
"Il Nagorno Karabakh è ancora una volta un paese dell'Islam e riacquista il suo posto all'ombra della Mezzaluna" annunciava trionfante Recep Tayip Erdogan, mentre nella piccola enclave che è stata la culla della cultura armena, il popolo che per primo abbracciò il cristianesimo nel 301 e che fu sterminato nel 1915 dai turchi, si avviava a un nuovo esodo. Tre mesi prima, il presidente turco aveva riconvertito a moschea la Basilica di Santa Sofia a Istanbul in una riedizione della conquista di Costantinopoli del 1453. Intanto, la Turchia pianificava la costruzione di moschee in Europa più alte delle nostre chiese, a Strasburgo, a Colonia, ad Amsterdam. Perché "l'Europa sarà musulmana, se Allah vuole", come dichiarano i dirigenti del Partito per la giustizia e lo sviluppo di Erdogan, impegnato anche in una reislamizzazione della Turchia che fu laica tramite le scuole religiose, la censura intellettuale e la scristianizzazione di decine di luoghi di culto che risalgono ai tempi degli Apostoli.
Piero Calamandrei nacque alla politica attiva dopo il 25 luglio del 1943. Nel 1944 la sua nomina a Rettore dell'Università di Firenze riconobbe ufficialmente non solo il suo prestigio accademico ma anche e soprattutto il ruolo che aveva sostenuto con coerenza lungo tutto il ventennio fascista. Membro autorevole del Partito d'Azione dal giugno 1944, Calamandrei partecipò con passione al duro dibattito politico che si aprì fra i partiti antifascisti all'interno del CLN e fra il CLN, il Governo Badoglio, la Corona e gli Alleati. Dal 1944 al settembre del 1956, data della sua prematura scomparsa, egli fu dunque uno dei principali protagonisti della fondazione del nuovo Stato democratico italiano. La vittoria della Repubblica e la sollecita elezione di una Costituente nella quale si esprimesse la piena sovranità popolare furono le due fondamentali battaglie che Calamandrei condusse sia sul terreno politico che su quello istituzionale: battaglie che furono, poi, seguite dall'impegno che egli profuse nell'Assemblea Costituente su temi fondamentali quali l'ordinamento giudiziario, la laicità dello Stato e la forma di governo della nuova Repubblica.
A due anni dal battesimo elettorale la Margherita è giunta a un bivio: o riesce a caratterizzarsi sul terreno programmatico oppure il suo destino politico è legato alle sorti del leader di turno. Pur senza disperdersi in una singolare ricerca dell'identità, è sempre piú necessario contribuire al rafforzamento politico dell'Ulivo attraverso l'apporto della Margherita. Nel programma della Margherita e, soprattutto, nella definizione della sua identità politica e culturale, il rapporto con l'area del cattolicesimo democratico italiano assume un'importanza decisiva in vista del rafforzamento della cultura riformista alternativa alla destra. Giorgio Merlo è giornalista Rai presso la sede regionale del Piemonte.
La "sinistra sociale" ha rappresentato un'esperienza importante nella storia democratica del nostro paese. Un'area politica e culturale riconducibile alla tradizione del cattolicesimo sociale che si è sempre caratterizzata sul terreno della difesa e della promozione dei ceti popolari, dei ceti meno abbienti e dei lavoratori. Prima, e a lungo, nella Democrazia Cristiana con la corrente di Carlo Donat-Cattin e di Franco Marini, e poi in alcuni partiti che sono succeduti alla fine della Dc. Ma l'irrompere di una nuova e persino drammatica questione sociale nel nostro paese ripropone la necessità di una rinnovata "sinistra sociale" di ispirazione cristiana: per la sua storica sensibilità ai temi sociali e, al contempo, per la sua capacità di delineare un progetto politico partendo dalle domande e dalle istanze dei ceti popolari. In questo libro si evidenziano il profilo politico e culturale della nuova "sinistra sociale", le sue radici ideali, la necessità di una classe dirigente che provenga dall'associazionismo cattolico e sociale e, soprattutto, l'impegno in un partito che consenta a questa esperienza di dispiegare sino in fondo la sua potenzialità. Un progetto che si rende necessario, dopo l'infausta stagione populista, anche per rilanciare la nobiltà, la funzione e il ruolo della politica nella società contemporanea. Prefazione di mons. Vincenzo Paglia.
