
In politica la realtà non è mai quella che appare. La narrazione dei vincitori «riscrive» la nuda trama dei fatti. Sugli ultimi trent'anni di storia italiana, paradossalmente, si è imposto il racconto dei vinti della storia. È la sinistra di matrice comunista e statalista - la grande sconfitta del secolo scorso, divenuta il sorprendente alfiere del liberismo selvaggio e del conseguente capitalismo finanziario - a raccontare cosa è successo, in sintonia con una parte della magistratura inquirente. Paolo Cirino Pomicino fa il controcanto alla storia «ufficiale» e - a forza di fatti, documenti e ragionamenti - offre una nuova e convincente lettura del passato prossimo e del presente. L'Italia vive una profonda crisi della democrazia, con la crescente invadenza del grande capitale finanziario e la progressiva trasformazione del ceto medio spaccato in due tronconi, il più piccolo dei quali è diventato una nuova classe dominante grazie alla finanza ingegnerizzata, mentre il ruolo dei corpi intermedi è pressoché scomparso. Serve una nuova rivoluzione borghese capace di rilanciare cultura e democrazia nel sistema politico italiano, «anonimo» e sempre più personalizzato. In questo quadro ha fatto irruzione, a fine febbraio, la guerra in Europa Orientale, con l'invasione russa dell'Ucraina. Migliaia di morti, milioni di profughi e danni materiali incalcolabili hanno commosso il mondo e compattato l'Europa e l'Occidente nel sostegno politico e materiale all'Ucraina e nelle sanzioni, durissime, alla Russia. Una svolta tragica, per un nuovo ordine mondiale.
Un protagonista della prima repubblica, democristiano di lungo corso, ripercorre con sgomento e preoccupazione, ma anche con humour e intelligenza pungente, le vicende politiche ed economiche degli ultimi vent'anni, in Italia e all'estero. Senza negare errori e senza rinunciare alla doverosa autocritica, Pomicino deplora lo scadimento e il dilettantismo del legislatore e dei governi, a cominciare dai tecnici dell'economia che presidiano ininterrottamente il potente e unificato ministero dell'Economia e delle Finanze.
Il debito pubblico, in genere descritto come un'eredità del passato, è in realtà triplicato dal 1991 e ha battuto ogni record nel giugno 2015 raggiungendo i 2200 miliardi di euro. Smantellata per via giudiziaria la prima repubblica, la politica ha rinunciato alle idee, ha annacquato e ridotto al silenzio le proprie culture di riferimento, e ha smembrato il sistema di partecipazioni e investimenti pubblici, svenduti alle multinazionali e ai fondi di investimento. Le famiglie industriali italiane riunite nei "salotti buoni" hanno assecondato la spoliazione delle imprese e dei grandi settori produttivi, traendo ottime plusvalenze dalle loro cessioni. Contemporaneamente è cresciuto il mostruoso capitalismo finanziario, un inarrestabile contagio internazionale che divora l'economia reale e prepara il disastro economico e sociale su scala planetaria, con impoverimento di massa, bassa crescita, ricchezza concentrata e disuguaglianze crescenti.
L'avvento di un antico democristiano come Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica e di un post democristiano come lo scout Matteo Renzi al governo avrebbero potuto essere di ottimo auspicio per rilanciare il primato della politica nel nostro paese. Ma le speranze sono presto sfumate: l'Italia in cui viviamo si sta rivelando una Repubblica delle Giovani Marmotte.
L'analisi sui comportamenti e le scelte di Renzi e dei post-democristiani è severa, la loro inadeguatezza sul piano istituzionale e internazionale è palese: proprio quando le culture politiche oggi largamente disperse sarebbero utilissime all'Italia e all'Occidente, per comprendere e affrontare i giganteschi squilibri economici, le migrazioni bibliche e i conflitti che infiammano il Medio Oriente e il continente africano.
Una storia come tante, dopo una diagnosi di tumore. Succede a mille persone, ogni giorno, in Italia. Massimo Cirri aspetta la conferma, si preoccupa, inizia la terapia, tra esami clinici, radioterapia, chemioterapia, alcune complicazioni. E intanto continua la sua vita, tra il lavoro, il cane da portare ai giardinetti, la necessità di preservare i figli. E la paura di non guarire. In questo cammino ha a che fare con medici e infermieri, ospedali e cliniche: con la straordinaria macchina del Servizio Sanitario Nazionale, che senza chiedere denaro fornisce assistenza, accertamenti, medicine: tutto quello che serve. Cirri e D'Ambros ascoltano il personale sanitario, visitano reparti di eccellenza, fanno la coda per pagare il ticket, parlano con Gino Strada e Umberto Galimberti, Milena Gabanelli e l'epidemiologo Michael Marmot, i basagliani di Trieste e i cittadini comuni. Un libro delicato, ironico e profondo, che conferma la fondamentale importanza del diritto alla salute sancito dalla Costituzione. E il dovere di tutelarlo.
