
Non si può pensare al recupero della politica senza il recupero della dignità della persona umana e della sua centralità rispetto al mondo ed alla storia. Fare politica coincide con lo stare nella vita, nel mondo, nella società, nelle istituzioni. Con tutte le preoccupazioni, disagi, interessi, bisogni. Nobilitare la politica non è impresa disperata; piuttosto, è una navigare in acque agitate che richiede passione e rispetto. Anche speranza, che è in fondo, desiderio di andare oltre, di aspirare ad altro, di tendere a qualcosa di meglio. L'Autore non teme di aprire i confini della politica alla trascendenza. Trova, invece, le motivazioni più profonde per l'impegno e l'azione politica nella missione ad essere pienamente cittadini, presenti qui, oggi, nella storia, guardando ad una vita altra.
A Paolo Borsellino, spazzato via venti anni fa da un'autobomba sotto casa di sua madre, in via D'Amelio a Palermo, piaceva citare dal Giulio Cesare di Shakespeare la frase secondo cui "è bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola". Il fatto è che l'omicidio di Borsellino è ormai diventato uno di quei buchi neri della storia italiana, simile in questo al rapimento Moro, in cui come in un gorgo si annodano e si raccolgono tutti i misteri, i protagonisti, le inconfessabili verità di un paese che ha sempre avuto molto da nascondere, in primo luogo a se stesso. "Questo è stato il destino del nostro eroe; e l'Italia non è un paese per eroi. La ricerca della verità sul suo assassinio implicava un contributo di onestà, che è stata soffocata. Difficile ormai che si possa recuperare il tempo perduto, perché ormai quella stessa ricerca della verità è strettamente connessa (i luoghi, i palazzi di giustizia, i contesti) con la ricerca delle ragioni della disonestà di chi doveva cercarla. E dunque, diventa un'impresa quasi impossibile." Ma quello che è possibile fare è mettere insieme tutti i pezzi, ripulirli a uno a uno e metterli nell'ordine giusto, per raccontarli a chi li ha dimenticati, o li ricorda solo confusamente. Questo è ciò che Enrico Deaglio ha fatto in questo libro. Con una nuova introduzione dell'autore.
Esistono due tipi di elezioni: quelle «ordinarie», che registrano il presente, e quelle «straordinarie», che segnano una frattura tra il mondo di ieri e il mondo di domani. Il voto del 4 marzo si inserisce pienamente nella seconda categoria. Per cogliere la portata «radicale» del cambiamento innescato da questo voto non giovano però interpretazioni affrettate né reazioni «a caldo». Mettendo a frutto una pluridecennale esperienza maturata nel campo degli studi politico-elettorali, l’Istituto Carlo Cattaneo offre con questo volume un’analisi del voto ancora una volta rigorosa e articolata. Sono così approfonditi temi quali l’offerta politica, le risposte degli elettori e il ruolo del sistema elettorale. Ad arricchire la disamina, sono proposte alcune riflessioni che si interrogano sulle cause che hanno condotto la politica italiana nel «vicolo cieco» in cui è precipitata e sulle possibili vie d’uscita.
Dal secondo dopoguerra si sono ottenuti risultati straordinari a difesa dell'inclusione democratica. Oggi c'è un vento conservatore che spira in direzione contraria, la cui origine è da ricercare in altri processi che il Novecento ha innescato: dalla deregolamentazione dell'economia all'ideologia dell'individualismo competitivo. Questo libro propone una lettura originale che mette insieme la crisi dell'ordine neoliberale, evidenziata anche dalla catastrofe planetaria della pandemia, e l'avanzata di progetti politici di segno antiegualitario e autoritario. I leader della destra radicale populista devono il loro successo alla promessa di proteggere le 'maggioranze silenziose' dei loro paesi dai sentimenti di insicurezza e spaesamento indotti dalle dinamiche dell'economia. Non offrono però, in risposta, ricette redistributive contro la crescita delle diseguaglianze. Piuttosto, fanno appello all'identità nazionale, etnica, religiosa o sessuale, ergendosi a difesa dei 'nativi' contro gli stranieri e della famiglia 'tradizionale' contro nuovi modelli di vita affettiva. Le destre radicali minacciano di acquisire nuova forza nell'incertezza generata dalla crisi pandemica e la risposta delle forze progressiste potrà passare solo attraverso una rinnovata lotta contro ogni forma di diseguaglianza.
