
Sono vent'anni che, in Italia, la politica del patrimonio culturale si avvita sulla diatriba pubblico-privato: brillantemente risolta socializzando le perdite (rappresentate da un patrimonio in rovina materiale e morale) e privatizzando gli utili, in un contesto in cui le fondazioni e i concessionari hanno finito per sostituire gli amministratori eletti, drenando denaro pubblico per costruire clientele e consenso privati. Ma cosa ha significato, in concreto, la "valorizzazione" (o meglio la privatizzazione) del patrimonio? Quali sono la storia e i numeri di questa economia parassitaria, che non crea lavoro dignitoso e cresce intrecciata ai poteri locali e all'accademia più disponibile? Ed è vero che questa è la strada seguita nei grandi paesi occidentali? Tomaso Montanari risponde a queste e altre domande spiegando perché non ci conviene distruggere il governo pubblico dei beni culturali basato sul sistema delle soprintendenze: un modello che va invece rafforzato e messo in condizione di funzionare, perché è l'unico che consente al patrimonio di svolgere la sua funzione costituzionale. Che è quella di renderci più umani, più liberi, più uguali.
È il paradosso della nostra epoca: non si può non essere contro se si ama davvero la vita. Quanto più grande è il nostro amore per gli uomini e per le cose belle di questo mondo, tanto più grande è il desiderio di cambiarlo, il mondo. Perché questo «sistema sociale ed economico» non è più compatibile con i diritti umani. Con l’esistenza stessa dell’uomo su questo pianeta. Ci vuole il coraggio di vederlo, e di dirlo. Un coraggio che avevamo, e che abbiamo perduto quando ci siamo fatti convincere che diventare adulti significa accettare il mondo così com’è. Il piccolo libro che state per leggere è l’invito a una ribellione intellettuale ed emotiva: un invito a liberare la parte di noi che è rimasta fedele alle aspirazioni, alle convinzioni, all’etica di quando eravamo bambini. L’obiettivo di una sinistra che voglia cambiare il mondo non è il potere sulla società, ma il potere nella società: il potere, dato a tutte e tutti, di salvare la propria vita dal do-minio del mercato. Il potere nei luoghi di lavoro, nelle lotte per le donne, per la difesa dell’ambiente, il potere della conoscenza e del pensiero critico aperto a tutti.
Mai come oggi il nono dei dodici principi fondamentali che tratteggiano il volto della Repubblica ha goduto di fortuna e consenso popolare: oggi che esso è di fatto negato da leggi e politiche. Nel 1948 la Costituzione ha spaccato in due la storia della cultura e della ricerca scientifica italiane, assegnando a spiagge e montagne, a musei, università e chiese una missione nuova al servizio del nuovo sovrano: il popolo, cioè noi tutti. La storia dell’arte è in grande parte la storia del potere di re e papi, granduchi e tiranni, principi e banchieri. Ma il progetto della Costituzione ha cambiato questa storia, dando parole nuove a una tradizione secolare che suggeriva che proprio l’arte e il paesaggio fossero leve potenti per rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza e permettere il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3).
Come si impara a essere cittadini, in Italia? Sono fondamentali la famiglia, la scuola; ma da millenni qualcos'altro ci educa a essere quello che siamo, ci lega al nostro passato e ci permette di costruire il nostro futuro: questa cosa si chiama "patrimonio culturale", ed è l'altra lingua degli italiani. Ne fanno parte il paesaggio, le opere d'arte, le biblioteche, gli archivi, i siti archeologici... Chi lo ritiene "il petrolio d'Italia", un magazzino di oggetti da affittare al magnate di turno o da svendere nell'ennesima mostra-evento, è un nostro nemico: ci sta togliendo un bene primario come l'aria, ci sta privando di un diritto fondamentale, come la salute o l'istruzione. Per questo, dopo aver denunciato i disastri della politica culturale italiana nelle "Pietre e il popolo", Tomaso Montanari scrive un libro sull'Italia possibile, su un progetto di comunità basato sulla cultura, su ciò che potrà essere la Repubblica italiana quando sapremo render finalmente concreto l'attualissimo disegno della Costituzione. "Istruzioni per l'uso del futuro" è un piccolo alfabeto civile: ventuno idee che ci mostrano come per trasformare un paese non bastano le nostalgie o le indignazioni ma servono responsabilità e conoscenza.