L'Italia è un Paese dove i giovani dipendono dai vecchi, dove "è Anchise a portare sulle spalle Enea mentre la città brucia. Non il contrario, come sarebbe naturale". E "dove nessun futuro è stato pensato per Ascanio, il nipote". Partendo da questa constatazione, Giuseppe "Pippo" Civati, uno dei politici più noti della sinistra italiana, ci racconta la sua versione dei fatti. Ci dice quali sono gli attori che si contendono la scena. Quali sono gli ostacoli a un cambiamento che non può più essere rimandato. Perché se oggi è il momento di fare, e di fare in fretta, non possiamo però ripetere l'errore che segna da sempre la vita del nostro Paese, quello di agire senza riflettere, senza pensare alle ripercussioni delle nostre scelte sulle prossime generazioni.
Il concetto di ‘legittimità’ ricorre spesso nel vocabolario dei professionisti delle relazioni internazionali. E la questione della legittimità, a lungo dibattuta dalle opinioni pubbliche di tutto il mondo, è oggi più che mai oggetto di controversie legate a episodi della storia recente, come le guerre in Kosovo e in Iraq o la lotta al terrorismo dopo i fatti dell’11 settembre. Eppure, nonostante la rilevanza del concetto, la disciplina delle relazioni internazionali se n’è interessata assai poco. Questo libro di Ian Clark, il secondo di una trilogia che l’autore dedica al tema della legittimità, si distingue proprio perché propone un approccio solido e sistematico al tema all’interno delle relazioni internazionali, tenendo come punto di riferimento l’idea che lo sviluppo dei principi di legittimità stia al cuore di ciò che si intende per società internazionale.
La prima parte del testo traccia l’evoluzione storica della pratica della legittimità in diversi contesti, dall’età delle scoperte geografiche, sul finire del XV secolo, ai grandi trattati di pace della storia moderna. La seconda parte propone invece un’incisiva analisi della legittimità nella società internazionale contemporanea.
La conclusione cui ci conduce Clark è che la legittimità è un concetto complesso, che difficilmente si fa ridurre alla semplice applicazione di altre norme, quali la legalità o la moralità. È piuttosto una condizione estrinsecamente politica, resa più o meno attuabile dalla situazione politica generale della società internazionale.
Ian Clark è professore di Politica internazionale presso l’Aberystwyth University nel Galles, che vanta la più antica cattedra di Relazioni internazionali, istituita dopo la fine della prima guerra mondiale. Membro della British Academy, rivolge i suoi interessi di ricerca ai temi della legittimità, dell’egemonia, della teoria delle relazioni internazionali. Ha pubblicato, tra l’altro, Globalization and Fragmentation: International Relations in Twentieth Century (1997; trad. it. Globalizzazione e frammentazione: le relazioni internazionali nel XX secolo, 2001), Globalization and International Relations Theory (1999), The Post-Cold War Order: The Spoils of Peace (2001), International Legitimacy and World Society (2007).
Il discorso con cui John F. Kennedy inaugurò la propria presidenza è considerato uno dei momenti memorabili della politica americana e mondiale del Novecento. Proprio quando gli Stati Uniti temevano una nuova guerra e dovevano fronteggiare gravi problemi interni, parole come "non chiedete al paese ciò che può fare per voi, ma chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese" aprirono un nuovo corso storico e ispirarono un'intera generazione, infondendo nei cittadini speranza e ottimismo. Il libro è il resoconto dei giorni che precedettero il discorso d'insediamento alla Casa Bianca e degli sforzi del neoeletto presidente per trovare le parole giuste che esprimessero le sue grandi ambizioni.
