
La situazione della giustizia in Italia è peculiare. Da un lato si assiste a una dilatazione del ruolo dei giudici, dall'altro a una crescente inefficacia del sistema giudiziario. Molti osservatori concordano sul fatto che la magistratura sia diventata parte della governance nazionale; che vi sia una indebita invasione della magistratura nel campo della politica e dell'economia; che in qualche caso la magistratura cerchi persino di prendere il posto della politica, controllando anche i costumi, oltre ai reati, proponendosi finalità palingenetiche delle strutture sociali, stabilendo rapporti diretti con l'opinione pubblica e con i mezzi di comunicazione. In questo contesto, le procure hanno acquisito un posto particolare, tanto che molti esperti parlano di una 'Repubblica dei PM', divenuti un potere a parte, con mezzi propri, che si indirizzano direttamente all'opinione pubblica, avvalendosi della 'favola' dell'obbligatorietà dell'azione penale, utilizzando la cronaca giudiziaria come mezzo di lotta politica e trasformando l'Italia in una 'Repubblica giudiziaria'.
«Devi "stare dove bisogna stare". Così mi ha detto un'amica poche ore dopo aver perso suo padre mentre lei era in mezzo al mare a salvare le vite delle persone migranti. "Dove bisogna stare", perché c'è sempre un luogo dove una crisi umanitaria si sta consumando, dove le violazioni dei diritti umani sono costanti. La mia amica si chiama Cecilia Strada, suo padre si chiamava Gino e ci ha mostrato l'importanza di "stare dove bisogna stare".» Valerio Nicolosi, giornalista, regista e reporter, dove stare, l'ha deciso da tempo. Non a caso è stato il primo ad arrivare in Ucraina per descriverne la tragedia, atterrando a Kiev un giorno prima dell'attacco russo che ha aperto la guerra. Da lì ha dato voce alla resistenza ucraina e ha raccontato l'esodo di donne e bambini verso la Polonia e l'Europa. Una rotta migratoria organizzata dalle autorità e sostenuta con generosità da cittadini e associazioni, ma che nasconde la stessa minaccia implicita delle rotte nei Balcani e nel Mediterraneo: è il «gioco sporco» che l'autore di questo libro ha visto fin troppe volte, in troppe parti del mondo, messo in piedi da alcuni governi sulla vita di migranti in fuga da conflitti armati, persecuzioni, carestia e povertà. Dalle coste dell'isola di Lesbo a Trieste, da Mariupol a Cracovia, dalla Turchia alla Libia, dai Balcani alla Sicilia, le vite di persone disperate - pronte a rischiare tutto pur di avere anche solo l'occasione di un futuro decente - vengono usate ogni giorno come mezzo di pressione geopolitica o di vero e proprio attacco non convenzionale. Così, chi scappa dall'inferno finisce per ritrovarsi in Paesi con situazioni politiche e sociali delicate, dove l'odio xenofobo esplode in vere e proprie battute di «caccia al migrante». Attraverso le sue foto e il suo racconto sul campo, Nicolosi denuncia le violenze dei regimi autoritari e le ipocrisie di governi conniventi, e soprattutto apre uno squarcio sui limiti dell'Occidente e sull'uso dei migranti come arma impropria delle guerre. Un'inchiesta sui veri interessi che controllano le aperture e le chiusure delle frontiere.
