
In quarantatre anni di servizio militare Fabio Mini è venuto a contatto diretto con tutti gli apparati di sicurezza del mondo. Ha avuto il Mediterraneo come area di responsabilità quando è stato capo di stato maggiore della Nato del sud Europa, ha percorso i luoghi della sicurezza cinese e del suo "mediterraneo", ha comandato un corpo internazionale di pace nei Balcani. Avrebbe potuto raccontare il Mediterraneo con un memoriale, oppure con un saggio storico-politico. Si sarebbe forse compiaciuto nel ricordare il passato ma non sarebbe stato stimolato a capire il futuro. In questo libro ha utilizzato perciò la propria esperienza per scoprire qualcosa che chi scrive di geopolitica in genere trascura: l'influenza della guerra, dei mezzi della guerra, della storia della guerra sulle vicende dei popoli e delle terre in cui vivono. La scoperta è banale e sorprendente al tempo stesso: il Mediterraneo non è un mare e non ha una frontiera liquida che si può espandere a piacimento. È un insieme di terre, popoli e culture diverse impregnati di sentimenti e atti di guerra. Basta guardarsi intorno per vedere i segni indelebili delle guerre, da quelle puniche a quella post-nucleare. E sorprendente perché unendo l'ottica militare a quella socio-politica si scoprono le ragioni delle infinite guerre mediterranee e i possibili sviluppi di quelle a cui stiamo assistendo.
E' possibile districarsi nel labirinto del sistema pensionistico italiano alla vigilia di una nuova riforma che ancora non ha stabilito i propri obiettivi e che comunque ha già posto una severa ipoteca di fattibilità con l’idea del reddito di cittadinanza e il taglio delle cosiddette pensioni d’oro? Riusciamo a comprendere le decisioni che stanno per essere adottate in materia previdenziale quando siamo “immersi in un magma puteolente nel quale non si distingue il vero dal falso, il lecito
dall’illecito, il necessario dal superfluo, chi guadagna e chi perde”? Fabio Mini, il più acuto pensatore militare italiano, cambia apparentemente campo
di indagine – prefigurando in questi provvedimenti i presupposti di una guerra di classe dagli esiti imprevedibili – e affonda il suo bisturi in una materia da
decenni incandescente poiché appannaggio delle politiche elettorali invece di essere guidata dalla ricerca del bene comune e dell’armonia sociale.
Denso di dati contabili e demografici stringenti, il testo, sorretto da una prosa chiara e pungente, si allarga via via fino ad aderire a pieno titolo ai canoni dei
più alti saggi morali: “Il pensionato non è un peso, ma una risorsa” dice Mini e “Se si vuole instaurare un sistema pensionistico giusto, equo e meritocratico
si deve cominciare col sanare tutte le situazioni di iniquità pregresse e ridare fiducia nel futuro facendo materializzare una prospettiva che non sia di
povertà, restrizioni, elemosine, sussidi immeritati e conflitto per tutti, ma che premi il merito, le responsabilità e l’onestà di una vita di lavoro e servizio con
l’assicurazione di una vecchiaia serena”.
Sull’onda dei nazionalpopulismi, l’unità europea, che ci ha garantito settant’anni di pace, è a rischio di estinzione. E questo potrebbe essere l’inizio di molti drammatici danni. Un salto nel buio che non ci possiamo permettere.
«La differenza tra la sinistra e il nazionalpopulismo consiste proprio in questo: la sinistra ascolta, mentre i populisti fanno finta di ascoltare, quando invece il loro unico obiettivo è di tenere incatenata la gente alle proprie paure.»
Parte da questa convinzione la riflessione di Marco Minniti, ex ministro dell’Interno e da oltre vent’anni ai vertici degli apparati di sicurezza e di intelligence del nostro Paese. Anni fondamentali e difficilissimi, in cui si è trovato a gestire, in particolare nei sedici mesi al Viminale, eventi epocali di portata internazionale, come la forte ondata migratoria successiva alle primavere arabe, il consolidamento dello Stato islamico e la stagione dei feroci attacchi terroristici in territorio europeo, la crisi libica con le sue ancora attuali conseguenze. E poi, sul versante interno, l’emergenza sicurezza nelle grandi città, la lotta alla criminalità organizzata, il caso emblematico di Ostia e di altri comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Non è possibile garantire la sicurezza rinunciando alla libertà: barattare la seconda in cambio della prima significa innalzare pericolose barriere, dimenticando che la connessione del mondo è ormai irrefrenabile. L’idea del confine come separazione dagli altri crea società chiuse. Sull’onda dei nazionalpopulismi, l’unità europea, che ci ha garantito settant’anni di pace, è a rischio di estinzione. E questo potrebbe essere l’inizio di molti drammatici danni. Un salto nel buio che non ci possiamo permettere.