"A questo punto non avevo scelta. O rassegnarmi a diventare il megafono di Berlusconi. 0 andarmene. Me ne vado." Questo scriveva Indro Montanelli nel suo ultimo articolo per "il Giornale". Così, nel gennaio 1994, l'uomo che vent'anni prima aveva fondato quella testata lasciò la poltrona da direttore per imbarcarsi nella sua ultima grande battaglia: quella contro una destra nella quale non si riconosceva e che, a suo parere, era il nemico numero uno di chiunque avesse a cuore la libertà d'espressione. Questo libro raccoglie in modo organico gli interventi più accesi degli ultimi anni d'attività di Montanelli: editoriali, risposte ai lettori e articoli sferzanti che oggi suonano come una profezia della cronaca dei nostri giorni. Basta leggere cosa scriveva nel 1998, quando, preoccupato che il caso Berlusconi paralizzasse il Paese, proponeva un referendum con questa formula: "Volete voi l'abrogazione dei reati in base ai quali è stato condannato l'on. Silvio Berlusconi?" 0 ancora quando metteva alla berlina i difetti del Cavaliere: bugiardo congenito, con un'innata tendenza al vittimismo, circondato da un drappello di parassiti servili, eccessivo, ignorante, volgare. La metastasi del berlusconismo oggi è più evidente di allora e, anche se Indro non c'è più da dieci anni, questo suo atto d'accusa delinea il ritratto dell'Italia dei nostri giorni, un Paese che Montanelli non ha fatto in tempo a vedere, ma che si era perfettamente immaginato. Prefazione di Massimo Fini.
Gli europei vorrebbero essere forti come se l'Europa fosse unita, ma senza cedere neanche una parte della propria sovranità nazionale, come se l'Europa unita non esistesse affatto. Questa contraddizione è diventata inaccettabile. Le derive della finanza e l'indebitamento sono solo un aspetto della crisi economica, che ha fatto emergere in tutta la loro ampiezza l'interdipendenza e le fratture che caratterizzano la democrazia in Europa. Anche per questo è istruttivo rileggere Tocqueville, autore di un'opera capitale sulla democrazia in America. Per Tocqueville, da secoli, il cammino verso l'uguaglianza è inarrestabile. È un processo che porta a costruire, per mezzo del libero concorso delle volontà, una democrazia che sia opera del popolo, in cui gli europei possano scegliere insieme i loro governanti, e al tempo stesso al servizio del popolo, cioè finalizzata al benessere di tutti. Questo libro invita ad anteporre la retta comprensione dei nostri interessi agli istinti più ciechi, a scoprire le profonde affinità che legano gli europei, a ritrovare la fiducia in noi stessi. Ricordando che per guidare l'Europa oltre la crisi occorre "guardare lontano".