La testimonianza di una giornalista sempre in lotta contro il perverso intreccio di potere e di interessi che ha insidiato la democrazia dagli anni Settanta a oggi. Intreccio che, come dimostra l'autrice raccontando i protagonisti di quel tempo e gli episodi vissuti direttamente, ha fatto perdere la visione d'insieme della società come idea di "bene comune". "Eppure c'è chi, anche in buona fede, è convinto che sia meglio non sapere come sono andate le cose... Costoro chiedono semplicemente di partecipare al 'gioco', il 'gioco grande del potere', per dirla con le parole di Giovanni Falcone." "Nell'esercizio di memoria che Sandra Bonsanti ci propone sono ripercorse le tappe principali della storia nichilista e criminale del rapporto potere-denaro svoltosi negli ultimi decenni e nascosto sotto il manto della democrazia. Se la politica non si rianima e se i suoi protagonisti - partiti, forze culturali e sociali - restano inerti, la partita è persa. Ma, si dirà, dove trovare le ragioni della riscossa democratica? La risposta è chiara: nella Costituzione." (dalla postfazione di Gustavo Zagrebelsky)
Mai l'Unione Europea era stata più discussa: dopo oltre cinque anni di crisi, il progetto europeo si trova davanti alla reale possibilità del fallimento. Ma cosa succederebbe se finisse l'esperienza dell'euro, o addirittura quella dell'Unione? Possibile che il vincolo sovranazionale che da oltre sessant'anni garantisce la pace nel nostro continente, per secoli devastato dai conflitti interni, sia oggi caduto così in basso nella stima del cittadini europei? Martin Schulz, rispettato ma a sua volta discusso presidente dell'Europarlamento, ci esorta a non ascoltare le sirene degli euroscettici, dei populisti di destra che prendono piede in tutta Europa, né di quei governi ancora convinti che gli interessi nazionali siano prioritari rispetto a quelli europei. Smantellare la costruzione dell'UE o anche solo bloccarne lo sviluppo, come dimostra in questo saggio, sarebbe una catastrofe. In epoca di globalizzazione e mercati finanziari "selvaggi", lo Stato-nazione è un'illusione per nostalgici, un anacronismo che rischia di sprecare l'enorme potenziale del nostro continente unito. L'Europa, infatti, è forte, di questo il presidente è convinto: lo è la nostra moneta, nonostante la crisi, la nostra produzione, specie nel caso di alcune eccellenze, e soprattutto il nostro modello sociale solidale, che è ammirato a livello planetario. Certo, per fare dell'Europa un attore decisivo anche nel XXI secolo servono indubbiamente delle riforme, soprattutto istituzionali.
Nel suo memoir Rizek ci porta dentro la comunità, invitandoci a mettere da parte i nostri preconcetti e considerare davvero la pace come scelta di vita. Dalla sua prospettiva privilegiata, di cittadino arabo cristiano di Israele, Rizek racconta delle sue esperienze, sfide, delusioni e soddisfazioni a Wahat al Salam/Neve Shalom. Dai primi anni Ottanta, i residenti di questa comunità hanno imparato cosa significa vivere insieme, nonostante le differenze tra le culture e le profonde lotte che li circondano. Oltre la comunità, ci riporta alle origini del conflitto israelo-palestinese, si interroga sull’assunzione di responsabilità personali e sull’impatto di crescere palestinese in Israele e, tramite i suoi racconti di famiglia, riesce a dimostrare che ogni storia personale è anche una storia politica. Con il suo stile pacato ma sincero, Rayek riflette sull’ineluttabile unità tra questa terra e i suoi popoli, avvinghiati come nell’abbraccio fatale di due animali selvatici che lottano, il giaguaro e il formichiere, fino a togliersi reciprocamente la vita. Le sue osservazioni sono rivolte al passato, presente e futuro e dimostrano che, con l’affiatamento e la diligenza, anche le discordie più radicate nei popoli possono essere superate. Il racconto della vita di una comunità di ebrei e palestinesi che cerca ogni giorno una pace ruvida, difficile ma necessaria. Il punto di vista di un testimone diretto che sente il bisogno di fare memoria di questo lavoro costruito mattone su mattone in una terra in cui molto deve essere rinnovato. Non la ricerca utopica della pace ma la dimostrazione che nonostante il desiderio di prevaricazione serve riconoscere all’altro lo status di essere umano prima che di concorrente e poi di nemico, da qualsivoglia parte cerchiamo di vedere la questione. L’unica strada possibile da cercare è quella di una convivenza pacifica e di una reciproca accettazione.. Prefazione di Andrea Riccardi. Nota introduttiva di Arturo Marzano
Con l'irruzione del Covid-19, le presidenziali USA 2020 sono divenute ancora più rilevanti non solo per l'America ma per tutto l'Occidente. La più ricca nazione del mondo rivela il suo lato debole: né la forza delle armi né la potenza del dollaro sono in grado di affrontare la sfida del momento. La democrazia americana ha saputo resistere a guerre, crisi sociali e tentativi autocratici: saprà ora battere Trump e risollevarsi dalla pandemia? La sua forza è il Genio americano che poggia sul Rule of Law e sul Bill of Rights. Dal 1790 il cuore della nazione batte al ritmo del voto presidenziale che anche quest'anno sceglie il suo leader. America First ha generato molti abusi di potere. In passato altri movimenti (nativismo, maccartismo, militarismo) hanno convertito il patriottismo in nazionalismo e l'amore per la propria comunità in razzismo, senza tuttavia rendere l'America illiberale se non per limitati periodi. Finora la nazione ha trovato gli antidoti per resistere alle involuzioni e difendere il suo regime di libertà. Cosa accadrà alle presidenziali di novembre di fronte all'irruenza di Trump e alla prova del Covid-19? Massimo Teodori con l'esperienza dello storico individua i dilemmi del momento: egemonia finanziaria o rispetto dei diritti umani? Populismo o democrazia? Se sarà confermato, l'attuale Presidente potrebbe trasformare in senso illiberale le istituzioni con un danno per l'Occidente democratico. Se Joe Biden andrà alla Casa bianca, gli Stati Uniti potrebbero riprendere la strada maestra, interna ed estera, tracciata dal Genio americano.