Ludwig von Mises, l’autore di questo libro, è stato uno dei grandi liberali del Novecento. Figlio della Grande Vienna, è stato maestro di Friedrich A. von Hayek e di tanti altri giovani che, dopo la Grande Guerra, si sono trovati a cercare un orientamento culturale e politico. In fuga dal nazismo, Mises si è dapprima rifugiato a Ginevra e poi a New York. In nome dello Stato fa parte degli scritti del periodo ginevrino, che precede e segue di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale. È uno straordinario documento, tramite cui è possibile “rileggere” uno dei momenti più tragici della storia d’Europa. È un testo agile, in cui una prosa nitida e diretta getta luce sull’incubazione del nazismo, sui suoi legami con la cultura interventistica dei prevalenti circoli accademici tedeschi. Dopo la conquista del potere da parte di Lenin, Mises aveva mostrato come l’impossibilità del calcolo economico, in regime di pianificazione, avrebbe portato al crollo del comunismo. Ed è toccato a lui fornirci una delle più immediate e penetranti analisi del nazismo, che non è stato una “terza soluzione” fra capitalismo e comunismo. La cooperazione sociale si può svolgere in maniera volontaria: la via intrapresa dalle società libere. E si può svolgere in maniera coercitiva: con la pianificazione comunista o con un generalizzato sistema di interventi autoritativi. Nel caso dell’interventismo, la proprietà privata non viene formalmente soppressa, ma viene svuotata di contenuto: mediante una fitta trama di provvedimenti amministrativi, la libertà di scelta individuale e l’allocazione competitiva delle risorse vengono soppresse. È esattamente quanto ha fatto il nazismo, che ha perciò avuto una base economica congruente con la sua ideologia totalitaria. La vicenda hitleriana non è una figlia, sia pure illegittima, del liberalismo. È un prodotto di quell’avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, che è il tratto comune di tutti i membri della famiglia del totalitarismo. Il libro di Mises ha una grande utilità. Non serve solo a spiegarci il perché delle gravissime tragedie del Novecento. Esso ci aiuta pure a porre in chiaro le conseguenze economiche, sociali e politiche di ogni tipo di interferenza del potere pubblico. E rende in tal modo trasparente quel che si cela dietro molte delle “pratiche” politiche del nostro tempo. L’interventismo è la malattia professionale di governanti, militari e burocrati. I governi sono liberali solo quando sono costretti dai cittadini.
A trent'anni dalla firma del Trattato di Maastricht, e in un contesto strategico in rapida evoluzione, l'attenzione pubblica per l'UE come attore internazionale continua a crescere, così come la domanda per un suo ruolo più incisivo sulla scena regionale e globale. Ma che tipo di «potenza» è l'Europa? Questo volume ripercorre le tappe più importanti della diplomazia e dell'azione esterna dell'UE. Accanto al ruolo di NATO e Stati Uniti sono ricordate le posizioni via via assunte dai principali paesi e leader europei, le azioni condotte dall'Unione (comprese le operazioni militari), e le sfide che le si presentano oggi, in un contesto internazionale molto più ostile: esse richiedono più coesione in materia di diplomazia, più coerenza in materia di sicurezza e più complementarità in materia di difesa.
Una sintesi completa che ripercorre la storia dell'idea di Costituzione dall'antichità ai giorni nostri. Dall'ordinamento della "politeia" greca e dalle nozioni romane di "constitutio" e "status rei publicae" al cammino altomedievale della parola e del concetto, il discorso si dipana in una dettagliata analisi delle fonti, mettendo in luce il processo per cui si potè giungere alla piena affermazione del significato "attuale" di Costituzione. La parte dedicata ai due ultimi secoli, e in particolare alle teorie del costituzionalismo moderno (inglese, nordamericano e francese), esamina il legame tra la Costituzione e la storia, come pure gli intrecci tra Costituzione e libertà. Si evidenziano per questa via i caratteri tipici delle Costituzioni del XIX-XX secolo.
