
A partire dal secolo scorso la successione generazionale non è più un processo di sostituzione "dello stesso con lo stesso" ma diventa un rimpiazzare "qualcosa con qualcosa d'altro": la distanza che separa i gruppi di età non è più una distanza meramente anagrafica ma una distanza culturale e politica. Gran parte del '900, che ha coltivato una vera e propria ideologia della giovinezza, è contrassegnata da movimenti politici giovanili e nuove forme di aggregazione sociale basate sull'età, che tentano di definire un nuovo spazio politico. Ma anche i valori politici più tradizionali si trovano di fronte al problema di essere legittimati e accettati dalle nuove generazioni perché a esse viene delegato il compito fondamentale di riprodurre e trasformare la società. La generazione insomma è vissuta come un attore politico capace di cambiamento. Ma cosa fa di una generazione un motore di innovazione? Qual è il legame di generazione? Il breve testo di Karl Mannheim, originariamente pubblicato in Germania nel 1928, è unanimemente riconosciuto come l'architrave per chiarire la natura del legame sociale che unisce gli individui in un insieme generazionale e la natura della sua specificità. Il testo da cui tutto è cominciato.
Alla freccia lanciata dalla prima pagina di “Repubblica” – con lo stratagemma retorico di una lettera al figlio che, terminati gli studi, viene invitato a lasciare il Paese e cercare lavoro all’estero –, segue questo agile saggio, in cui Pier Luigi Celli ripercorre le polemiche infuocate provocate dalla sua sortita, sincera, in relazione a un problema molto serio: il futuro dei nostri figli. Il direttore generale della Luiss, la prestigiosa università di Confindustria ci parla dell’Italia di oggi. E lo fa analizzando con competenza, ironia e consapevolezza anche molto critica le regole che governano il lavoro, quelle che determinano l’accesso al lavoro, e ancora quelle che riguardano la formazione: gli studi e il sistema di trasmissione del sapere e del potere, un pamphlet caldo e leale su molti vizi e poche virtù. Celli trova che l’attuale classe dirigente manchi di onore ed è profondamente perplesso sul futuro socioeconomico del nostro Paese, attualmente non vede nulla all’orizzonte. Dopo anni di battaglie per il cambiamento, la sua diagnosi è radicale: “Se avessi vent’anni, me ne andrei all’estero”. Il mondo è per fortuna vasto e meraviglioso: che male c’è a volerlo conoscere?
Attraversando la storia della moderna filosofia politica, come pure la storia del diritto pubblico e la storia politico-istituzionale tedesca, Carl Schmitt ha apportato alla cultura europea del Novecento un blocco di pensiero tra i più potenti e controversi. Questo volume ne offre una interpretazione complessiva soffermandosi sui concetti chiave di sovranità, decisione, eccezione, rappresentazione e - collocandola nella tradizione del pensiero politico e giuridico moderno e contemporaneo da Hobbes a Hegel, da Clausewitz a Nietzsche, a Heidegger, da Kelsen a Heller - definisce con chiarezza la posizione di Carl Schmitt all'interno del dibattito su liberalismo e democrazia, politica e tecnica, politica e guerra, secolarizzazione. Ciò che Galli restituisce con chiarezza al lettore è la complessità di un pensiero provocatorio nel quale coesistono grandezza e miseria, forza conoscitiva e tentazione autoritaria.
Carlo Galli insegna Storia delle dottrine politiche nell'Università di Bologna ed è direttore della rivista "Filosofia politica". Con il Mulino ha fra l'altro pubblicato: "Spazi politici. L'età moderna e l'età globale" (2001), "Multiculturalismo. Ideologie e sfide" (a cura di, 2006), "Lo sguardo di Giano. Saggi su Carl Schmitt" (2008) e "L'umanità multiculturale" (2009).
"Muori Sansone con tutti i filistei!" È a Gaza che la Bibbia colloca il celebre episodio in cui il guerriero ebreo perde la vita fra le macerie insieme ai nemici: il popolo dei filistei che dà il nome alla Palestina moderna. È da Gaza che il 7 ottobre 2023 hanno sconfinato le milizie di Hamas per compiere in Israele il più terribile massacro di ebrei dal tempo della Shoah. È sugli abitanti di Gaza che il governo Netanyahu ha scatenato una sanguinosa offensiva militare con il risultato di screditare la reputazione di Israele e isolarlo come mai prima d'ora. Gaza, insomma, oltre che un luogo è diventata il simbolo di una contesa che assume nel mondo dimensione culturale e morale. Gad Lerner si misura con il fanatismo identitario che ha contagiato i due popoli in guerra. Da ebreo per il quale Israele ha significato salvezza, deve fare i conti con l'esclusivismo e il tribalismo della destra sionista. Le spaccature della società israeliana, il rinchiudersi in se stesse delle Comunità ebraiche della diaspora, che si sentono incomprese e lanciano accuse di antisemitismo a chi solidarizza con i palestinesi, lo riportano alle domande cruciali che già si poneva Primo Levi: che futuro può avere questo Israele? Che funzione può esercitare il filone ebraico della tolleranza? Un libro sincero e necessario per non finire arruolati negli stereotipi delle opposte fazioni, preludio di ogni guerra.
