
Gennaio 2021: arriva in libreria Il Sistema, il dirompente libro-confessione in cui Luca Palamara rivela ad Alessandro Sallusti la verità indicibile sulle correnti e la spartizione del potere all'interno della magistratura. Il libro avvia una reazione a catena di dimissioni, ricorsi, sentenze che non fa che confermare il racconto di Palamara. Gennaio 2022: l'ex magistrato e il giornalista affrontano i misteri del "dark web" del Sistema, la ragnatela oscura di logge e lobby che da sempre avviluppa imprenditori, faccendieri, politici, alti funzionari statali, uomini delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, giornalisti e, naturalmente, magistrati. Logge e lobby che decidono se avviare o affossare indagini e processi e che, come scrive Sallusti, "usano la magistratura e l'informazione per regolare conti, consumare vendette, puntare su obiettivi altrimenti irraggiungibili, fare affari e stabilire nomine propedeutiche ad altre e ancora maggiori utilità. Per cambiare, di fatto, il corso naturale e democratico delle cose". Esiste davvero la "loggia Ungheria", di cui farebbero o avrebbero fatto parte membri del Consiglio superiore della magistratura, imprenditori, generali della Finanza e dei Carabinieri, politici di primissimo piano? Perché, quando un faccendiere ne svela l'esistenza durante una deposizione, quel verbale finisce in un cassetto per due anni? Ancora una volta, le rivelazioni di Palamara e Sallusti smascherano un mondo parallelo dilaniato al suo interno da inconfessabili interessi, che agisce dietro le quinte, su binari di legalità formale, e si infiltra pericolosamente nelle crepe del sistema giudiziario.
«Un singolare disprezzo della parola, quasi un ribrezzo di fronte alla parola si è impossessato dell'umanità. La nobile fiducia che gli uomini possano l'un l'altro, attraverso la parola e la lingua, convincersi è andata radicalmente persa». Sono parole che Hermann Broch scriveva nel 1934 e sembrano sintetizzare il quadro politico internazionale ricostruito da Christian Salmon. Siamo passati in pochissimi anni dalle ideologie e dalle grandi narrazioni epocali al trionfo dello storytelling con Obama, Macron e Renzi: una vera e propria arte del racconto della realtà che fa perno sull'emozione. Poi, all'improvviso e fuori di ogni previsione, è esploso un fenomeno nuovo che trova in Trump la sua espressione più piena, ma ha analoghi in tutto il mondo, da Bolsonaro a Salvini, da Orban a Erdogan. È il passaggio dalla story allo scontro, dall'intreccio alla trasgressione, dalla suspense al panico. Finiti i racconti capaci di ordinare gli avvenimenti, senza più eroi che fanno la storia, né storie in senso proprio, eccoci catapultati in un tempo in cui la vita politica è ritmata dallo shock.
Lo storytelling, ovvero l'arte di raccontare storie che utilizza i principi della retorica e dell'oratoria, nasce in contemporanea alla comparsa dell'uomo sulla terra, ma oggi viene spesso associato all'esercizio del potere. Il moderno homo politicus, costretto dalla rete e dai mass media a una continua ed esasperante esposizione, deve conoscerne ogni segreto e padroneggiarne le tecniche per sperare di emergere nella lotta politica nel "teatro della sovranità perduta". "Yes we can", "Lo mejor està por venir", "Le changement c'est maintenant" non sono solo slogan, ma incipit di storie che hanno conquistato un elettorato vorace di spettacolo. Nella Politica nell'era dello storytelling, Christian Salmon, che ha aperto un acceso dibattito sull'argomento, svela con gli ingranaggi della grande macchina narrante domandandosi se in questo nuovo circo mediatico non saranno proprio i governanti a fare la fine delle vittime sull'altare sacrificale della comunicazione.
Nella sua puntuale analisi storica, che parte dal 1861, Massimo Salvadori evidenzia tutte le distorsioni che hanno caratterizzato nel nostro Paese il rapporto tra forze di governo e forze di opposizione, impedendo il normale avvicendamento tra due schieramenti stabili e la reciproca legittimazione dei partiti. La transizione incominciata con gli anni Novanta e analizzata in dettaglio nella nuova edizione, pur registrando alcuni significativi passi avanti nel processo di normalizzazione del sistema politico, non può dirsi compiuta. L'anomalia italiana genera ancora i suoi velenosi frutti in un clima di rissosa guerriglia e reciproca delegittimazione.