Nello "Scontro delle civiltà" Samuel Huntington aveva previsto che, dopo la guerra fredda, a originare la maggior parte dei conflitti non sarebbero state divergenze ideologiche o economiche, ma scontri culturali. In "Geopolitica delle emozioni" Dominique Moïsi dimostra che dopo l'11 settembre il mondo è diviso da fratture ancora più profonde. Oggi, spiega Moïsi, la situazione geopolitica è segnata da uno "scontro delle emozioni": a plasmare il mondo contemporaneo sono la paura, l'umiliazione e la speranza. In questi anni, sia gli Stati Uniti sia l'Europa sono stati dominati dalla paura dell'"altro", dal timore di perdere la propria identità, dalla mancanza di un progetto. I due pilastri dell'Occidente, invece di ritrovare unità per superare queste difficoltà, si sono scontrati duramente sulla maniera migliore per combatterle. I paesi arabi, e in generale il mondo musulmano, continuano a recriminare per le ingiustizie subite nel corso della storia, si sentono esclusi dai benefici della globalizzazione e soffrono per le dispute e per gli scontri civili e religiosi che dai loro paesi raggiungono la diaspora musulmana: quella che era una cultura dell'umiliazione rischia di trasformarsi in una cultura dell'odio. Nel frattempo, l'Asia è riuscita a concentrarsi sulla costruzione di un futuro migliore: rilevando il testimone da un Occidente dominato dall'America, si fa portavoce della cultura della speranza.
Cos'è accaduto ai Democratici americani negli anni del lungo dominio di George Bush? Quali idee muovono il mondo della sinistra statunitense? Con quale proposta politica si presenteranno allo scontro per la vita e per la morte delle elezione presidenziali del novembre 2008? E infine, sarà davvero Hilary Clinton il candidato per la Casa Bianca? Sono alcune delle domande a cui risponde questa indagine nel mondo politico e intellettuale della sinistra americana, all'inizio di quello che sarà il decisivo anno elettorale.
«Per comprendere nella loro complessità le trasformazioni e le contraddizioni che segnano i primi vent'anni del XXI secolo abbiamo scelto di sovrapporre geografia, infografica e analisi dei dati sui grandi temi con i quali Stati nazionali, popoli, aziende globali, movimenti, leader politici e singoli cittadini devono misurarsi per trovare una rotta e orientarsi in questo oceano in serrato divenire». Da sempre il nostro mondo è percorso da mutamenti e metamorfosi, tanto sul piano geopolitico quanto sul fronte economico e sociale. Mai però la velocità e la frequenza di tali trasformazioni ha raggiunto l'intensità di cui siamo testimoni dall'inizio del secondo millennio. Nasce da questa consapevolezza, e dall'urgenza di tratteggiare con chiarezza e approfondire le grandi tendenze in atto, l'idea di questo libro: uno strumento antico, quello delle mappe, unito alla più avanzata cartografia e alla ricerca sui dati per offrire al lettore la descrizione del mondo che cambia. Individuando otto linee della trasformazione in corso - dai conflitti veri e propri a quelli latenti, dall'emergenza climatica alla ferita delle discriminazioni razziali, dalle diseguaglianze sociali al vento populista-sovranista, passando per il fenomeno migratorio, l'urgenza della parità di genere e l'emergenza sanitaria legata all'esplodere delle epidemie - Maurizio Molinari descrive il mutamento e ne anticipa le conseguenze profonde. E lo fa con l'acutezza dell'osservatore esperto e la lucidità del giornalista, mettendo a punto uno strumento prezioso per chiunque voglia esplorare, come un pioniere che traccia la sua rotta, l'orizzonte che sta prendendo forma. Che vuole essere compreso per poter essere governato, e in cui ognuno di noi ha il dovere di fare la propria parte.
