
Questo libro è la saga di un popolo. Un libro di grande fascino storico che ci racconta chi sono i palestinesi, chi è il "palestinese", vale a dire l'identità palestinese. L'identità si svolge in tre momenti, in tre figure. Gente della Terrasanta è la prima figura e ci porta sino al XIX secolo; la seconda figura ci fa cogliere i palestinesi ai tempi del mandato britannico, il palestinese è invisibile; lo Stato di Israele è la terza figura. Contro i venti della storia, i palestinesi sono oggi tornati visibili ed è una responsabilità internazionale il loro diritto al ritorno e a un paese, visto che è stata una responsabilità internazionale l'averli resi invisibili.
Scrive l'autore che "...De Gasperi va fatto scendere dal piedistallo di marmo sul quale è stato posto e va calato tra noi, o quella giustizia che il tempo gli ha reso resterà nei libri di storia ma non sarà nella vita di oggi del Paese per aiutarci a capire come riprendere la via dello sviluppo". Di qui l'invito alla rilettura del grande statista da parte di quanti vogliano tornare a impegnarsi in una politica di ispirazione cristiana e al tempo stesso laica nell'assunzione delle proprie responsabilità, come fu per De Gasperi. Sangiorgi intreccia in un racconto serrato e ricco di retroscena inediti le tre chiavi di lettura della vita dello statista, l'amore per la famiglia, la fede religiosa e la passione politica. Il lavoro di ricerca è divenuto anche l'occasione per lo straordinario e singolare ricomporsi di un'antica e dolorosa frattura, tra De Gasperi e Giuseppe Donati, il primo direttore del Popolo.
La sua vittoria ha sorpreso un po' tutti. Mass media, esperti di sondaggi, intellettuali, politologi. Ha sorpreso, ancora di più, Hillary Clinton, la candidata democratica, che durante le primarie si diceva certa di poterlo sconfiggere. Sarebbe stata la prima donna della storia a diventare presidente degli Stati Uniti, ma non è andata così. L'America, lo sappiamo, è la terra delle opportunità. Forse è anche la nazione dove può accadere l'impensabile. Dal gennaio 2017, contro ogni previsione, alla Casa Bianca c'è Donald Trump. Per alcuni, l'american dream si è trasformato in un incubo. La sua presidenza, tra annunci choc, azzardi diplomatici e tweet al vetriolo, riserva sempre nuovi colpi di scena. Ma chi è davvero Donald Trump? Lo sprovveduto gaffeur poco avvezzo alle regole della politica o l'eccentrico miliardario che, nell'epoca della post-verità, dice finalmente le cose come stanno? Per poter dare una risposta, come ci suggerisce Sangiuliano in questo libro, occorre partire da lontano, dai momenti più significativi della sua biografia, a cominciare dalle origini della famiglia: nipote di un immigrato tedesco (il cognome, in principio, era Drumpf), figlio di un costruttore newyorkese che nei primi decenni del Novecento fece fortuna edificando palazzi nei quartieri popolari della Grande Mela, il giovane e irrequieto Donald frequenta prima l'accademia militare e poi l'esclusiva Wharton School, laureandosi in economia. Grazie allo straordinario fiuto per gli affari, l'ambizione smisurata e un'indubbia spregiudicatezza nel coltivare le relazioni che contano, riuscirà a creare un immenso impero immobiliare, diventando uno degli uomini più ricchi del mondo. In mezzo, ci sono gli scandali, i fallimenti, le copertine di «Time», i divorzi milionari, il successo in tv, il matrimonio con la giovane Melania... Nel raccontare la vicenda personale, imprenditoriale e politica di Donald Trump senza sconti e pregiudizi, Sangiuliano raggiunge un duplice obiettivo: mostrarci non solo le contraddizioni dell'America di oggi - sospesa tra neoisolazionismo, rigurgiti razzisti e lotta globale al terrorismo - ma anche la grave crisi di sovranità in cui sembrano precipitate le nostre democrazie.