I posti di lavoro improduttivi "ostacolano la creazione di posti produttivi e perciò impediscono a molti giovani di trovare un impiego". La "solidarietà falsa" è quella "erogata con modalità che causano minori investimenti, maggiore inflazione, minore crescita, costi per le generazioni future", mentre il Trattato di Maastricht "non pone limiti alla possibilità di erogare solidarietà vera: dare ad alcuni oggi togliendo ad altri oggi, non togliendo alle generazioni future". "Se respingiamo l'idea di voler competere" con i Paesi più produttivi "perché non siamo disposti a inseguire troppo l'efficienza a scapito della solidarietà, senza volerlo prepariamo l'Italia a un futuro di disoccupazione". Ma non occorre abbandonare i valori profondi della nostra società: "basta affidarne l'attuazione a strumenti che non ostacolino troppo l'efficienza del sistema produttivo". Queste frasi provengono da articoli scritti da Mario Monti per il "Corriere della Sera" nel 1993, ma potrebbero essere utilizzate per spiegare la sua azione attuale di presidente del Consiglio. Derivano infatti da una visione generale - quella dell'"economia sociale di mercato" - che ha sempre guidato il pensiero e l'azione di Monti: da economista, da commissario europeo, da tecnico chiamato a fermare la corsa dell'Italia (e dell'Europa) verso l'abisso della crisi. Questo libro raccoglie gli interventi più significativi di Monti dal gennaio 1992 alla presentazione del decreto "salva-Italia" nel dicembre 2011.
In Italia, in vari paesi europei e negli Stati Uniti, la democrazia di stampo liberal-democratico pare entrata in una fase di crisi profonda, assimilabile a un'agonia. Si deve ormai parlare di Demagonia. È la conseguenza di troppi anni di governi molli, che hanno inseguito il consenso immediato e facile, accantonando i problemi e rinviando le scelte impegnative. La demagonia, però, non è irreversibile. Per arginarla e respingerla occorre una politica seria, fatta da politici responsabili, disposti anche a perdere le elezioni. Occorre che i cittadini-elettori siano più consapevoli ed esigenti. Pie illusioni, sogni? No di certo! Si tratta invece di condizioni essenziali per la sopravvivenza dell'Europa e dell'Italia. Nel nuovo contesto geopolitico, se la politica continuerà a creare e cavalcare illusioni, a operare per i propri interessi e non per quello generale, l'Italia e l'Europa diventeranno periferie di stati totalitari, perdendo indipendenza, sicurezza, libertà, valori, identità, benessere. Sulla base delle sue esperienze di governo - prima di una grande università, poi come Commissario europeo e infine come Presidente del Consiglio italiano in un momento particolarmente critico per il nostro Paese - Mario Monti offre il suo contributo di esperienza e di visione in una fase di sfida decisiva per il futuro delle nostre società e delle prossime generazioni.
Gli europei vorrebbero essere forti come se l'Europa fosse unita, ma senza cedere neanche una parte della propria sovranità nazionale, come se l'Europa unita non esistesse affatto. Questa contraddizione è diventata inaccettabile. Le derive della finanza e l'indebitamento sono solo un aspetto della crisi economica, che ha fatto emergere in tutta la loro ampiezza l'interdipendenza e le fratture che caratterizzano la democrazia in Europa. Anche per questo è istruttivo rileggere Tocqueville, autore di un'opera capitale sulla democrazia in America. Per Tocqueville, da secoli, il cammino verso l'uguaglianza è inarrestabile. È un processo che porta a costruire, per mezzo del libero concorso delle volontà, una democrazia che sia opera del popolo, in cui gli europei possano scegliere insieme i loro governanti, e al tempo stesso al servizio del popolo, cioè finalizzata al benessere di tutti. Questo libro invita ad anteporre la retta comprensione dei nostri interessi agli istinti più ciechi, a scoprire le profonde affinità che legano gli europei, a ritrovare la fiducia in noi stessi. Ricordando che per guidare l'Europa oltre la crisi occorre "guardare lontano".
Nelle società contemporanee emergono insieme sia la fatica sia l'esigenza di riconoscersi entro efficaci rappresentazioni pubbliche e di trovare una sintesi nella rappresentanza democratica. Movimenti sociali di diversa natura e ispirazione, inclusa quella religiosa, assumono un ruolo nuovo, spesso decisivo. Gli studi raccolti in questo volume affrontano questa complessa relazione tra politica, società e religione, mettendo al centro le forme concrete in cui tale complessità cerca espressione per contribuire al dibattito sul possibile futuro della rappresentanza politica in società sempre più plurali.