Oggi viviamo più che mai in un'era di sacralizzazione della democrazia. Ma, mentre celebra i suoi trionfi, la democrazia è soggetta a così forti motivi di deterioramento da indurre a domandarsi se, sotto l'apparenza, non si celi una realtà che ne contraddice i principi e i presupposti istituzionali e sociali. Fatto è che le istituzioni degli Stati nazionali e la tradizionale divisione dei poteri non sono più in grado, come mostrato dagli eventi che hanno provocato la grande crisi economica del 2008, di regolare e controllare le decisioni dei centri di potere "irresponsabili" che presiedono alla produzione e all'allocazione delle risorse materiali, influiscono in maniera determinante sulla politica degli Stati, plasmano l'opinione pubblica, condizionano pesantemente i processi elettorali. Dopo aver indicato i tratti costitutivi delle varie forme di democrazia, l'autore si sofferma in particolare su tre tipi di regimi: il regime liberale non democratico, il regime liberaldemocratico fondato sui partiti di massa e radicato negli Stati dotati di piena sovranità sul loro territorio e a "economia nazionale", il regime liberaldemocratico nell'era dell'economia globalizzata, dell'indebolimento dei partiti, dell'avvento del cittadino "video-dipendente", dello svuotamento progressivo della sovranità degli Stati.
L'11 maggio 1831 il giovane aristocratico francese Alexis de Tocqueville sbarcò a New York, e da lì iniziò un viaggio per gli Stati Uniti terminato il 20 febbraio 1832. Il risultato delle sue osservazioni e riflessioni fu "La democrazia in America", la cui prima parte venne pubblicata nel 1835 e la seconda nel 1840. Il testo, scritto in una prosa superba, fece scalpore in Europa - ad essa l'autore aveva diretto il messaggio che, nel nuovo mondo, la democrazia aveva trovato un'attuazione straordinaria, rivelando una forza "irresistibile" destinata a raggiungere inevitabilmente anche le sponde europee. Tocqueville segnalò nelle sue pagine l'inizio di una nuova storia. Sennonché, al di là di questo vigoroso messaggio, si poneva e si pone tuttora la questione se negli Stati Uniti la democrazia si presentasse effettivamente con i tratti da lui descritti. Il saggio ripercorre l'analisi di Tocqueville concludendo che esse presentano per aspetti cruciali limiti assai significativi, in quanto delineano un'immagine dell'America che appare poco corrispondente, se non persino deviante rispetto a ciò che la società americana era nella sua realtà concreta. Di qui l'interrogativo: Tocqueville ha davvero capito l'America?
La democrazia - il potere, il governo, la sovranità suprema del popolo - ha sempre costituito, dalla Grecia antica in poi, un problema: circa il modo di intenderla, le sue possibilità di attuazione, i suoi lati positivi o negativi, il suo essere soprattutto un mito o anche una realtà. Dal Settecento in avanti non sono mai venute meno le aspre divisioni che hanno contrapposto i fautori della democrazia diretta ai sostenitori della democrazia rappresentativa. In queste pagine, uno dei maggiori storici della politica ci consegna un'opera con un duplice intento: da un lato ricostruire la storia del pensiero dei grandi filosofi politici classici - dall'età di Pericle a quella contemporanea - sul tema della democrazia e sui suoi dilemmi, dall'altro offrire una serie di riflessioni sui limiti e persino gli stravolgimenti che la sovranità popolare in quanto mito, potente ideologia, progetto astratto, ha conosciuto e non poteva non conoscere nelle sue molteplici attuazioni. A corollario di questo doppio livello di lettura, Salvadori mette a fuoco il processo di grave deterioramento che la democrazia liberale - proclamata trionfante dopo il crollo politico e morale del comunismo totalitario che aveva preteso di incarnare la "vera" democrazia - ha subito a partire dall'offensiva vittoriosa del neoliberismo iniziata alla fine degli anni settanta del secolo scorso, la quale ha spostato in maniera crescente il centro del potere decisionale dai singoli Stati alle grandi oligarchie finanziarie e industriali sovranazionali.
L'esperienza politica e di governo che ha avuto per protagonista Matteo Renzi può essere descritta come una parabola segnata da un'ascesa repentina e da una serie iniziale di successi, sfociata poi in una sonora sconfitta. Ma - è questa la domanda che tiene il campo - si tratta di una sconfitta irrimediabile? O può essere concepito un rilancio del riformismo italiano che veda ancora Matteo Renzi protagonista? Massimo Salvadori, storico e intellettuale, gene razionalmente alieno dalle smanie nuoviste del «rottamatore», decide inaspettatamente di prendere la penna per rivolgere a Renzi, in prima persona, una sorta di lettera pubblica, che interpella le prospettive del prossimo futuro. Alla lettera fa seguito un denso saggio che ricostruisce le premesse di scenario su cui l'esperienza del renzismo si è innestata, e ne ripercorre le tappe politiche, fino ad arrivare alla «madre» di tutte le riforme: la revisione del sistema costituzionale, approvata dal Parlamento, ma bocciata dal referendum.