A dieci anni dal termine del secondo conflitto mondiale, quando le polveri, dopo aver offuscato i cieli, si erano finalmente sedimentate formando uno spesso strato sotto al quale un'intera civiltà cercava di ritrovare trame e orizzonti, gli intellettuali furono chiamati a suggerire cosa di quella civiltà, di quell'Europa minacciata da forze d'ordine economico e politico, era destinato a prosperare, e cosa a perire. Nella discussione intervenne anche Albert Camus, all'incontro organizzato il 28 aprile del 1955 dall'Union Culturelle Gréco-Francaise ad Atene, dal titolo "Il futuro della civiltà europea". Lo sforzo per l'unità, dirà Camus, è un passaggio obbligato, l'unità europea in nome di un pluralismo, di un federalismo ideale e de facto: "La "sovranità" per molto tempo ha messo bastoni a tutte le ruote della storia internazionale. Continuerà a farlo. Le ferite della guerra così recente sono ancora troppo aperte, troppo dolorose perché si possa sperare che le collettività nazionali facciano quello sforzo di cui solo gli individui superiori sono capaci, che consiste nel dominare i propri risentimenti [...]. Bisogna lottare per riuscire a superare gli ostacoli e fare l'Europa, l'Europa finalmente, dove Parigi, Atene, Roma, Berlino saranno i centri nervosi di un impero di mezzo, oserei dire, che in un certo qual modo potrà svolgere il suo ruolo nella storia di domani".
Dopo Berlusconi, Renzi e Grillo, non tornerà la politica basata sui vecchi schemi e le dicotomie classiche (destra-sinistra, liberali-socialisti, liberisti-statalisti...), ma sulle nuove categorie "alto-basso" (popoli vs caste) e valori antropologici. Già in Europa i populismi (fase unicamente intermedia) stanno fondendo le istanze identitarie con l'anti-gender. E in Italia c'è stato il Family Day, una piazza subìta dai partiti e dalla stessa Cei. In ballo non c'è più una scelta politica, ma una scelta di civiltà. Sul laicismo Berlusconi, Renzi e Grillo sono uguali. E se Il Cavaliere ha "americanizzato la destra" e Renzi sta "americanizzando la sinistra", l'alternativa deve essere radicale.
Trump, la Brexit, i risultati delle elezioni in molti paesi europei, la Turchia di Erdogan, l’India di Modi...: prendono forza a livello globale tendenze che paiono sancire il divorzio fra la democrazia e i principi liberali che l’hanno innervata, soprattutto in Occidente. Eppure viviamo in un mondo che non vede affatto, come si crede, un peggioramento socio-economico o un aumento delle diseguaglianze. Il libro ragiona su questa crisi, mettendone in luce in primo luogo le diverse cause, dalle trasformazioni demografiche all’invecchiamento della popolazione, alla perdita di rango globale dell’Occidente, per poi interrogarsi sulle debolezze della democrazia liberale che, forte in fasi di crescita, si dimostra inadeguata in fasi di ristagno e risorse calanti. Particolare attenzione è riservata al caso italiano, che ha anticipato questa crisi mondiale della democrazia liberale, e a ciò che sarebbe ragionevole fare per costruire un futuro migliore.