Il 4 novembre 1980, con un risultato schiacciante, gli americani eleggono presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. È una valanga: Ronnie, come lo chiamano gli amici, vince in 45 Stati su 50; per il presidente uscente, il democratico Jimmy Carter, che chiedeva la rielezione, è un'umiliazione. Nonostante i numeri, l'ascesa di Reagan alla Casa Bianca è stata accolta con stupore: un ex attore di Hollywood, molto noto al pubblico televisivo, che assumeva la guida della più grande superpotenza planetaria? Si trattava di un azzardo pericoloso o di un evento in anticipo sui tempi? Quella di Ronald Wilson Reagan, in realtà, è una storia tutta americana. Nato a Tampico nel 1911, all'epoca una minuscola cittadina dell'Illinois, il piccolo «Dutch» - come viene soprannominato in famiglia per le linee paffute del volto - cresce nella regione geografica che è il cuore pulsante della nazione a stelle e strisce, il Midwest. Il padre è un cattolico irlandese senza un lavoro stabile e con il vizio dell'alcol, la madre una donna religiosissima, devota alla Chiesa dei discepoli di Cristo. Dopo la laurea in economia, Reagan approda a Hollywood quasi per caso e fa una discreta carriera nel mondo del cinema, fino a quando non scopre l'importanza dell'impegno politico, prima in qualità di presidente del sindacato degli attori (Screen Actors Guild) e poi come governatore della California dal 1967 al 1975 nelle file del Partito repubblicano, lui che da giovane aveva avuto simpatie per il democratico Roosevelt. La scalata al Grand Old Party era ormai tracciata. A quarant'anni dall'insediamento di Ronald Reagan alla Casa Bianca, Gennaro Sangiuliano dedica al presidente più popolare dell'America moderna una biografia dettagliata e avvincente, piena di informazioni, notizie e aneddoti. Se oggi gli anni Ottanta del Novecento sono ricordati come una stagione felice di benessere e di prosperità economica, lo si deve proprio a quella spinta di ottimismo, di pragmatismo e di modernizzazione che Reagan seppe imprimere agli Stati Uniti e di conseguenza a tutte le nazioni industrializzate dell'Occidente. Artefice, sul piano ideologico e culturale, della «rivoluzione conservatrice» e antistatalista che caratterizzò gli ultimi decenni del secolo breve, Reagan è anche il presidente degli Stati Uniti che ha sconfitto il comunismo sovietico - e vinto la Guerra fredda - «senza sparare un colpo», come dirà Margaret Thatcher. Guadagnandosi per sempre un posto nella Storia.
Quali sono oggi le idee e i principi identitari della sinistra? Una domanda alla quale è diventato impossibile rispondere: nessuna idea espressa negli ultimi anni sembra diversa da quelle della destra. Secondo Piero Sansonetti, però, non si tratta di una generale caduta delle ideologie: è un problema solo italiano, frutto di cinquant'anni in cui la sinistra si è disinteressata della riflessione politica dedicandosi a una "stalinista" quanto inutile corsa al potere, alleandosi con entità esterne alla propria vocazione - da Moro alle Brigate rosse, da Blair alla magistratura - per nascondere il proprio vuoto di idee e scegliendo di affidarsi a leader destinati a regalare il Paese a Berlusconi. Attraverso retroscena inediti, riflessioni provocatorie e perfidi ritratti dei dirigenti degli ultimi cinquant'anni, Sansonetti, dopo aver vissuto in prima persona la delusione di questa deriva, porta alla luce i mali storici del nostro riformismo: l'incapacità di governare, l'inadeguatezza nell'elaborare una nuova visione politica, il rifiuto di misurarsi con la propria storia. E spiegando le ragioni di una crisi d'identità mai così grave come oggi, intende mostrare da dove ripartire per costruire una nuova sinistra, finalmente in grado di rispondere alle sfide della modernità.
La cultura è stata vista di volta in volta nei termini di bellezza che rinfranca e nutre lo spirito, oppure come bene economico che arricchisce il nostro benessere materiale, o come base per lo sviluppo di molte industrie creative. Per Santagata, essa ha valore ai fini della qualità della vita, e identifica una società più libera dal bisogno economico e più aperta ai valori della solidarietà, della cooperazione e della fiducia. L'idea innovativa insita in questa visione è che la cultura "per" lo sviluppo non si appiattisce sui mercati e sulle loro regole egoistiche, ma ambisce a promuovere equità e giustizia sociale. Un libro che porta a compimento il lavoro di anni durante i quali l'autore, forte delle esperienze svolte come consulente dei ministeri della cultura italiano e francese, è giunto a formulare la sua proposta di nuovo "Ministero per la cultura".