Questo libro ha preso forma nei primi mesi della tragedia abbattutasi su quella che, come gridano le coscienze ancora avvertite, "non è una Striscia, è Gaza!". Esso risente della progressiva comprensione dei fatti via via che accadevano, ma viene anche da una lunga frequentazione con la cosiddetta "questione palestinese", che lo Stato di Israele ha creduto di aver chiuso rendendo impossibile la soluzione dei due Stati e sancendo che «il diritto di esercitare l'autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è esclusivamente per il popolo ebraico». Ciò significava negare l'esistenza stessa del popolo palestinese. Se questo è il risultato, vuol dire che tale "questione" va risolta in tutt'altro modo, a partire da una riforma dello Stato di Israele e del suo rapporto con gli Ebrei della Diaspora.
Israele viene solitamente descritto come un'isola democratica in mezzo a un oceano oscurantista e Hamas come un esercito di belve assetate di sangue. La storia sembra tornare al XIX secolo, quando l'Occidente perpetrava genocidi coloniali in nome della sua missione civilizzatrice. I suoi presupposti essenziali rimangono gli stessi: civiltà contro barbarie, progresso contro intolleranza. Accanto alle dichiarazioni di rito sul diritto di Israele a difendersi, nessuno menziona mai il diritto dei palestinesi a resistere a un'aggressione che dura da decenni. Ma se in nome della lotta all'antisemitismo viene scatenata una guerra genocida, sono i nostri stessi orientamenti morali e politici a offuscarsi. A uscirne minati sono i presupposti della nostra coscienza morale: la distinzione tra bene e male, oppressore e oppresso, carnefici e vittime. L'attacco del 7 ottobre è stato atroce, ma deve essere analizzato e non solo condannato. E dobbiamo farlo chiamando a raccolta tutti gli strumenti critici della ricerca storica. Se la guerra a Gaza dovesse concludersi con una seconda Nakba, la legittimità di Israele sarebbe definitivamente compromessa. In tal caso, né le armi americane, né i media occidentali, né la memoria distorta e oltraggiata della Shoah potranno riscattarla.
«Fra i molti sensi, molti uomini non sono riusciti a sviluppare quello del ridicolo. Forse è quello che è accaduto agli incidentali protagonisti di questa digressione storica e contemporanea che abbiamo narrato».
"Caro risparmiatore, i suoi soldi sono i nostri. Pertanto non ce li chieda, perché noi li facciamo girare nel nostro interesse. Nel caso non fosse soddisfatto del servizio, non importa: tanto non ci troverà. Siamo nell'era del mondo liquido, dei servizi immateriali, dei call center". Non sarebbe meglio se ce lo dicessero così chiaramente, invece di illuderci con pubblicità da Baci Perugina? Almeno uno lo sa. Lo sa. Quelle che ci mancano in realtà sono le informazioni, è la conoscenza. Noi andiamo sulla fiducia, loro sulla nostra ignoranza. Loro sono il GangBank: un sistema di saccheggio instaurato dalle élite - colossi bancari, fondi d'investimento, agenzie di rating, multinazionali - che controllano la finanza globale. Dilagano come orde barbariche mosse da una sete inestinguibile, non limitandosi ad applicare le loro spietate strategie, ma spacciandole addirittura per interventi salvifici. L'Italia è un tragico esempio. Per venticinque anni è stata un perfetto terreno di caccia. Con il beneplacito di politici complici, interessati, spesso inetti, il modello sociale e imprenditoriale italiano - che il mondo ci invidiava - è stato indebolito e smantellato. Al grido, ripetuto come un mantra da media e politici, di "il pubblico è male, il privato è bene", "siamo troppo spreconi" e "ce lo chiede l'Europa", ci siamo indebitati, abbiamo perso il lavoro, i diritti, le tutele sociali e democratiche. I danni ormai sono così gravi che non si può fingere di non vederli. GangBank è un atto d'accusa senza sconti, che non ha paura di fare i nomi dei colpevoli e di svelarne i misfatti. Ma è anche uno sprone a informarsi e tutelarsi e un appello alla riscossa. A riprendersi, con l'arma della democrazia, tutto quello che ci spetta di diritto.
