
È un paese che si ripete, un paese che si morde la coda, un paese senza tempo. L’Italia sembra sempre uguale. scandali sui giornali, trame oscure, crisi economiche. Calamità ambientali, disastri morali, corruzione. Sì, in Italia il tempo sembra essersi fermato. Le lotte intestine della politica, i temi – la tv, la magistratura, l’informazione a rischio –, i protagonisti: sempre gli stessi. In un innovativo modo di fare storia attraverso la cronaca – attraverso vent’anni di pezzi usciti su la Repubblica, ognuno frammento dell’interminabile crisi italiana – Concita De Gregorio coglie questo aspetto del paese. C’è stata una Prima repubblica e poi una Seconda. Ci sono stati molti governi. Si è parlato quasi ogni giorno di riforme. Ma niente da fare, è tutto uguale. Questo è un paese senza tempo.
Tra un bagno di mare e una cena sotto la pergola della casa di Sperlonga, Vittorio Foa avvia intense conversazioni con gli amici che gli sono più vicini (siamo negli anni Ottanta, ai tempi dell'«edonismo reaganiano»). Al centro, le vicende forti della politica: anche di quella che è ormai storia. Vittorio Foa ha da poco finito di scrivere, con travaglio, la sua Gerusalemme rimandata. È assorto ma fuori campo. Da più di quattro anni ha scelto il ritiro dalla vita pubblica.
I temi s'intrecciano con la sua storia (la scelta antifascista e i suoi dilemmi, la crisi delle ideologie e insieme la speranza): discussioni appassionate sulla filosofia del mondo, guardando ai deboli, agli esclusi e al loro riscatto, proprio attraverso la politica, di cui il movimento operaio, i partiti della sinistra, il sindacato sono parti essenziali. Temi cruciali: quasi che Vittorio Foa e coloro che dialogano con lui percepissero profeticamente i segni di una svolta che segnerà in profondità l¿Italia del futuro. Senza conformismi né censure, si affrontano alla radice, rivisitandole, le parole chiave della sinistra: il progresso sociale, l¿esperienza del socialismo, la questione ambigua dei fini e dei mezzi. E poi, su tutte, il tema antiretorico, del rapporto tra biografia e politica: nello sguardo incrociato tra un protagonista che ha fatto la storia e chi la storia la studia (ai massimi livelli), la interpreta.
Nella palude. La fase attuale della politica italiana potrebbe essere efficacemente riassunta così: da una parte il populismo di territorio di marca leghista, dall'altra il populismo del sogno berlusconiano. Nel mezzo una sorta di populismo giustizialista, marcato dai segni inquietanti dell'invidia sociale… L'ascesa del populismo della paura è ormai una grande ombra sull'Europa del XXI secolo. Questo libro continua a cercare una politica della speranza. È un messaggio rivolto a un centro sinistra che però non ha saputo ancora rinnovare le categorie con cui stare nel magma sociale.
Il libro
Nella palude. La fase attuale della politica italiana potrebbe essere efficacemente riassunta così: da una parte il populismo di territorio di marca leghista, dall'altra il populismo del sogno berlusconiano. Nel mezzo una sorta di populismo giustizialista, marcato dai segni inquietanti dell'invidia sociale. Il tratto comune di questi fenomeni sta nel rinserrarsi cieco nei propri egoismi territoriali, nelle invidie di vicinato, nel gossip televisivo…
Mai come ora c'è stato bisogno di politica, in grado di ripensare i comportamenti collettivi nel contesto di spaesamento prodotto dalla globalizzazione. Rancore, cura, operosità sono metafore sociali che indicano i modi differenti in cui i soggetti si relazionano di fronte alle difficili sfide poste dalla vita quotidiana.
C'è un grave pericolo che bisogna evitare: la saldatura politica tra la “comunità del rancore”, con le sue paure già quotate da tempo al mercato della politica, e le preoccupazioni e le angustie degli “operosi” che pur con mille difficoltà fanno impresa nella globalizzazione.
Solo coniugando insieme la "comunità di cura" figlia del welfare e fatta di operatori, medici, insegnanti, impresa sociale, volontariato, che quotidianamente si impegnano sul territorio per produrre inclusione sociale, con il mondo degli "operosi" si potrà costruire una società aperta. Sta in questo corno la sfida della fase attuale.
