la sua intervista a Sartre del 1960.
A quale prezzo psicologico si ottiene un "bravo bambino"? Di quali sottili violenze è capace l'amore materno? Per l'autrice, il dramma del "bambino dotato" - il bambino che è l'orgoglio dei suoi genitori - ha origine nella sua capacità di cogliere i bisogni inconsci dei genitori e di adattarvisi, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei (la rabbia, l'indignazione, la paura, l'invidia) che risultano inaccettabili ai "grandi". In tal modo, viene soffocato lo sviluppo della personalità più autentica, e il bambino soffrirà di insicurezza affettiva e di una sorta di impoverimento psichico. Da adulto, sarà depresso, oppure si nasconderà dietro una facciata di grandiosità maniacale. Numerosissimi esempi documentano la sofferenza inespressa di questi bambini e, al tempo stesso, le difficoltà dei genitori, incapaci di essere disponibili verso i figli.
Marilyn Monroe, Jean Seberg, Dalila: tre donne bellissime, celebrate dive dello spettacolo che al colmine del successo hanno preferito la morte. Alice Miller, scrutando l'enigma di questi suicidi, vi scorge la sofferenza del bambino che ha visto prematuramente soffocata la propria vitalità. Niente è infatti più mortifero del mettere a tacere i propri sentimenti profondi di ribellione contro i maltrattamenti subiti da piccoli. Perché si può forse sopravvivere a un'infanzia di umiliazioni, ma non si può tornare a vivere davvero, riprendendosi l'esistenza, se non dopo aver riconosciuto la rabbia e il dolore di un tempo. Indagando su infanzie celebri o meno celebri, l'autrice ripercorre le tappe degli "omicidi dell'anima" perpetrati su bambini - sempre innocenti e inermi - che saranno poi desitinati a riprodurre sofferenze e violenze: scampati ai tormenti subiti, si tramuteranno a loro volta in carnefici. Ed è proprio nel circolo vizioso della violenza, prima patita e poi rimessa in atto in età adulta, che Alice Miller indica la radice del male, dai fatti di cronaca quotidiana, fino alle guerre e agli eccidi di massa.
Chi da piccolo è stato maltrattato e abusato dai genitori può amarli solo a patto di rimuovere le proprie autentiche emozioni. E dunque accade spesso che il corpo, rivoltandosi contro la negazione dei traumi infantili irrisolti, si ammali gravemente. In questo libro l'autrice interpreta i messaggi trasmessi dalla malattia e spiega per quale motivo rivivere l'esperienza delle emozioni negate consente di riconoscere la verità di quei messaggi. Un percorso intenso per indicare come uscire dal circolo vizioso dell'autoinganno e rispondere agli appelli del corpo liberandolo dai sintomi.
C'è chi è gentile per educazione e ostenta buone maniere, c'è chi lo è per convenienza e vede nella gentilezza il modo più rapido per ottenere qualcosa. Molto più spesso non si è gentili affatto: a causa dello stress, della fretta, di un malinteso senso di praticità, si tende a essere troppo diretti e si saltano quelli che definiamo, con un po' di disprezzo, «convenevoli», riducendo ogni rapporto a un semplice scambio. Peccato che così facendo si perda il contatto con tre aspetti fondamentali della nostra esistenza: gli altri, l'ambiente che ci circonda e persino noi stessi. Perché gentilezza vuol dire, prima di tutto, mostrare cura e rispetto verso ciò che veramente conta: significa trattarsi con amore, fare ciò che fa bene al nostro corpo e al nostro umore, intrecciare relazioni serene e appaganti, coltivare l'empatia e il sorriso, dare valore anche agli incontri occasionali, calarsi nella prospettiva altrui, rendere sempre piacevole e accogliente il posto dove stiamo. Cristina Milani, vicepresidente del World Kindness Movement, ci invita a riscoprire il potere di questa virtù dimenticata e ci spiega come declinarla giorno per giorno nei rapporti personali, sul lavoro, verso di noi e l'ambiente. Sono piccoli esercizi di civiltà, semplici e spontanei, in grado però di propagarsi e innescare una rivoluzione gentile che contagerà tutti. Basta solo iniziare.
Nel V secolo a.C. Ippocrate aveva già formulato una «ricetta» estremamente efficace e universale: solo «il tocco, il rimedio, la parola» possono davvero guarire. Sono passati più di due millenni, eppure gli insegnamenti del padre della medicina sembrano del tutto ignorati. Paradossalmente, gli enormi passi avanti in campo scientifico e tecnologico hanno fornito ai medici di oggi strumenti potentissimi dal punto di vista diagnostico, terapeutico e farmacologico, rendendo tuttavia il rapporto tra medico e paziente sempre più distaccato e frettoloso. L'iperspecializzazione e al tempo stesso la scarsa formazione agli aspetti relazionali della professione, i ritmi di lavoro sempre più stressanti e le lungaggini burocratiche non fanno che peggiorare la situazione. Le autrici affrontano numerosi meccanismi psicologici che entrano in gioco nella relazione tra medico e assistito - come ottenere la compliance del paziente, come sfruttare il celebre effetto placebo e insieme scongiurare l'effetto nocebo o il fenomeno dell'overdiagnosis, sintomo di una società sempre più ipocondriaca. L'approccio è di tipo strategico, con un'ampia casistica di accorgimenti linguistici e suggestivi utili per non incorrere nelle trappole che incidono negativamente sull'esito del trattamento. Una buona comunicazione influisce direttamente sull'efficacia e l'efficienza della cura, con ripercussioni positive sulla qualità della vita dei pazienti e del sistema sanitario in generale: il medico, quando veste i panni del «persuasore strategico», non solo fa sentire meglio il paziente, persino nei casi più gravi, ma si sente meglio a sua volta, evitando peraltro la sempre più diffusa sindrome del burnout. In tutti i sensi, quindi, «curare» significa prendersi cura della persona, prima ancora che della malattia. Prefazione di Giorgio Nardone.

