
Il capo dei capi della mafia Bernardo Provenzano viene catturato nell'aprile del 2006 in un casolare di campagna intorno a Corleone. A chi gli dà la caccia da più di 40 anni si presenta come un vecchio contadino tra ricotte, cicoria, mele, pesche e una macchina per scrivere che gli serviva per impartire ordini ai suoi uomini. Alle sue spalle, però, ha un impero finanziario. Lo chiamano "Binnu", "u' tratturi" o "il ragioniere" (anche se non è mai andato oltre la seconda elementare), perché ha un grande senso del business. Ma se è riuscito a trasformare la mafia militare in mafia degli affari, c'è chi lo ha aiutato a farlo.
Tutti i cittadini abituati da secoli alla democrazia possono facilmente cedere alla tentazione di considerarsi per sempre al riparo dai totalitarismi che hanno insanguinato il Novecento. Per Timothy Snyder, autore di opere sull'Europa tra Hitler e Stalin e sull'Olocausto, questo "è un riflesso sbagliato". Oggi non siamo "più saggi degli europei che nel xx secolo videro la democrazia cedere a fascismo, nazismo o comunismo. Uno dei nostri vantaggi è di poter imparare dalla loro esperienza". Per questo, Snyder trae venti lezioni dalla storia del Novecento, venti esortazioni per evitare di ripetere oggi, nell'era di Trump, della Brexit, dei nazionalismi e dei populismi, gli errori di un'epoca tragica. C'è una parola che ritorna in questo libro, una parola che ha echi classici e illuministi e mantiene intatto il senso di minaccia che l'accompagna: tirannia. La storia insegna che la tirannia più insidiosa non è quella che s'impone con la violenza, per mezzo di un repentino colpo di Stato, ma quella che acquista potere attraverso una serie di cedimenti progressivi da parte dei cittadini. Per questo, se c'è una cosa che ci insegna la storia è proprio l'importanza di resistere: "Qualcuno dovrà farlo. Conformarsi è facile. Fare o dire qualcosa di diverso può sembrare strano, ma senza quella sensazione di disagio non c'è libertà".
"Ehi, Giuliano. Hai colto, con la prontezza di riflessi che accompagna la tua intelligenza come il palo accompagna il ladro, l'occasione dello slogan: moratoria dell'aborto. Che cosa significa? Niente, direi. È uno slogan, appunto, reso efficace dal calco capovolto di quell'altro, moratoria della pena capitale, al quale rubasti lestamente la scena e guastasti la festa. Alla lettera, non significa niente: le donne non possono sospendere a tempo indeterminato gli aborti, a differenza dagli Stati, che possono sospendere le esecuzioni capitali. C'è una sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, e non c'è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale fino a che la creatura che cresce dentro il corpo materno non se ne sia staccata. L'ingerenza umanitaria sa che uno Stato non esaurisce in sé i cittadini individui. Madre e nascituro sono invece due e tutt'uno. Senza questa ammissione, l'habeas corpus non esiste, se non come diritto dei maschi per i maschi" (Adriano Sofri).
«Tra le poche conquiste della civiltà moderna rientra la pretesa che lo stato venga circoscritto nei propri limiti e che la società sia protetta dalle prevaricazioni della politica. I limiti del privato sono i limiti del politico. La difesa della privatezza è la piú efficace protesta dell'individuo contro l'esiziale universalismo del potere».
Non c'è partito, schieramento o personaggio politico che ne sia immune: quello di dire le bugie in Italia è un virus più che un vizio, un modo di essere più che un'abitudine. Nell'epoca dei mezzi di comunicazione di massa e dei talk show, l'argomentazione ha ceduto il passo alla declamazione, e i fatti sono stati sostituiti dalle opinioni. Non importa cosa si dice: l'importante è dirlo forte, in una sorta di gara a chi la spara più grossa. "Bugiardi" non ha la pretesa di raccogliere tutte le menzogne e le false promesse dei politici di turno - del resto, sarebbe un'impresa impossibile - ma ce ne offre un'antologia ricca e aggiornata in cui, con tagliente ironia e impeccabile imparzialità, l'autrice smaschera l'ipocrisia della Casta, che troppo spesso crede di poter prendere in giro impunemente i propri elettori.
Il tema del liberalismo è uno dei più inflazionati: concezioni e posizioni politiche disparate rivendicano la qualifica di liberali, la confusione è facilitata dalla molteplicità dei significati della nozione di libertà e dalla varietà dei modi in cui può essere intesa quella complementare di uguaglianza.
Il volume si propone di mettere ordine nella materia e di prendere sul serio l'idea liberale, riavvicinandola alle sue formulazioni classiche dell'età dell'età liberale, partendo dall'individuazione sia delle forme fondamentali che la libertà assume, sia dei significati dell'uguaglianza come principio normativo.