L'invasione russa dell'Ucraina è il momento di frattura dell'ordine internazionale scaturito dalla fine della Guerra fredda. Il conflitto innescato da Vladimir Putin nel cuore dell'Europa accelera un mutamento che sconvolge il mondo in cui viviamo, fa emergere in maniera brutale come sul pianeta vi siano quattro grandi attori, le cui caratteristiche e capacità sono a tal punto superiori rispetto al resto della comunità internazionale da poter rispolverare, come propone Maurizio Molinari, la definizione di imperi, reali o potenziali. Russia, Unione europea, Stati Uniti e Cina popolare: una partita fra vecchie e nuove grandi potenze, ognuna con un'identità, una genesi storica, degli interessi e un orizzonte assai peculiare, ingaggiate in una sfida per la leadership globale che non ha più connotati solo economici e diplomatici, ma anche militari. Maurizio Molinari, da sempre attento osservatore della politica internazionale e profondo conoscitore delle dinamiche in atto, ci aiuta a capire quali esiti può avere questo confronto, spiegandoci, anche con lo strumento delle mappe, la portata dei mutamenti a cui stiamo assistendo e la minaccia che incombe sulla sicurezza di tutti noi, europei in primis. Con un focus sul ruolo dell'Italia sul nuovo scacchiere del Mediterraneo allargato che va delineandosi. Perché il conflitto in Ucraina non costituisce solo il ritorno della guerra nel Vecchio Continente, ma offre una rappresentazione drammatica della sfida tra democrazie e autocrazie, che solo una attenta analisi come quella offerta in queste pagine può permetterci di comprendere a pieno. Nella consapevolezza che quelli a venire saranno anni difficili e di tensione crescente, per far fronte a una minaccia che tutti, leader e opinioni pubbliche, hanno il dovere di comprendere per poter poi disinnescare. Con le mappe che spiegano il mondo che verrà.
Se volete sapere perché i bianchi hanno scelto di votare per un nero, come fanno i neri a emanciparsi dal complesso della schiavitù, in che maniera si possa immaginare un modello di sviluppo basato sulle energie alternative e qual è la ricetta per garantire sicurezza e libertà, allora dovete visitare la terra di Barack Hussein Obama, il 44° presidente degli Stati Uniti. Un paese in grande trasformazione, così come le stanze del potere che lo governa. Un'America che sembra far suo quel tutto è possibile che avvicina le differenze, non tiene conto delle ideologie, governa con pragmatismo, si mobilita contro la crisi economica proponendo riforme strutturali. E che mette tutti alla prova. Chiedendo agli europei, che negli anni di George W. Bush denunciavano Abu Ghraib e Guantanamo, di immaginare assieme nuovi codici per difenderci dai kamikaze in abiti civili. Chiedendo agli arabi e ai musulmani di lasciarsi alle spalle il vittimismo e l'odio antioccidentale. Chiedendo a Russia e Cina di essere attori responsabili della stabilità del pianeta. Chiedendo a popoli e leader del Terzo Mondo di partecipare a pieno titolo alla lotta all'inquinamento, senza delegarla solo ai paesi più industrializzati. Sfide difficili: proprio quelle che Obama sta sostenendo in America e che riguardano anche noi molto da vicino.
"Aggrediti dalle diseguaglianze, sorpresi dai migranti, flagellati da imposte e corruzione, bisognosi di protezione e sicurezza, feriti dalla globalizzazione, inascoltati dai partiti tradizionali e rafforzati nella capacità di esprimersi dall'avvento dell'informazione digitale, gli italiani con le elezioni del 4 marzo 2018 hanno reagito consegnando le proprie sorti al primo governo populista dell'Europa occidentale, con il risultato di innescare un domino di eventi sul Vecchio Continente dalle conseguenze imprevedibili. Questo libro tenta di rispondere alla domanda su come tutto ciò sia potuto accadere in Italia, con una rapidità travolgente e un'accelerazione di sapore rivoluzionario in uno dei paesi più moderati dell'Occidente." Maurizio Molinari ha percorso il nostro paese in lungo e in largo, incontrando di persona il disagio, le paure e le speranze degli italiani, per raccontare i motivi di una rivolta che ha sorpreso l'Europa e ha cambiato radicalmente i connotati della vita pubblica.