22 aprile 2010, è il giorno di quel "Che fai, mi cacci?" urlato da Gianfranco Fini contro Silvio Berlusconi durante un'affollata riunione del Pdl. Fini racconta gli errori, le verità, le omissioni e le colpe nascoste dietro quello strappo politico, traccia un bilancio del passato e del futuro della destra italiana e fa per la prima volta i nomi di coloro che, per punirlo del suo presunto tradimento, hanno organizzato un killeraggio contro di lui.
Dal direttore de Ilfattoquotidiano.it una guida informata per un voto consapevole.
“Programmi, programmi, programmi. Lasciateli perdere. Intanto non saranno realizzati, soprattutto questa volta. Tutti fanno promesse. Non tenetene conto. Guardate invece alle persone, alla loro storia, a quello che hanno detto prima e fatto poi. E a qualche numero indispensabile. Solo così possiamo avere gli elementi per orientarci e votare in modo consapevole. E togliere tutto il fumo che avvolge queste elezioni. Sicuramente un voto consapevole sarà in ogni caso un voto utile. Qualsiasi partito sceglierete.” - Peter Gomez
Il rapporto tra partiti, società e Stato si è definitivamente incrinato. Partiti autoreferenziali, disconnessi dalla società, incapaci di interpretare i bisogni dei cittadini. Partiti stato centrici che stentano ad assolvere alla loro funzione primaria: "concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", come afferma l'articolo 49 della Costituzione. Dobbiamo quindi farne a meno? No, al contrario. Ma allora quale forma devono avere e a quale funzione devono assolvere? È il momento per i partiti italiani di guardarsi allo specchio: senza un radicale cambiamento non potranno governare l'Italia. Tantomeno sopravvivere. Interventi di: Nando Pagnoncelli, Walter Tocci, Laura Pennacchi, Carlo Borgomeo, Concita De Gregorio, Luca Telese, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Goffredo Bettini, Salvatore Biasco, Marco d'Eramo, Piero Bevilacqua, Andrea Ranieri, Claudia Mancina, Eric Jozsef.
Dopo la cronaca degli anni trascorsi al Quirinale nel settennato di Pertini, prosegue in questo volume il resoconto dell'esperienza istituzionale di Antonio Maccanico. Trascorso circa un anno e mezzo con Cossiga al Quirinale, all'inizio del 1987 Maccanico è eletto presidente di Mediobanca e in tale veste ne conduce in porto la sofferta privatizzazione. Nell'aprile 1988 assume il primo diretto incarico politico come ministro per gli Affari regionali e problemi istituzionali. Avvia il faticoso percorso delle riforme che sostarizia il tentativo del governo di Ciriaco De Mita, segretario della De e presidente del Consiglio. Nel 1989, alla vigilia del disfacimento dei regimi dell'Est europeo, lo sostituiscono rispettivamente Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti, che occupavano quei ruoli già 16 anni prima: Maccanico rimane al governo. I diari restituiscono la luce crepuscolare del quinquennio 1985-1989, caratterizzati da scelte che annunciano l'indirizzo dell'economia nella nuova realtà globalizzata e da resistenze che preludono all'esaurimento dei soggetti costituenti. Prefazione di Sabino Cassese.