Guerre civili, azioni di ‘guerriglieri’ e ‘terroristi’ sono uno dei fenomeni più studiati dalle scienze sociali a livello internazionale e negli ultimi anni riempiono i notiziari e le pagine dei giornali. La guerra nello Stato si pone l’obbiettivo di colmare la relativa assenza di ricerca sul tema in Italia, sia ricostruendo il vivace dibattito teorico che si è sviluppato fra gli studiosi sia offrendo contributi originali che trattano alcuni specifici conflitti intrastatali, le loro origini e i modi in cui sono combattuti. La prima parte analizza il legame di questi combattimenti con il sistema internazionale nato dopo la fine della Guerra fredda, utilizzando ipotesi e schemi interpretativi della scienza politica e delle relazioni internazionali contemporanee e guardando all’importante relazione fra la presenza di risorse naturali e il manifestarsi dei conflitti. Nella seconda parte l’attenzione si sposta in particolare sulla Bosnia, il Libano, la Palestina e il Sudan. Con riguardo a questi casi specifici, si mettono in evidenza importanti dinamiche sugli attori, le loro strategie, le interazioni e l’influenza dei contesti locali. Il volume vorrebbe essere un punto di riferimento su un tema importante ma ancora poco esplorato, e come tale si rivolge non solo a studenti universitari e ‘addetti ai lavori’, ma anche a coloro che, all’interno di un pubblico più ampio, vogliano riflettere criticamente su un fenomeno così drammaticamente attuale nella politica mondiale.
Gli autori
Stefano Costalli ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’IMT Institute of Advanced Studies. Attualmente è titolare di una borsa post-dottorato presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano e docente di Studi strategici presso lo stesso ateneo. I suoi interessi di ricerca riguardano le guerre civili, l’International Political Economy, le transizioni democratiche, il realismo politico e la teoria della pace democratica. Ha svolto ricerche sul campo in Bosnia-Erzegovina, Libano, Israele e nei Territori Palestinesi. Francesco N. Moro è borsista post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane - SUM e insegna Studi strategici all’Istituto di Scienze militari aeronautiche dell’Aeronautica Militare Italiana. I suoi interessi di ricerca riguardano la teoria politica internazionale, le forme della guerra nel sistema internazionale contemporaneo, i movimenti insurrezionali e le guerre civili. È autore di Transizioni pericolose. Forme e logiche della violenza nelle fasi di liberalizzazione politica (2009).
Il libro racconta la storia di simboli politicamente decisivi. Alcuni, come il fascio littorio, la falce e il martello, il guerriero di Pontida o la croce di Lorena, si legano ad esperienze collettive che hanno segnato il Novecento. Altri, come il biscione lombardo o i quattro mori sardi, hanno rappresentato per secoli l’espressione di un’identità regionale, mentre la donna turrita è stata figura di un insieme difficile da impersonare, l’Italia. Altri ancora, infine, come il berretto della libertà, hanno interpretato la resistenza alla tirannide e la difesa dei propri diritti. Tutti hanno assunto un significato che andava al di là di un più o meno casuale riferimento culturale. Sono stati oggetto di amore e di odio, di investimenti emotivi e di passioni intellettuali, di violenza cieca e di dedizione spinta fino al sacrificio.
Come si spiega questo protagonismo dei simboli e quale senso ha ripercorrerne la storia? E qual è la ragione della loro capacità di mutare, di adattarsi a diversi contesti, di rimanere attivi entro nuovi quadri culturali? A queste domande il libro cerca di rispondere, ricostruendone passo per passo la storia e la mutevole ed agitata vita terrena, alla ricerca del segreto della loro forza e della funzione che hanno svolto, e che svolgono, nella vita politica.
Francesco Benigno insegna Storia moderna all’Università di Teramo.
Luca Scuccimarra insegna Storia delle dottrine politiche all’Università di Macerata.
Il libro curato da Francesco Miano e Paolo Trionfini è una raccolta di alcuni degli interventi presentati in occasione dei sedici incontri pubblici promossi dall'Azione cattolica in preparazione della 46a Settimana sociale, durante i quali sono state affrontate le problematiche emergenti del Paese: un'occasione di dialogo con le realtà territoriali, un momento di discernimento e di confronto con la società civile e con le istituzioni.
Come studioso e osservatore attento della vita economica, sociale e politica del nostro paese, prima, con il diretto coinvolgimento nelle più alte cariche istituzionali della Repubblica, poi, Luigi Einaudi segna fasi critiche della nostra storia. Il libro raccoglie saggi che sono frutto di nuove ricerche e ne mettono a fuoco la complessa opera. Il suo posto nella storia e la cura diretta della ricerca storica sono i temi affrontati da Zanone e Faucci. Atripaldi ne ricostruisce il ruolo importante in seno all'Assemblea costituente. Barucci introduce nuovi elementi per valutare la posizione assunta di fronte al processo inflazionistico del 1947. Visco ne sottolinea l'insistenza sulla necessità di fondare l'azione pratica su approfondite e appropriate conoscenze e ricostruisce alcuni aspetti del clima intellettuale del servizio studi della Banca d'Italia. Da Empoli evidenzia il ruolo del principio libertario nell'analisi einaudiana delle questioni di finanza pubblica. L'ampia articolazione del pensiero di Einaudi si presta peraltro a una lettura della sua opera tendente a inquadrarlo nello spettro dei parecchi volti del liberalismo e del socialismo, che viene fatta nei saggi di Amari, Garofalo e Acocella. Della Valle mostra la versatilità della lingua impiegata da Einaudi. Forte pone in rilievo le capacità di leggere l'evoluzione della realtà in termini del processo di integrazione. Baffigi conclude sui molti insegnamenti che il nostro paese potrebbe trarre dalla sua opera.