Un nuovo partito di ispirazione cristiana? Correnti organizzate all'interno dei partiti? Oppure continuare a garantire una partecipazione nella società civile senza porsi il problema di una rinnovata presenza politica? Dalla risposta concreta a queste domande si gioca anche il destino politico e culturale dei cattolici italiani. Questo perché oggi persiste un progressivo «spaesamento» dei cattolici rispetto all'attuale contesto politico. Dove tra partiti personali, anti politica, demagogia e populismo le culture politiche - e nello specifico quella cattolico-democratica e cattolico-sociale - sono destinate ad essere sacrificate sull'altare di una maldestra modernità. La recente riflessione del presidente della Cei, cardinal Gualtiero Bassetti, ha giustamente evidenziato come nel nostro paese c'è un problema legato alla «rappresentanza politica dei cattolici» pur senza entrare nel dettaglio o nelle singole modalità organizzative. E questo problema è destinato a segnare e a condizionare l'evoluzione della politica italiana. La presente pubblicazione affronta, in modo snello e sintetico, tali temi lasciando aperti possibili esiti. Che dipendono dalle circostanze politiche, dalle dinamiche elettorali e dal dibattito culturale che ci saranno nel nostro paese. Ma anche, e soprattutto, dal «coraggio» che i cattolici italiani sapranno mettere in campo nel rapporto con la politica per ricostruire un vero «bene comune». Che resta la migliore eredità della tradizione del cattolicesimo politico italiano.
Come fare uscire dall'irrilevanza politica e culturale l'area cattolica italiana? È, questa, una riflessione centrale che interpella non soltanto l'impegno pubblico dei cattolici ma anche, e soprattutto, la qualità della democrazia italiana. Se il pluralismo politico dei cattolici è un dato largamente e storicamente acquisito, è altrettanto vero che l'assenza della tradizione e del pensiero cattolico popolare e sociale nel nostro paese impoverisce l'intera politica. E questo non solo per una ragione strettamente legata alla storia politica e democratica del nostro paese, ma anche perché il nuovo ed aggressivo bipolarismo italiano non può cancellare una presenza che ha contribuito, sin dal secondo dopoguerra, ad accompagnare e consolidare il cammino della nostra democrazia. Tocca ai cattolici, adesso, che hanno una spiccata vocazione alla politica e all'impegno pubblico, riscoprire le ragioni fondanti di una tradizione che continua ad essere attuale e moderna nonché fortemente contemporanea. Una cultura che si rende necessaria anche per rilanciare quella "politica di centro" che resta una risorsa straordinaria ed indispensabile per la salute del sistema politico italiano.
Quando si parla di «responsabilità pubblica» o «dovere istituzionale», di «burocrazia» o «corruzione», ci si imbatte in una serie di parole certo largamente utilizzate, ma secondo un significato spesso troppo semplificato, non di rado mal compreso, in alcuni casi stravolto. In un'epoca di grandi mutamenti quale quella che stiamo affrontando, il rischio di una svalutazione della dimensione etica che deve guidare a ogni livello l'azione delle istituzioni e la condotta di ciascuno di noi è certo molto concreto. Nasce da qui l'esigenza di un ideale lessico per le istituzioni, che illustri agli specialisti, al mondo dei funzionari pubblici e a ogni cittadino quanto ampio e profondo sia il messaggio etico racchiuso in alcune parole «antiche», come queste ultime si siano arricchite di contenuti nuovi - grazie anche all'impulso offerto dall'Autorità nazionale anticorruzione - e come, per il loro tramite, possano inquadrarsi alcune sfide cruciali per il futuro del nostro vivere democratico. Prefazione di Raffaele Cantone.
In questi anni di crisi dei partiti, di assenze di ideologie, di disaffezione dalla politica, di successo di Grillo e dell'anti-politica, cosa ne è della Costituzione italiana? È un trattato ormai dimenticato, un manifesto astratto di bei valori di cui a nessuno interessa più nulla, o un riferimento importante per affrontare ogni giorno la vita politica? L'inviato culturale del "Corriere della Sera" ne parla con alcuni tra gli esponenti politici più influenti e più lucidi del panorama italiano. Tutti "scottanti" gli argomenti all'ordine del giorno: il problema dell'equilibrio dei poteri, il ruolo della magistratura, il federalismo fiscale e i rapporti tra cittadino ed economia, i rapporti tra Stato e Chiesa, i diritti del cittadino e i nuovi diritti, dalla privacy ai problemi posti dalle nuove frontiere della biomedicina, il pacifismo.