Nel mondo del Ventunesimo secolo sono esplose tensioni forse tra le più laceranti della storia: il contrasto tra la globalizzazione, e la crisi economica che ne è conseguita, e le istanze locali delle forze del passato; le migrazioni delle masse di poveri che premono alle porte del ricco Occidente; lo scontro tra le forme della cultura e la tradizione occidentale, che sino a poco tempo fa poteva considerarsi dominante, e il terrorismo di matrice islamica. A questi problemi la politica non è in grado di offrire soluzioni efficaci: non sul piano internazionale, dove ogni forma di cooperazione tra Stati viene messa in seria discussione, né all'interno dei singoli Paesi, dove ha ceduto all'economia la gestione della società, limitandosi a garantire il funzionamento del mercato. In relazione a questo quadro Emanuele Severino riprende e sviluppa qui temi a lui cari come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura per smascherare il significato profondo della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il tempo presente vuole abbandonare. In questo processo il capitalismo, per trionfare sui propri nemici, dopo aver emarginato la politica, deve sfruttare a fondo le potenzialità della tecnica, la quale è divenuta sempre più forte e ora da serva si sta trasformando in padrona, svuotando il capitalismo del suo scopo e conducendolo quindi alla morte. Quello che oggi ci pare uno scontro epocale tra valori è in realtà soltanto l'espressione di una battaglia di retroguardia, tra le diverse "verità" che intendono piegare il mondo alla loro visione ma che in realtà sono tutte destinate a essere sconfitte dall'avvento della tecnica, che potrà compiersi pienamente solo quando quest'ultima potrà godere del sostegno della filosofia e raggiungere il proprio scopo: realizzare tutto quanto è possibile.
Nel mondo del Ventunesimo secolo sono esplose tensioni forse tra le più laceranti della storia: il contrasto tra la globalizzazione, e la crisi economica che ne è conseguita, e le istanze locali delle forze del passato; le migrazioni delle masse di poveri che premono alle porte del ricco Occidente; lo scontro tra le forme della cultura e la tradizione occidentale, che sino a poco tempo fa poteva considerarsi dominante, e il terrorismo di matrice islamica. A questi problemi la politica non è in grado di offrire soluzioni efficaci: non sul piano internazionale, dove ogni forma di cooperazione tra Stati viene messa in seria discussione, né all'interno dei singoli Paesi, dove ha ceduto all'economia la gestione della società, limitandosi a garantire il funzionamento del mercato. In relazione a questo quadro Emanuele Severino riprende e sviluppa qui temi a lui cari come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura per smascherare il significato profondo della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il tempo presente vuole abbandonare. In questo processo il capitalismo, per trionfare sui propri nemici, dopo aver emarginato la politica, deve sfruttare a fondo le potenzialità della tecnica, la quale è divenuta sempre più forte e ora da serva si sta trasformando in padrona, svuotando il capitalismo del suo scopo e conducendolo quindi alla morte. Quello che oggi ci pare uno scontro epocale tra valori è in realtà soltanto l'espressione di una battaglia di retroguardia, tra le diverse "verità" che intendono piegare il mondo alla loro visione ma che in realtà sono tutte destinate a essere sconfitte dall'avvento della tecnica, che potrà compiersi pienamente solo quando quest'ultima potrà godere del sostegno della filosofia e raggiungere il proprio scopo: realizzare tutto quanto è possibile.
In questo libro, Edward Luce affronta con chiarezza il progressivo indebolirsi dell'egemonia occidentale e la crisi del liberalismo, problemi di cui i populismi che proliferano in Europa e in America sono un sintomo, non la causa. Abbiamo imboccato, a detta di Luce, una traiettoria discendente. I motivi? L'arroganza delle élite nei confronti degli ultimi, dei dimenticati dal mercato, e l'errata convinzione che il sistema dovesse durare per sempre. Non si può guarire senza una diagnosi, per quanto severa possa apparire. E secondo Luce, a meno che l'Occidente non riesca a costruire un'economia capace e di cui possano beneficiare quante più persone possibile, la sua libertà corre seri pericoli. Unendo giornalismo ed esperienze di prima mano a una sintesi di alto livello della letteratura economica e sociologica più recente, Luce offre un ritratto del mondo contemporaneo e una ricetta per coloro che credono nei valori nati dall'Illuminismo e vogliono difenderli dagli attacchi cui sono sottoposti ogni giorno.
Perché un regime politico viene definito totalitario? Quando si inizia a parlare di totalitarismo e perché? È possibile liquidare il fenomeno totalitario come un tragico episodio del secolo scorso o è qualcosa di più complesso di una semplice parentesi storica?