
Con questo libro, ripubblicato in una nuova edizione rivista e ampiamente aggiornata dall'autore, il linguista e scienziato cognitivo George Lakoff si è imposto all'attenzione del grande pubblico raccontando come nasce e si afferma un pensiero di destra o di sinistra, a partire dalle parole che usiamo ogni giorno. È illuminante leggere la trama profonda che si nasconde dietro molte espressioni diventate di uso comune: «padroni a casa nostra», «politica degli sgravi fiscali», «ondata migratoria»... Ognuna di queste, infatti, rimanda a una struttura o cornice (frame lo chiama l'autore) che rappresenta un'idea di mondo, in politica e non solo. La mente, spiega Lakoff, funziona metaforicamente. Sono tantissimi gli esempi che l'autore riprende dalla vita quotidiana, dai discorsi dei politici, mostrando come un linguaggio populista, intollerante e intriso di retorica possa diventare vincente. La vera sfida è nelle parole. Una politica diversa, dalle tasse al riscaldamento globale, dalla salute all'istruzione, può nascere solo attraverso parole diverse e da un modo di esprimersi più diretto, non reattivo ma propositivo. Perché "Non pensare all'elefante!" significa questo: non usare le stesse parole dei tuoi avversari, o finirai con l'evocare le stesse idee, rinforzandole. Questa nuova edizione offre al lettore una guida e numerose applicazioni pratiche, un utilissimo strumento per chiunque abbia a cuore la cosa pubblica e desideri contribuire a un cambiamento, con convinzione e competenza. Prefazione di Gianrico Carofiglio.
I leader populisti non usano parole a caso, sanno quali reazioni provocheranno nel nostro cervello. In questo libro il linguista e scienziato cognitivo George Lakoff chiarisce i meccanismi attraverso cui il linguaggio politico influenza le nostre scelte. La mente, spiega l'autore, funziona metaforicamente. Ogni parola rimanda a una cornice (o frame) che rappresenta un'idea di mondo. È sorprendente scoprire quanto sia autoassolutoria l'espressione "cambiamento climatico" rispetto a "riscaldamento globale"; come "sgravio fiscale" veicoli l'idea che le tasse siano un inutile fardello; o le metafore "ondata" e "invasione", associate ai migranti, contribuiscano a rovesciare i termini del problema. La vera sfida è nelle parole. Se si vuole imporre una visione diversa da quella intollerante e populista, bisogna smarcarsi da quel lessico e definire nuovi quadri di riferimento ideali. Significa questo "Non pensare all'elefante!": non usare le stesse parole dell'avversario, o si finirà per veicolare le stesse idee. Prefazione di Gianrico Carofiglio.
L'immigrazione e l'asilo: una grande sfida per sistemi politici ancora basati sulla sovranità nazionale.Nei confronti di immigrati e rifugiati, gli Stati alzano la voce, dichiarano la chiusura delle frontiere, pretendono conformità alla cultura nazionale. Nei fatti però, sia pure a fatica, norme sui diritti umani e attori della società civile puntano all'accoglienza e all'allargamento di spazi di "cittadinanza dal basso".
«Non ho mai guardato agli eventi dal punto di vista dei governi, sempre con gli occhi dei più umili, di chi ne paga il prezzo in prima persona.» Davanti alle tragedie collettive degli ultimi mesi Michele Santoro sente il bisogno di lanciare un grido d'allarme contro l'orrore che ci lascia ormai indifferenti. In questa sconvolgente e appassionata denuncia non fa sconti e sottopone a una feroce critica tutte le grandi contraddizioni che ci hanno condotto sull'orlo del baratro: una democrazia bloccata da una politica inconcludente e impreparata, che non vede alternative se non affidarsi a tecnici e cavalieri salvifici; la parabola del populismo che ha mostrato tutti i suoi limiti nella disfatta del Movimento 5 Stelle, che pure era emerso come forza dirompente in grado di smuovere le acque di una politica insensibile ai problemi dei cittadini; un'informazione ormai megafono della propaganda, da cui è bandito non solo il dissenso ma qualsiasi interrogativo, e che si riduce a inseguire e ingigantire questioni pretestuose, senza incidere sulle sorti del paese. Un j'accuse che chiama in causa tutti, per ridare un senso alla parola «democrazia» ripartendo dalle domande giuste.
Il racconto segue gli avvenimenti di Genova, giorno per giorno, ora per ora. Ci restituisce l'atmosfera, la passione, la paura dei poliziotti e dei manifestanti, dei capi di stato e dei cittadini. L'autrice non nasconde la sua indignazione per la violenza della polizia (soprattutto durante l'irruzione notturna alla scuola Diaz), ma ricostruisce tutte le posizioni in campo.
A cura di Cristina Guarnieri
Le parole di Mujica, come sempre, toccano al cuore il lettore e gli parlano dei temi più roventi dei nostri tempi: dalle barche dei migranti che naufragano nel Mediterraneo ai problemi legati al cambiamento climatico, dal terrorismo islamico alla diffusa perdita di fiducia nel discorso politico e all’avanzare dei movimenti xenofobi di destra. Con la sua ineguagliabile semplicità, “el Pepe” si rivolge a tutti – in particolare ai giovani – e ci invita ad avere coraggio, a cercare un nuovo senso della vita, a osare l’impensabile, a lottare per la felicità umana.