Monza, estate 1988, una casa prende fuoco: è l'avvertimento della 'ndrangheta a un teste perché non riveli nulla al magistrato che già allora indagava sulle infiltrazioni mafiose al Nord. Milano, tribunale: il sostituto procuratore ascolta il dramma di una ragazza tenuta per anni in schiavitù, sfruttata e prostituita. E poi San Marino: un luogo caratteristico e ameno per tanti, ma non per i Pm di Forlì che indagano sull'evasione fiscale e per questo ricevono silenziose pressioni e velate minacce. La vita quotidiana dei magistrati è fatta di tante storie come queste. La scelta di battersi in nome della legge comporta rischi, paure e rinunce, quasi sempre sconosciuti all'opinione pubblica. In questo libro, Lionello Mancini dà voce a cinque toghe e alle loro storie di caparbietà, lotta, fatica e ideali forti, offrendoci allo stesso tempo un quadro esaustivo del mondo giudiziario italiano, utile a comprendere cosa significhi oggi, in questo Paese, lottare ogni giorno per un po' di Giustizia. Prefazione di Giuseppe Pignatone
Il testo si qualifica come apporto costruttivo di pensiero e azione in merito all'impegno responsabile - teoretico e pratico, personale e comunitario - dell'essere umano e, nello specifico, del cristiano, nell'attività sociale, particolarmente nella vita politica. Le due parti contenutistiche profilano quei connotati strutturali che caratterizzano l'identità e la missione della vita socio-politica, resi concreti dalla feconda testimonianza che emerge nella relazione vissuta tra don Giuseppe Dossetti ed il cattolicesimo democratico. L'ampiezza di visione che scaturisce dal realismo della dimensione sociale del Vangelo e l'approfondimento propositivo offerto dai singoli contributi qui raccolti, insieme alla conclusione che riflette sul binomio politica e spiritualità, e alla postfazione dedicata al rapporto Chiesa-poveri e alla prossimità agli ultimi, riescono a evidenziare l'itinerario necessario perché si incarni creativamente una genuina e coraggiosa amicizia sociale autenticamente inclusiva, rispondendo, attraverso il vero sviluppo della fraternità universale, alla domanda posta dal titolo del volume.
L'impetuosa crescita economica della Cina, l'eredità dei neocon, le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria, le tensioni costanti in Africa e nel continente eurasiatico, le crescenti conflittualità religiose, i poderosi flussi migratori, il collasso delle istituzioni e delle pratiche multilaterali, le trasformazioni tecnologiche, l'internazionalizzazione dei mercati e le tempeste finanziarie. Questo libro cerca non tanto di definire cosa sia la Globalizzazione, quanto di dar conto dei diversi tentativi di farlo, tratteggiando una mappa di questo mondo nuovo. Un disegno in cui è possibile riconoscere alcune tendenze di fondo. L'impulso alla frammentazione, innanzitutto: la riscoperta delle identità particolari che si scontra con un orizzonte imperiale. Come sarà il nuovo nomos della Terra? Potrà assumere la forma di un vasto mercato planetario, di un'immensa zona di libero scambio, oppure di un mondo in cui i grandi blocchi continentali svolgono un ruolo regolatore nei confronti della Globalizzazione stessa, preservando la diversità degli stili di vita e delle culture, unica vera ricchezza dell'umanità. Sullo sfondo quella che Norman Podhoretz ha definito la «quarta guerra mondiale», iniziata l'11 settembre e tuttora in corso: una guerra multiforme, tanto militare quanto economica, finanziaria, tecnologica e culturale.
«Non ho mai guardato agli eventi dal punto di vista dei governi, sempre con gli occhi dei più umili, di chi ne paga il prezzo in prima persona.» Davanti alle tragedie collettive degli ultimi mesi Michele Santoro sente il bisogno di lanciare un grido d'allarme contro l'orrore che ci lascia ormai indifferenti. In questa sconvolgente e appassionata denuncia non fa sconti e sottopone a una feroce critica tutte le grandi contraddizioni che ci hanno condotto sull'orlo del baratro: una democrazia bloccata da una politica inconcludente e impreparata, che non vede alternative se non affidarsi a tecnici e cavalieri salvifici; la parabola del populismo che ha mostrato tutti i suoi limiti nella disfatta del Movimento 5 Stelle, che pure era emerso come forza dirompente in grado di smuovere le acque di una politica insensibile ai problemi dei cittadini; un'informazione ormai megafono della propaganda, da cui è bandito non solo il dissenso ma qualsiasi interrogativo, e che si riduce a inseguire e ingigantire questioni pretestuose, senza incidere sulle sorti del paese. Un j'accuse che chiama in causa tutti, per ridare un senso alla parola «democrazia» ripartendo dalle domande giuste.
Il volume-guida del seminario di formazione per i giovani studiosi di Comunione e Liberazione.