
L'idea di "stato sociale" è una delle più controverse nella storia del pensiero politico contemporaneo. Il motivo dell'intervento dello stato nella vita economica, con scopi di consolidamento politico e di riequilibrio sociale, è stato oggetto di accese polemiche ideali fin dal suo affacciarsi, fra Sette e Ottocento, come possibile cura della povertà. Lo scontro tra fautori e oppositori delle politiche sociali si è poi ripresentato a proposito del formarsi dello stato sociale come strumento di integrazione del proletariato negli stati nazionali e come risposta ai diritti sociali connessi con la cittadinanza. E continua oggi, come riflesso culturale della crisi del Welfare e dell'offensiva ideologica neoliberista. Questo primo volume (dei due in cui l'opera è articolata) riattraversa i momenti più importanti della disputa nel secolo XIX, evocando temi come la formazione della cultura liberale e il suo confronto con la questione sociale, le varie ipotesi di protezione delle classi subalterne, le discussioni intorno all'emergere dei diritti sociali.
Adriano Ossicini offre in queste pagine una meditata riflessione sulla sua lunga esperienza politica e culturale. Il suo itinerario prende le mosse negli anni in cui il regime fascista cominciava a conoscere il suo lento, ma inesorabile declino. Egli matura, quindi, le sue scelte nel confronto con gli eventi del suo tempo, ma anche nel confronto con personalità di grande rilievo culturale, quali furono, fra gli altri, Giovanni Gentile, Guido Calogero e Don Giuseppe De Luca. Da Calogero, in particolare, egli sembra trovare conferma ai suoi orientamenti, all'idea che la laicità non sia "mancanza di fede, ma il modo di vivere una fede, un orientamento filosofico o ideale in termini non integralistici". La testimonianza ed il percorso politico documentati in queste pagine implicano, anche, un rifiuto delle ideologie, che l'autore interpreta come integralismi e come antitesi all'idea di laicità e di libertà. Egli conclude il suo itinerario sottolineando che la motivazione cristiana a fare politica mantiene ancora oggi un ruolo importante, perché legata ad una grande tradizione filosofica e politica, che si colloca al di sopra dei partiti.
Rivoluzione, comunismo, utopia, tragedia, ma anche risate e satira. Dopo l'umorismo ebraico, Moni Ovadia racconta la grande epopea comunista attingendo al tesoro della diceria popolare, della canzonatura, dell'aneddoto, della storiella autodelatoria. La gigantesca macchina della retorica di regime mostra qui il suo volto irrimediabilmente patetico di fronte alla scheletrica guizzante intelligenza del motto di spirito.
Gli ebrei europei sanno che la Shoàh fu frutto della cultura di destra, razzista e nazionalista. Le cose si sono però modificate e complicate col tempo. Continua a esistere, drammatico, un antisemitismo di destra, ma è tornato in superficie anche un antisemitismo di sinistra, sul quale si sono innestati nuovi temi germogliati da vecchie radici, mai del tutto estirpate. Per capire quale linguaggio si carica di elementi di antisemitismo bisogna conoscere un po' di storia. Cosi come bisogna saper leggere il passato per capire le ragioni che ne hanno diffuso l'ombra anche tra chi è al di sopra di ogni sospetto. In cento pagine, Luzzatto Voghera affronta un tema di altissima complessità con un linguaggio limpido e appassionato.
La sacralizzazione della politica accade ogni volta che un'entità politica la nazione, la democrazia, lo Stato, la razza, la classe, il partito, il movimento - è trasformata in una entità sacra, in un oggetto di devozione e di culto, ed è collocata al centro di un sistema di credenze, di simboli e di riti. Nascono allora le religioni della politica, che non si identificano con un unico tipo di ideologia e di regime: esse possono sacralizzare la democrazia o l'autocrazia, l'eguaglianza o la disuguaglianza, la nazione o l'umanità.