Il G8 continua a rimanere una ferita aperta nel cuore della nostra convivenza civile e democratica. Ci sono domande a cui una sentenza di tribunale non può dare risposta. Lucarelli ricostruisce nel volume i giorni di Genova, dando la parola a protagonisti e testimoni. E analizza le prime sentenze, i cui dispositivi sono riportati integralmente. Nel DVD, scena per scena, il racconto televisivo del G8. C'erano tante telecamere a Genova in quei giorni, tanti registratori, tanti telefonini. Praticamente ogni momento è stato documentato da più angolazioni. Le immagini, i suoni si possono interpretare ma ci sono e restano. E quando sono così, pongono domande che richiedono risposte, con decisione, senza paura e pubblicamente. In una democrazia, i panni sporchi, quando ci sono, non si dovrebbero lavare in casa.
“Gli italiani si trovano davanti a sfide nuove. Dovranno ridefinire il senso del loro stare insieme come nazione davanti a fenomeni giganteschi ed epocali. Ci troviamo di fronte a un grande movimento storico che non dobbiamo subire ma di cui dobbiamo essere protagonisti attivi. E voi, ragazzi nati con il crollo del Muro di Berlino, dovrete essere in prima fila.”
La caduta del Muro di Berlino ha cambiato la vita degli europei, a Est come a Ovest. Nel ventesimo anniversario, Gianfranco Fini prende spunto da quell’evento epocale per analizzare i radicali cambiamenti che il mondo ha vissuto negli ultimi anni e puntare lo sguardo su un futuro ancora da costruire. Crollate le barriere e venute meno le grandi opposizioni ideologiche, è finalmente diventato possibile lavorare per una nuova libertà, piena e allargata: risultato cui si può puntare solo affrancandosi dalla pesante eredità delle vecchie ideologie, per interpretare il mondo secondo codici nuovi, trovando punti di vista originali. È proprio per questo che il presidente della Camera si rivolge, qui, ai ventenni di oggi, la prima generazione di italiani ed europei ad aver vissuto davvero in un’epoca di libertà, democrazia e possibilità. Sono loro che, alleati in un nuovo patto generazionale con i loro padri e fratelli maggiori, hanno il compito di raccogliere le sfide da vincere: perché la libertà possa essere un bene sempre più esteso e diffuso. Sfide che coincidono con i temi caldi del dibattito politico attuale: dalla questione sociale all’immigrazione e alla coesione nazionale; dalla crescita dell’Unione europea alla necessità di mettere di nuovo la persona al centro dei processi economici e politici. Per ognuno di questi temi Fini propone idee e spunti di riflessione che, proprio perché liberi dai vincoli di ideologie arroccate e passatiste, suscitano ogni giorno appassionati dibattiti.
L'Italia ha bisogno di un ponte solido tra società e politica e lo vuole. Per costruirlo occorre un pilone centrale che può essere costituito dalle piccole imprese, dalla loro volontà di essere finalmente protagoniste. Forse è un sogno, ma del genere di quelli su cui si può scommettere. Se i sogni sono condivisi possono realizzarsi.
Repentini crolli di fatturato e produzione, conflitti con le banche, fino a drammi personali: la crisi dell'imprenditoria è cronaca di tutti i giorni. E se, invece, la piccola impresa fosse la grande risorsa per il futuro dell'Italia? Giangiacomo Nardozzi si rivolge agli oltre trecentomila piccoli imprenditori del nostro Paese che rappresentano un 'saper fare' vivace e creativo ammirato nel mondo e che proprio per questo potrebbero assumere un peso che non hanno mai avuto nel discorso politico. Sarebbe una gran bella svolta, e non solo per l'economia.
Quale futuro immagina Giovanni Berlinguer per il suo partito, per noi, per le relazioni tra le persone? Un futuro nel quale si ricomincia a parlare dei problemi veri della gente e della nostra civiltà: l'etica, le questioni della vita umana, della convivenza, dello sviluppo sostenibile, la crescita dell'istruzione e della scienza, i grandi temi della distruzione delle ricchezze e del riequilibrio dei poteri tra i popoli e le classi. Una società nella quale ciascuno abbia tutte le opportunità per realizzarsi e per accrescere le proprie libertà. E' questo il nuovo orizzonte del socialismo. Il socialismo è un'idea ancora attualissima, per i suoi meriti storici e per il contenuto che porta con sé.