La peculiare parabola di Massimo D'Alema - biografica, psicologica, politica disvela il senso profondo della crisi che ha colpito la sinistra italiana. Ha teorizzato il primato della politica e l'ha ridotta a puro tatticismo; voleva sbaragliare Berlusconi e lo ha fatto arricchire; idolatrava il partito e lo ha distrutto; ha partorito l'Ulivo e l'ha ammazzato in culla ("Prodi non capisce un cazzo di politica"); si proclama erede di Berlinguer ma si circonda di affaristi, coltivando passioni non certo popolari (le scarpe fatte a mano, Sankt Moritz, la barca a vela, gli chef stellati, gli abiti firmati). Ecco la storia di un uomo che spiega perché oggi la sinistra scambia la richiesta di politica per antipolitica, ritrovandosi senza più una storia e senza una nuova identità.
Questo libro avrebbe potuto chiamarsi "Il libro nero del Pd", ma forse avrebbe dato l'impressione di un brogliaccio qualunquista e antipolitico, come ce ne sono tanti. È invece un appassionato e amaro racconto di errori, di occasioni mancate, di false partenze che hanno caratterizzato la parabola e la crisi politica del partito. È un ragionamento che lascia poco spazio a illusioni e delusioni: il mancato ricambio di leader e dirigenti e l'assenza di prospettiva per le voci nuove hanno fatto risaltare ancora di più un clima interno torvo e velenoso. Il vivace dibattito dei cittadini e degli iscritti sul web è rimasto del tutto inascoltato. Lo Statuto del Partito democratico conta 11.225 parole, settecento più della Costituzione italiana. Sono state prodotte migliaia di pagine di documenti, programmi, statuti, manifesti, codici, regolamenti, carte dei valori e della cittadinanza alternativamente inutili o inapplicati. Una sovrastruttura normativa per coprire un vuoto di identità, organizzazione, coerenza, credibilità. La continua faida fra dirigenti Ds e Margherita, una guerra per bande, ha mostrato chiaramente che i militanti e i cittadini sono affezionati all'unità del partito molto più dei "colonnelli". A cosa porterà tutto questo? Alcune figure nuove stanno emergendo, e chiedono a gran voce una completa trasformazione: per constatarlo basta scorrere le pagine finali di questo libro. (Prefazione di Edmondo Berselli)
Altro che fine della politica, è proprio a questo punto del trionfo dell'individuo che si scopre che il mercato non basta. E' necessario che la politica ritrovi la forza di orientare lo sviluppo e di non subire l'egemonia di un vecchio pensiero liberista che ha fatto molte vittime anche a sinistra. Nel mondo delle interdipendenze non si può essere liberi da soli, senza gli altri o contro gli altri, ma solo in dialogo con gli altri.
Perché leggere la costituzione italiana? E perché viene così spesso evocata nei dibattiti politici e citata sulle pagine dei giornali, a volte senza neanche essere ben conosciuta? Che cosa hanno di speciale i dodici articoli con cui si apre? I principi e i diritti fondamentali che vi sono enunciati sono viva realtà? Nel settantesimo anniversario della sua nascita, una serie di brevi volumi illustra la straordinaria ricchezza di motivi e implicazioni racchiusa nei principi fondamentali della nostra costituzione ricostruendone la genesi ideale, ripercorrendo le tensioni del dibattito costituente, interrogandosi sulla loro effettiva applicazione e attualità. Come mai il diritto al lavoro compare tra i principi fondamentali della nostra costituzione, mentre nelle altre costituzioni europee è posto nella sezione dei rapporti economici? La risposta a questa domanda va cercata ricostruendo il dibattito e il ruolo delle diverse personalità dei protagonisti dell'assemblea costituente, e analizzando le culture politiche che in essa hanno prevalso, sintesi delle battaglie per il diritto del lavoro che si sono combattute in Europa tra settecento e novecento. Di fronte alle difficoltà attuali appare quantomai utile conoscere la genesi di questo principio e il tentativo della sua attuazione nelle conquiste della giuslavoristica italiana in materia di diritti del cittadino-lavoratore.