Da sempre la storia millenaria e la profonda spiritualità dell'India trovano in Europa e in Occidente un vasto movimento d'interesse: non altrettanto può dirsi della sua storia politico-istituzionale. Eppure, con la conquista dell'indipendenza (1947) e l'entrata in vigore (1952) di una costituzione democratica, proprio l'India si configura come la "democrazia più grande del mondo", nonostante le contraddizioni di una società multietnica, plurilinguistica e multireligiosa. Lo studio dell'ordinamento istituzionale indiano di oggi può offrire quindi un fondamentale contributo alla teoria democratica, evidenziando due aspetti di grande interesse: da un lato l'universalità dei valori democratici e la loro applicabilità ai contesti più disparati e apparentemente "incompatibili"; dall'altro la dimostrazione di come come la democrazia, lungi dal costituire un "monopolio dell'occidente", debba adattarsi ai contesti socioculturali dei popoli che, volontariamente, la scelgono.
Quali e quante sono le trasformazioni del potere politico e sociale nella occidentale civiltà della produzione, dalla prima rivoluzione industriale fino alla recente stagione postindustriale? Si è forse vicini alla sostituzione della politica con una modalità manageriale e tecnocratica di guidare la società? Il volume, tentando un intreccio tra questi temi, ricostruisce le radici teoriche di impostazioni e fenomeni ricorrenti, precisando non solo le aree funzionali proprie della politica e dell'economia, ma soffermandosi sul ruolo della morale e della scienza nella determinazione delle scelte pubbliche.
La lunga e appassionata intervista a Savino Pezzotta, segretario generale della CISL fino al 2006 e sindacalista da sempre, si struttura come un viaggio per leggere l'impegno sociale e politico dei cattolici italiani dopo la fine della DC. Zavattaro imposta le sue domande in modo da ricostruire le varie tappe di un processo che mira, secondo Pezzotta, ad animare una rinnovata stagione nel mondo politico.
Esiste una rete di prigioni segrete per prigionieri fantasma. Luoghi dove le convenzioni internazionali sono parole vuote, lettera morta, e la tortura è regola. Luoghi che possono inghiottire come un buco nero. Non negli angoli del mondo governati dalle forze dell'"asse del male", ma qui, da noi, in Occidente, nella civilissima Europa dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Sono aerei, basi militari, stanze d'albergo, prigioni vere e proprie. Perché ogni luogo in cui il diritto e i diritti vengono imprigionati diventa carcere. L'inchiesta di Giulietto Chiesa, membro della commissione istituita dal parlamento europeo per indagare su tutti gli atti di violazione delle norme internazionali ad opera della CIA in Europa, fa emergere uno scandalo politico che coinvolge quasi tutti i servizi e i governi europei, dall'Italia del caso Abu Omar alla Polonia, dalla Germania alla Svezia, di destra e di sinistra, con accuse di complicità, menzogne, accordi segreti. Forte delle testimonianze di rapiti e torturati, di rappresentanti di organizzazioni non governative e di funzionari - americani ed europei - che hanno deciso di rompere il muro del silenzio, un atto d'accusa che poggia su una documentazione inedita e accurata e testimonia la violazione di quei valori su cui vogliamo sia fondata la nostra civiltà.
Da garanti del nuovo ordine democratico, costruito dopo la tempesta della guerra e i vent'anni di dittatura fascista, i partiti hanno svolto a lungo una funzione cardine, fino a identificarsi con lo stesso Stato e ad accreditare un'equazione distorta, come estrema difesa di un ceto politico sempre più delegittimato: democrazia uguale regime partitico. Con la fine della prima Repubblica, la nascita di nuovi soggetti politici e l'affermarsi del bipolarismo, inizia in Italia una fase di transizione complessa e ancora incompiuta. La cesura intervenuta nei primi anni Novanta impone una rilettura dell'intera parabola dei partiti, per spiegare le ragioni del loro dissolvimento, le loro identità e le loro culture in una scena politica profondamente cambiata, così come profondamente cambiata è la cornice internazionale alla quale per mezzo secolo il vecchio sistema ha fatto riferimento.