In ogni periodo di crisi le disuguaglianze rischiano di allargarsi e i diritti di essere rispettati sempre meno. Da dove può ripartire oggi l'Italia? Nel disastro economico e sociale in cui siamo precipitati all'improvviso, abbiamo un enorme bisogno di idee. Prima di diventare un modello per ridare vita a una comunità, Riace era un'idea. O meglio, un'idea di futuro che a Mimmo Lucano venne in mente per la prima volta guardando il mare. A Riace, alla fine degli anni novanta, non esistevano quasi più né l'agricoltura, né l'allevamento. L'unica possibilità per i pochi abitanti rimasti era fuggire. Poi il sistema di accoglienza diffuso creato da Lucano ha cambiato tutto. Le case del centro, da tempo abbandonate, si sono ripopolate. Centinaia di rifugiati hanno potuto ricostruire le loro famiglie e hanno rimesso in moto l'economia del paese. Ma Lucano, si sa, è un fuorilegge. Il 2 ottobre 2018, mentre il ministero dell'Interno era sotto la responsabilità di Matteo Salvini, è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. I progetti di accoglienza sono stati chiusi e il paese di nuovo spopolato. Lucano non ha mai smesso di credere nella sua idea: ogni comunità deve fondarsi sul rispetto della dignità umana. La storia di Mimmo Lucano è la storia dell'Italia, perché il suo coraggio ha saputo indicare il confine oltre il quale una democrazia tradisce i propri valori fondamentali. Un racconto personale ed eroico di piccoli gesti che diventano grandissimi. Una testimonianza diretta e profonda che ci invita ad aprire gli occhi su chi siamo e su chi vogliamo essere.
"Questo libro è un''antologia storica' che racconta un bel pezzo della nostra storia e quindi racconta anche qualcosa di me. Io, va detto, avrei voluto inserire molte più vignette ma mi è stato fatto notare che dal 1973 al 2015 ne ho disegnate circa ventimila... E il numero, sappiatelo, è destinato a salire. Non può essere altrimenti: la satira è stata e continua a essere la mia vita. Perché la satira è uno strumento indispensabile, che ci aiuta a interpretare la realtà con il filtro della dissacrazione, dell'ironia, dell'irriverenza. La satira è libertà." (Giorgio Forattini)
Il fine della politica è quello di governare gli affari umani o è un compito a termine, da svolgere in un tempo intermedio, nell'attesa del mondo a venire, quando giustizia e pace regneranno per sempre? Questa domanda - la matrice stessa della «teologia politica» - è divenuta possibile quando, nella storia è apparsa la categoria giudaica di «éschaton»: l'attesa di un «mondo a venire», il pieno realizzarsi di quanto, fin dall'inizio, era stato promesso. A partire da qui, l'idea di éschaton ha segnato l'intera storia dell'Occidente e la sua filosofia politica: dal giudaismo, tramite il cristianesimo, è giunta al moderno e qui si è secolarizzata nella forma delle filosofie del progresso e delle apocalittiche rivoluzionare. Oggi l'éschaton pare giunto al tramonto: nell'odierno tempo senza fine, la storia non deve raggiungere più alcun culmine e non ci resta che governare la contingenza del mondo, portarsi all'altezza della sua improbabilità. Natoli, in questo breve e denso libro, insegue nei segni della storia i mutamenti che questo concetto centrale ha avuto nei secoli. In origine un termine spaziale, denotante i limiti remoti, i luoghi lontani che si trovano oltre il confine identitario di un territorio, l'éschaton ha assunto nel cristianesimo il suo marcato significato temporale, divenendo il punto cui tendere, il ritorno messianico, il momento nel quale il Giudizio riunirà in una sola cosa giustizia e governo. Intanto, però, nella loro attesa sulla terra, gli uomini vivono una dilatata «epoca del frattanto». È in questo limbo temporale che il governo delle cose umane deve destreggiarsi, darsi un ordinamento, prepararsi al compimento della storia. Fino a quando, nella contemporaneità, l'éschaton perde progressivamente di significato, il tempo si dilata, infinito, e il fine della politica resta la politica stessa.