In questo nuovo saggio, prosecuzione ideale dei due precedenti dedicati al Mediterraneo e agli scenari futuri del nostro pianeta, Giancarlo Elia Valori punta l’attenzione su una realtà che conosce dall’interno, e da decenni, grazie sia alla sua attività di manager pubblico e privato sia alla sua cattedra all’Università di Pechino: la Cina, il gigante asiatico passato in brevissimo tempo dalla fame al ruolo di superpotenza politica ed economica. Valori indaga i molteplici aspetti del boom cinese, non limitandosi a quelli economici, ma illustrando i risvolti geopolitici della proiezione internazionale della più popolosa nazione del mondo, che toccano l’intero quadrante eurasiatico e mediorientale. Né si ferma al presente, ma ripercorre i tratti fondamentali, le continuità e le cesure della storia cinese, dal confucianesimo al maoismo, dagli eccessi ideologici al pragmatismo attuale, restituendoci il ritratto inedito di un Paese ancorato alla sua tradizione e nel contempo proiettato nel nuovo millennio. Mostra soprattutto l’importanza che, agli occhi della Cina, riveste il Mediterraneo, la porta d’ingresso a quel mercato africano in cui i cinesi investono miliardi di dollari per assicurarsi l’approvvigionamento di materie prime, risorse energetiche e prodotti alimentari. E proprio questa centralità del Mediterraneo costituisce oggi la migliore occasione di sviluppo per l’Italia e per l’Europa.
Giancarlo Elia Valori è uno dei più importanti manager italiani. Docente universitario e attento osservatore della situazione politica ed economica internazionale, nella sua lunga carriera ha ricoperto importanti incarichi in prestigiose società italiane ed estere. Attualmente è a capo di La Centrale Finanziaria Generale SpA, della holding regionale Sviluppo Lazio SpA e della delegazione italiana della Fondazione Abertis. Inoltre è presidente onorario dei colossi cinesi Huawei Italia e HNA Group nonché detentore di importanti cattedre presso prestigiosi atenei quali la Yeshiva University di New York, l’Hebrew University di Gerusalemme e la Peking University. Nel 1992 viene nominato Cavaliere della Legion d’onore con la motivazione: “Un uomo che sa vedere oltre le frontiere per comprendere il mondo”; dall’11 maggio 2001 è ambasciatore di buona volontà dell’Unesco per i meriti profusi generosamente nella difesa e nella promozione del patrimonio immateriale. Nel 2002 riceve il titolo di “Honorable” dell’Académie des Sciences de l’Institut de France. Tra i suoi libri più recenti ricordiamo Geopolitica e strategia dello spazio (Rizzoli 2006), Antisemitismo, olocausto, negazione (Mondadori 2007), Mediterraneo tra pace e terrorismo (Rizzoli 2008) e Il futuro è già qui (Rizzoli 2009). È il vincitore del premio “Ischia Mediterraneo” 2009.
Negli ultimi venti anni la Lega si è affermata e consolidata andando ben al di là di un semplice movimento di protesta contro la partitocrazia. Ha mantenuto una sostanziale coerenza con la propria identità originaria, unita a una grande capacità di trasformarsi, cogliendo spesso in anticipo i cambiamenti e i nuovi fenomeni emergenti in Italia o nel contesto internazionale. È riuscita a far avanzare il progetto di accrescere l'autonomia delle regioni del Nord assumendone la rappresentanza politica e a stabilire con le comunità territoriali di riferimento un rapporto 'vero', quale gli altri partiti non sono più in grado di avere. Ha avuto la capacità di far diventare patrimonio del centrodestra molti dei suoi temi privilegiati e in molte situazioni di sostituire i partiti di sinistra nella rappresentanza politica dell'elettorato popolare, in particolare degli operai. Se fino a qualche anno fa i leghisti erano stigmatizzati perché accusati di orientamenti razzisti, oggi il Carroccio è non solo legittimato ma per molti un modello da imitare. Partendo da una ricostruzione delle ragioni dei suoi successi elettorali, Roberto Biorcio affronta i molti interrogativi aperti dalla parabola politica leghista e dalla capacità del partito di Bossi di anticipare e condizionare le trasformazioni della politica italiana.