Che ne è stato dei servizi segreti italiani, di quell'apparato d'intelligence che ha attraversato come un'oscura filigrana la recente storia d'Italia, proiettando la propria ombra sopra gli episodi irrisolti del nostro passato, dal rapimento Moro alla bomba di piazza Fontana, dalla stagione dello stragismo a quella della trattativa tra Stato e mafia? Sono scomparsi o hanno semplicemente cambiato pelle? Piero Messina, giornalista d'inchiesta, è riuscito a raggiungere alcuni agenti e funzionari italiani per anni impegnati nelle attività del nostro sistema di sicurezza. Quello che ha raccolto è un sorprendente coro di voci che va ben oltre il semplice registro della cronaca. Questa, infatti, non è la storia dei servizi segreti in Italia, ma il racconto dietro le quinte dei meccanismi che hanno confezionato false verità, delle inconfessabili dinamiche di gestione del potere e di una contabilità statale al di sopra di ogni sospetto e al di sotto di ogni tracciabilità. E che hanno condannato il nostro Paese a uno stato di insicurezza permanente.
Fiorentino, direttore generale della Rai dal 1961 al 1974 e fondatore della casa di produzione cinematografica Lux Vide, Ettore Bernabei è stato uno dei grandi maestri del giornalismo e della televisione italiana. Ha scoperto volti noti, tra cui Enzo Biagi e Umberto Eco, e ha lavorato con Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giorgio La Pira ed Enrico Mattei, orientandone scelte e strategie. Appena ventiseienne, da direttore del quotidiano «Il Popolo», ha dato vita a uno straordinario sodalizio intellettuale tra i leader dei quali condivideva filosofia e politica. Partecipando, da fervente cattolico, a battaglie e sconfitte della Democrazia cristiana, ha incantato subito il partito. Mosso da un autentico interesse per il bene comune, Bernabei vedeva la sua carriera come una missione e ricopriva il suo ruolo con modestia, prudenza e risoluzione. In mezzo secolo di permanenza nella cabina di regia del potere non ha mai smesso di tenere un diario quotidiano, in cui si intersecano giudizi perentori, ritratti, dubbi e testimonianze eccezionali, dalle lotte interne alla DC fino ai giorni del rapimento di Moro e allo scontro con le forze laiche nella stagione del referendum sul divorzio. A cento anni dalla nascita, questi scritti vengono pubblicati in una raccolta inedita che attraversa il secondo Novecento italiano, in cui Bernabei delinea che cos'è davvero la politica e le dinamiche che la governano, annotando eventi e indiscrezioni di un Paese giovane invecchiato troppo velocemente, dove però il potere era ancora sinonimo di privilegio, sacrificio e servizio per la comunità.
La singola persona e il potere delle istituzioni sociali e politiche sono i poli in tensione di ogni ordine sociale. Qual è il ruolo della società e dello stato? Quali sono le condizioni della libertà della persona? Frank S. Meyer risponde con una sintesi dichiaratamente filosofica delle verità presenti in modo peculiare nel crogiolo della civiltà occidentale la cui massima gloria è l'affermazione del valore trascendente della persona, ciò che fonda e orienta la sua libertà. Questo è il lascito che il conservatore deve preservare, approfondire e sempre purificare. Tre saggi scelti, a carattere biografico, storico e filosofico, di alcuni fra i suoi maggiori alleati intellettuali delineano la figura e integrano la riflessione di un uomo coraggioso e complesso, interprete e difensore dell'Occidente.
L'autore segue lo sviluppo del pensiero giuridico e politico di Preuss fin dagli anni '80 del XIX secolo, rapportandolo ai dibattiti coevi all'interno delle scienze del diritto e dello stato nonché alle trasformazioni che contrassegnarono la storia sociale, politica e costituzionale tedesca a cavallo fra i due secoli. Attraverso l'opera di Preuss viene così presentata un'originale lettura del contraddittorio processo di democratizzazione sfociato in Germania nell'esperimento weimariano. Il rigore e la passione con cui Preuss fece oggetto di riflessione politica negli ultimi anni della sua vita una democrazia in costruzione e continuamente esposta alla minaccia del disfacimento fanno di lui una figura emblematica.