JOSÉ PEPE MUJICA (Montevideo, 1935)
José “Pepe” Mujica è stato Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015 ed è diventato famoso in tutto il mondo per l’originalità del suo stile politico e della sua vita: da guerrigliero Tupamaro a capo di Stato, ha inaugurato una politica rivoluzionaria in favore dei diritti civili. Il suo libro La felicità al potere, ripubblicato nel 2016 da Castelvecchi, ha riscosso un grande successo di pubblico e di critica.
Quanto pesa l’eredità sulle nostre possibilità di successo? Quanto guadagna un manager rispetto a un’operaia? Quanto si mette in tasca l’1% più ricco del nostro paese? E quanto la metà più povera? In queste pagine si attinge agli studi più recenti e di frontiera per raccontare le disuguaglianze economiche in Italia: dall’esplosione dei divari tra lavoratrici e lavoratori all’immobilità sociale estrema, dalle diverse conseguenze dei cambiamenti climatici su ricchi e poveri al ritorno della ricchezza e dell’eredità ai livelli di fine Ottocento. Non dismettendo gli strumenti del dibattito accademico, si mostrano le ingiustizie che queste disuguaglianze rappresentano: non solo delineando quante sono, ma anche comparandole con quelle di altri paesi e periodi storici.
Con l'elezione di Francesco a vescovo di Roma il tema del rapporto tra cattolici e politica ha ricevuto una nuova attenzione, nella scia del Vaticano II. In una delle sue omelie Francesco afferma: "I cittadini non possono disinteressarsi della politica. Nessuno di noi può dire: 'Ma io non c'entro in questo, loro governano'. No, no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso". La politica - dice la Dottrina Sociale della Chiesa - è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. "Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa!". Questo libro aiuta a riflettere sulle sfide, per i cattolici, nel realizzare giustizia e pace nel mondo sociale e politico.
Molti si sono convinti che il nostro welfare è un lusso, che mantenendo certe conquiste sociali abbiamo "vissuto al di sopra dei nostri mezzi", e che è ora di ridimensionarci. Ma siamo sicuri che sia l'unica alternativa possibile? Siamo davvero sicuri che l'Europa è in declino perché statalista e assistenziale? Chi lo ha detto che lo Stato sociale deve essere smantellato?
Non avremo mai uno sviluppo solido e un'Italia più civile se nel Mezzogiorno non ci sarà una svolta e non si avvierà una crescita capace di autosostenersi. Nella difficilissima congiuntura presente non è più possibile sottrarsi a un interrogativo che vale il nostro futuro: perché non abbiamo saputo sciogliere il nodo del mancato sviluppo meridionale? Uno dei più attenti conoscitori del nostro Sud risponde che il problema non è economico e non dipende dalla carenza di aiuti, bensì dall'incapacità della classe politica locale di creare beni e servizi collettivi. La scarsa cultura civica, quel familismo amorale che proprio al Sud è stato "scoperto", non è soltanto il retaggio di una storia remota, ma anche il frutto di ieri e di oggi, lasciato marcire dalla politica locale tollerata dal centro. Come spezzare questo circolo vizioso? Contro una visione salvifica del federalismo e un malinteso autonomismo, bisogna porre vincoli severi all'uso clientelare della spesa e delle politiche locali attraverso un controllo più stringente da parte dello stato centrale e dell'Unione europea.
Sembra che il mantra del 'non c'è alternativa' sia destinato a dominare i nostri modi di pensare. Non c'è alternativa alle politiche di austerità, al giudizio dei mercati, alla resa al capitale finanziario globale, alla crescita delle ineguaglianze. Non c'è alternativa alla dissipazione dei nostri diritti e delle nostre opportunità di cittadinanza democratica. In nome di un realismo ipocrita, la dittatura del presente scippa il senso della possibilità e riduce lo spazio dell'immaginazione politica e morale. L'esito è un impressionante aumento della sofferenza sociale. Abbiamo un disperato bisogno di idee nuove e audaci, che siano frutto dell'immaginazione politica e morale. Che non siano confinate allo spazio dei mezzi e chiamino in causa i nostri fini.
In questo nuovo pamphlet, scritto alla vigilia della sua morte nel febbraio 2013, Stéphane Hessel riflette sui fenomeni di protesta che avevano trovato nelle pagine del suo celebre "Indignatevi!" la loro spinta ideale. Approfondendo le motivazioni che avevano ispirato quel fortunato appello, venduto in oltre quattro milioni di copie, in questo suo nuovo scritto Hessel si rivolge a quei movimenti che in tutta Europa hanno fatto della protesta la loro ragione d'essere, invitando vecchi e nuovi "Indignati" a non farsi incantare da pericolosi populismi: "Indignarsi non basta. Se qualcuno crede che per cambiare le cose basti manifestare per le strade, si sbaglia. E necessario che l'indignazione si trasformi in un vero impegno". È un invito alla società civile, e in particolare ai giovani, a una rinnovata partecipazione attraverso quelle istituzioni che in una democrazia sono un indispensabile tramite tra il potere e i cittadini: i partiti politici. Hessel non ha dubbi: "I partiti politici tradizionali si sono chiusi troppo in se stessi... Se volete che le cose cambino, il lavoro deve essere fatto con l'aiuto dei partiti. Perfino con i loro difetti, le loro imperfezioni, le loro insufficienze... Bisogna infiltrarsi nelle loro strutture per cercare di cambiarne il funzionamento dall'interno". Il padre della protesta spontanea degli "Indignados" invita insomma a non farla degenerare nell'anti-politica.