«La Cecenia è come il 1937, il 1938, - mi dichiara nel suo piccolo ufficio moscovita un dirigente di Memorial -. Si sta portando a termine un grande piano edilizio, si assegnano alloggi, ci sono parchi dove giocano i bambini, spettacoli, concerti, tutto sembra normale e... di notte la gente scompare».
Una mattina di settembre, poco dopo aver concluso la prima stesura di questo libro, Jonathan Littell riceve una mail: Natal'ja Estemirova, una delle principali attiviste per i diritti umani a Groznyi, è stata sequestrata.
La Estemirova è nota in tutto il mondo per le sue inchieste sui casi di sparizioni, torture ed esecuzioni extragiudiziarie che ogni giorno contribuiscono a mantenere la Cecenia in un clima di costante terrore. La sua visibilità, così si credeva, l'avrebbe tenuta al sicuro: la stessa cosa si diceva anche della sua amica Anna Politkovskaja. La sera di quello stesso giorno il cadavere di Natal'ja viene rinvenuto in un bosco alla frontiera con l'Inguscezia, crivellato di colpi.
La notizia getta una nuova luce sulle due settimane trascorse nel Caucaso da Littell, costringendolo di fatto a riscrivere il reportage del suo soggiorno alla corte del presidente Ramzan Kadyrov nell'anno terzo del suo governo.
Littell è già stato in Cecenia, durante le due guerre, in missione per alcune organizzazioni umanitarie e ha sempre mantenuto stretti contatti con il paese: ricorda bene, pertanto, i giorni in cui la vita di un ceceno non valeva un copeco. Così, se all'inizio pensava di porre l'accento sul ritorno, difficile ma percepibile, alla normalità, l'assassinio della Estemirova lo mette di fronte all'illusorietà di tale pacificazione.
La «cecenizzazione», cioè la decisione presa da Vladimir Putin nel 2002 di insediare nel paese un forte potere filorusso, composto principalmente da ex separatisti, nell'indagine di Littell si svela essere il nome presentabile di un sistema che ha fatto della corruzione più sfrenata, dell'islamizzazione a oltranza, della cooptazione forzata dei ribelli, della tortura e dell'omicidio, gli strumenti quotidiani per il controllo del territorio.
Dopo "Laici e cattolici", che indagava il rapporto tra i cattolici e la sinistra italiana, le riflessioni di un cattolico militante sulle grandi questioni che agitano il nostro tempo. Il confronto tra il pensiero di Benedetto XVI e le altre religioni monoteiste sulla persona e i suoi valori, sui diritti individuali e collettivi, sul rapporto tra politica e religione e sui valori che le separano e che esse condividono.
Anno dopo anno, l'Italia sta retrocedendo in tutte le classifiche relative allo sviluppo economico, alla disoccupazione giovanile, all'educazione e alla ricerca, ai diritti dei consumatori. Mentre sale nelle graduatorie che misurano l'evasione fiscale, la corruzione, l'abusivismo edilizio, la lentezza della giustizia.
Tutte queste criticità sono però accomunate da un grave limite, che porta alla degenerazione dell'intero sistema: l'Italia non ha saputo darsi le regole giuste. In genere da noi leggi, norme e regolamenti sono troppo numerosi e troppo complicati, tanto che diventa molto difficile rispettarli. Così chi non li rispetta viene spesso condonato o amnistiato, mentre cittadini e imprese si adattano all'elusione di massa. Per rimediare, vengono emanate nuove regole, sempre più severe, e la situazione peggiora.
È quello che Roger Abravanel e Luca D'Agnese hanno definito «il circolo vizioso delle regole», che rende impossibile qualunque serio progetto di riforma. Senza regole, o con regole sbagliate, l'economia non si sviluppa, perché le imprese «piccole, brutte, anzi bruttissime» fanno concorrenza sleale a quelle innovative.
Senza regole, o con regole sbagliate, governare una società sempre più complessa, dove i servizi hanno un peso crescente rispetto ai prodotti, è impossibile.
È troppo facile scaricare la responsabilità del declino italiano sui politici e sulla classe dirigente.
Regole dimostra che dobbiamo innescare un circolo virtuoso delle regole in tutta la società: un processo che coinvolga i cittadini, che devono essere informati e partecipare alla definizione e al miglioramento delle regole grazie a una scuola che non deve solo trasmettere nozioni, ma formare le «competenze della vita» necessarie per interagire efficacemente con gli altri; una giustizia civile veloce; un sistema dell'informazione indipendente dalla politica e dagli affari.
Roger Abravanel e Luca D'Agnese dimostrano che seguire le regole non solo è giusto, ed evita sanzioni di vario tipo: è soprattutto conveniente. E avanzano cinque proposte concrete che possano finalmente far ripartire il nostro paese.