Il libro non è solo una fotografia delle elezioni americane più importanti degli ultimi quarant'anni. È anche, attraverso la cronaca di un processo elettorale durato venti mesi, una testimonianza in presa diretta delle dinamiche profonde che hanno trasformato una parola, "hope", speranza, in un dato politico di proporzioni epocali. L'affermazione di Barack Obama è senz'altro dovuta al suo straordinario talento personale. Ma l'America l'ha fortemente voluta perché ne aveva bisogno. Aveva bisogno di chiudere, dopo trent'anni, il ciclo liberista aperto da Ronald Reagan per aprirne uno nuovo, più aderente a quel dream che l'ha generata e che, nonostante tutto, continua a essere il tratto distintivo della sua stessa identità. Perché gli americani, tendenzialmente conservatori, hanno scelto di cambiare così radicalmente direzione? Per quale ragione un Paese ancora così profondamente razzista è riuscito a immedesimarsi in un nero, che per di più ha come secondo nome Hussein? Perché è successo oggi? Dalla contestualizzazione precisa dei discorsi e dei candidati, emerge l'America del cambiamento e le ragioni storiche che l'hanno determinato, a partire dal Discorso sul razzismo pronunciato da Obama a Filadelfia, degno della più alta tradizione politica dei grandi d'America, da Lincoln, a Franklin Delano Roosevelt. Parte da lì il nuovo ciclo americano, il New Deal di Barack Obama. Destinato a irradiarsi nel mondo. (Prefazione di Ferruccio de Bortoli)
"Ciascuno di noi si trova di fronte a scelte difficili, nella propria vita", scrive l'autrice all'inizio del suo personale resoconto degli anni vissuti al centro dei più importanti avvenimenti nel mondo. Dopo la sua corsa alle primarie del 2008, Hillary Rodham Clinton si accingeva a riprendere il suo posto di rappresentante dello Stato di New York nel Senato degli Stati Uniti. Con sua grande sorpresa, quello che fino a poco prima era stato il suo rivale, il neoeletto presidente Barack Obama, le offri invece il ruolo di segretario di Stato. Questo libro è la cronaca di quei quattro storici e straordinari anni e delle scelte difficili con cui Hillary Rodham Clinton e i suoi collaboratori si sono confrontati. Il segretario Clinton e il presidente Obama hanno dovuto decidere come ricomporre alleanze incrinate, portare a conclusione due conflitti e far fronte a una crisi economica globale; insieme, hanno gestito i rapporti con un concorrente sempre più temibile, la Cina, le crescenti minacce dall'Iraq e dalla Corea del Nord, le rivoluzioni in tutto il Medio Oriente. I resoconti dei colloqui con i più alti rappresentanti della diplomazia mondiale fanno di "Scelte difficili" una vera e propria lezione magistrale sulle relazioni internazionali, nonché un'analisi efficace e unica di come impiegare al meglio lo smart power per garantire sicurezza e prosperità in un mondo in rapido mutamento... Un mondo in cui l'America rimane la nazione indispensabile.
Oggi quasi tutti gli Stati, i partiti, i movimenti politici si dichiarano democratici. Abraham Lincoln definì la democrazia "il governo del popolo, dal popolo, per il popolo". Nelle democrazie del nostro tempo le cose stanno proprio cos? Sembra ormai che il popolo faccia da comparsa in una democrazia recitativa: entra in scena solo al momento del voto. Poi, nella realtà, prevalgono le oligarchie di governo e di partito, la corruzione nella classe politica, la demagogia dei capi, l'apatia dei cittadini, la manipolazione dell'opinione pubblica, la degradazione della cultura politica ad annunci pubblicitari. E se nelle democrazie attuali questi fossero tratti non contingenti ma congeniti?
Una sintesi del pensiero di Raimon Panikkar filosofo noto per il suo impegno in favore del dialogo interreligioso. Un volume che aiuta a riflettere su un tema quale quello della pace e del rapporto tra le varie confessioni religiose, che mai come in questa fase storica è stato così attuale.
La crisi economica mondiale ha posto l'Unione europea di fronte alla più importante crisi della sua storia, una crisi che è insieme economica, demografica, ecologica, politica e istituzionale. E che vede proprio l'Unione trascinata sul banco degli imputati, accusata di aver portato alla debolezza dell'euro, di aver provocato la recessione imponendo l'austerità, di aver marginalizzato l'azione politica. Oggi molti guardano all'Europa unita con scetticismo e non sono pochi quelli che predicano un ritorno agli Stati-Nazione. Ma è davvero questa la via d'uscita dalla crisi? Daniel Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt, due profondi conoscitori dell'Unione europea e dei complessi meccanismi delle sue istituzioni, sono convinti di no. Anzi: i problemi che attualmente affliggono il Vecchio Continente (crisi economica, immigrazione dai paesi del Terzo Mondo, disoccupazione, depauperamento delle risorse) potranno trovare una soluzione soltanto attraverso il potenziamento del progetto di integrazione e l'adozione di un modello federale, retto da istituzioni sovranazionali che facciano capo a un Parlamento europeo. A chi pensa che sia stato l'euro ad aver mandato in rovina il bilancio delle famiglie, gli autori rispondono che, l'unione monetaria è l'unica via per ruscire dall declino degli Stati europei nel contesto dell'economia mondiale, trainata dalle potenze emergenti, come Cina, India, Brasile, Russia, Messico. Con un'intervista di Jean Quatremer.