Alla conclusione del secondo conflitto mondiale, la sovranità nazionale viene diffusamente ritenuta un ostacolo alla costruzione di un futuro di pace e prosperità. Nasce così l'Europa unita, intenzionata a coordinare l'azione dei singoli Stati per sostenere la piena occupazione e difendere la società dall'invadenza dei mercati. Ben presto, però, la promozione della concorrenza diviene il punto di riferimento per l'operato delle istituzioni europee, che finiscono per identificare nel mercato il principale strumento per redistribuire la ricchezza. La moneta unica viene creata per presidiare questo schema, perché la sua architettura impedisce agli Stati di tutelare il lavoro e alimentare il welfare: non deve esserci spazio per allocare risorse con modalità alternative a quelle riconducibili al libero incontro di domanda e offerta di beni e servizi. Di qui il crescente impoverimento della società, alla base dei drammatici conflitti che evidenziano il tradimento delle idealità da cui era scaturito il percorso verso l'unità europea. E se l'Europa unita si mostrerà irriformabile, se cioè il sogno di una stagione di pace e prosperità avrà ceduto il passo all'incubo di un futuro di conflitti e povertà, il suo destino sarà irrimediabilmente segnato.
Dall’antico grido di libertà del gladiatore e schiavo ribelle Spartaco alle nuove lotte nelle fabbriche moderne: secoli di storia della povertà. Di quei poveri che si auto-organizzano per liberarsi dallo sfruttamento, per il potere dei poveri, dei proletari, fino a uccidere e uccidersi tra loro, come testimonia la storia. I conflitti dei poveri sono descritti attraverso le storie di insurrezioni medioevali, rivolte, manifestazioni, proteste, di atti di pace e dialogo ed episodi come le guerre dei contadini durante la Riforma protestante tra fine Quattrocento e Cinquecento, le dinamiche dei rivoluzionari del 1789 a Parigi, dei proletari nella Russia del 1917. Non una sola storia, ma differenti interpretazioni. L’analisi viene condotta alla luce delle scienze umane: vengono descritti i complessi meccanismi della psicologia politica e dei raccordi con la sociologia nei processi di urbanizzazione e secolarizzazione, con la genesi antropologica del “capro espiatorio”.
Paolo Sorbi, sociologo laureatosi a Trento alla fine del’68, è stato tra i protagonisti del movimento di lotta antiautoritario degli studenti di Sociologia. Professore straordinario di Sociologia, per quasi quindici anni, all’Università Europea di Roma, dirige il CRIPPEG (Centro di Ricerche di psicologia politica e geopolitica) di quell’Università con una sede anche a Gerusalemme. Tra i suoi testi: Emergenza antropologica. Per una nuova alleanza tra credenti e non credenti (con P. Barcellona, M. Tronti e G. Vacca, Guerini, 2012). Collabora con «Avvenire» e «Vita e Pensiero» sui temi della globalizzazione e dell’ebraismo contemporaneo.
«L'equivoco di fondo del populismo sta nel ritenere che la maggioranza parlamentare si identifichi con il popolo tutto intero, legittimando il comportamento trasgressivo dei leader eletti, che ambiscono a conquistare spazi di potere sempre maggiore. Occorre prendere posizione con coraggio su una serie di sintomi, espliciti indicatori di un cancro della nostra democrazia». Da questa forte provocazione prende le mosse la riflessione di un grande protagonista e testimone della storia politica italiana, che con sguardo lucido lancia un allarme sulle derive istituzionali in atto nel nostro Paese, in Europa e nell'intero Occidente. Pungolato dalle domande di Chiara Tintori, padre Sorge denuncia la superficialità con cui l'attuale politica, ossessionata dal consenso, affronta problemi complessi - immigrazione, povertà, disoccupazione - evitando di indagare, con la necessaria competenza, le radici profonde dei mali che affliggono la società italiana. L'antidoto al populismo è per i due autori un "popolarismo" moderno, certamente ancora ispirato all'Appello ai liberi e forti di don Sturzo (1919) - che con straordinaria lungimiranza aveva posto i fondamenti di una "buona politica" e di una "laicità positiva" -, ma capace di declinarsi oggi nelle nostre società multiculturali e multireligiose.
Perché alla fine del 1999 non fu possibile costruire un corridoio umanitario per far rientrare in Italia da Hammamet Bettino Craxi, gravemente malato, e farlo operare e curare in un centro specializzato senza che fosse arrestato? «La mia libertà equivale alla mia vita», dirà fino all'estremo il leader socialista per spiegare il rifiuto di accettare il carcere e la decisione di restare in Tunisia, dove muore il 19 gennaio 2000. Nel resoconto della trattativa, oltre ai familiari del leader socialista si affacciano il governo, il Quirinale, il Vaticano, l'America e la CIA, i magistrati di Mani pulite e i socialisti dispersi dall'inchiesta su Tangentopoli. Il caso Craxi rappresenta l'ultimo scorcio del Novecento italiano, sospeso tra la caduta del Muro di Berlino, il crollo della Prima Repubblica e l'alba dei poteri forti che s'impongono all'inizio del nuovo secolo.

