
Torino, 28 aprile 1945. Un uomo scende da un'auto che arriva dal palazzo della prefettura e si ferma davanti alla questura. È il nuovo questore di Torino, nominato dal Comitato di Liberazione nazionale. Quell'uomo è Giorgio Agosti. Fino al giorno prima, Agosti è stato giudice al Tribunale di Torino. Ma negli ultimi venti mesi non ha avuto modo di scrivere molte sentenze. In compenso, ha svaligiato l'armamento di una caserma della guardia di frontiera. È sfuggito a un arresto. Ha diretto la Resistenza in Piemonte, come commissario politico di Giustizia e Libertà. Si è occupato di trovare materiali di ogni tipo: dalle armi alle maglie di lana, dai camion alle calze e alle scarpe. Ha preparato volantini e giornali clandestini e li ha diffusi. Ha fatto fuggire prigionieri alleati. Bandito e latitante, ha pensato e scritto come organizzare la polizia nella futura Italia democratica. Ha saputo comandare, come richiedeva "il tempo del furore", e farsi amare, con la devozione che soltanto i grandi capi sanno suscitare. Questo libro racconta la sua storia e, con lui, la storia di quella parte d'Italia intellettualmente impegnata che rimase fuori da ogni convento, politico e culturale, fedele solo all'imperativo morale e civile del "fai quel che devi" non solo al tempo degli eroismi di guerra ma, soprattutto, durante il faticoso processo di ritorno alla normalità democratica.
Questo libro racconta la vita di Alberto Sed dalla nascita ai giorni nostri. Rimasto orfano di padre da bambino, Alberto è stato per anni in collegio. Le leggi razziali del 1938 gli hanno impedito di proseguire gli studi. Il 16 ottobre 1943 è sfuggito alla retata effettuata nel ghetto di Roma. È stato catturato in seguito, insieme alla madre e alle sorelle Angelica, Fatina ed Emma. Dopo il transito da Fossoli, la famiglia è giunta ad Auschwitz su un carro bestiame. Emma e la madre, giudicate inabili al lavoro nella selezione condotta all'arrivo, sono finite subito nella camera a gas. Angelica, un mese prima della fine della guerra, è stata sbranata dai cani per il divertimento delle SS. Solo Fatina è tornata, segnata da ferite profonde: ha assistito alla fine terribile di Angelica ed è stata sottoposta agli esperimenti del dottor Mengele. Alberto è sopravvissuto a varie selezioni, alla fame, alle torture, all'inverno, alle marce della morte. Ha partecipato per un pezzo di pane ad incontri di pugilato fra prigionieri organizzati la domenica per un pubblico di SS con le loro donne. Dopo essere scampato a un bombardamento, è stato liberato a Dora nell'aprile 1945. Tornato a Roma, superate le difficoltà di reinserimento, ha iniziato a lavorare nel commercio dei metalli e si è sposato. Ha tre figlie, sette nipoti e tre pronipoti.
Tutte le storie dei grandi atleti hanno un che di favoloso: la dedizione, i sacrifici, il riscatto attraverso la vittoria. Ma quella di Oscar Pistorius ha il sapore amaro di una tragedia. Nato con una grave malformazione che lo costringe all'amputazione delle gambe, trova conforto nello sport. Grazie alla sua determinazione e alle futuristiche protesi, che gli fanno guadagnare il soprannome di "Blade Runner", nel 2012 passa alla storia come il primo atleta senza arti inferiori a competere con i normodotati alle Olimpiadi. Ma, meno di un anno dopo, il suo mondo si infrange: nelle prime ore del mattino del 14 febbraio uccide la fidanzata Reeva Steenkamp, sparando contro la porta chiusa del bagno di casa. Difesa personale, dice lui: nel buio della notte, accecato dal panico, ha pensato che un intruso fosse entrato in casa. Omicidio, dice l'accusa: le liti tra Oscar e Reeva, la passione per le armi dell'atleta e la sua personalità tormentata sono indizi a favore dell'ipotesi di premeditazione. Qual è la verità? John Carlin, famoso giornalista e scrittore, ha seguito in prima persona il processo del campione caduto. In questo libro ci offre molto più di una sensazionale crime story: un reportage sulla vita di Oscar Pistorius, dagli esordi nello sport alla relazione turbolenta con Reeva; il ritratto intimo di un uomo che nasconde insicurezze e paure dietro una maschera di ferro; una cronaca del processo, fino al verdetto di omicidio colposo...
"La 'mia' Shoah, quella di molti ebrei italiani, è mia madre ragazzina che non trova il suo nome nel tabellone dei voti a scuola, perché gli ebrei sono a parte. Che non può ricevere un otto, perché i voti degli ebrei non possono superare quelli degli 'ariani'. È mio padre, che fino alla morte conserva il telegramma dell'amico Bruno, che gli dice di usare la sua casa, in caso di bisogno. La mia Shoah sono bambine che spariscono da scuola per sette anni e quando tornano nessuno gli chiede dove sono state. Prima delle leggi razziali, prima della Vergogna, mia madre, mio padre, i nonni, gli zii, i cugini, erano normali cittadini italiani. Finché non divennero 'di razza ebraica', e persero il lavoro, la dignità, la sicurezza, e infine rischiarono anche la vita: la scelta fu scappare, oppure morire. Qualcuno fu deportato. Qualcuno non tornò. Poi, mio padre e mia madre si conobbero in un campeggio ebraico, nel dopoguerra, e riconquistarono la 'normalità'. Grazie a loro sono qui. A raccontare. Di loro e degli altri". Manuela Dviri è una figlia che riscopre un po' alla volta un grande mosaico famigliare, ed è una madre che perde in guerra l'amato figlio ventenne e trova nel suo ricordo la forza di rinascere e di battersi perché ad altre madri sia risparmiata l'orribile sofferenza. Tra l'Israele di oggi e l'Italia di ieri risale i rivoli che si ricongiungono nel vasto fiume di una grande famiglia ebraica.
"Un conto è guardare e un conto è vedere, e io per troppi anni ho guardato senza voler vedere." Liliana ha otto anni quando, nel 1938, le leggi razziali fasciste si abbattono con violenza su di lei e sulla sua famiglia. Discriminata come "alunna di razza ebraica", viene espulsa da scuola e a poco a poco il suo mondo si sgretola: diventa "invisibile" agli occhi delle sue amiche, è costretta a nascondersi e a fuggire fino al drammatico arresto sul confine svizzero che aprirà a lei e al suo papà i cancelli di Auschwitz. Dal lager ritornerà sola, ragazzina orfana tra le macerie di una Milano appena uscita dalla guerra, in un Paese che non ha nessuna voglia di ricordare il recente passato né di ascoltarla. Dopo trent'anni di silenzio, una drammatica depressione la costringe a fare i conti con la sua storia e la sua identità ebraica a lungo rimossa. "Scegliere di raccontare è stato come accogliere nella mia vita la delusione che avevo cercato di dimenticare di quella bambina di otto anni espulsa dal suo mondo. E con lei il mio essere ebrea". Enrico Mentana raccoglie le memorie di una testimone d'eccezione in un libro crudo e commovente, ripercorrendo la sua infanzia, il rapporto con l'adorato papà Alberto, le persecuzioni razziali, il lager, la vita libera e la gioia ritrovata grazie all'amore del marito Alfredo e ai tre figli.
Gianluigi Rho e Mirella Capra si sposano a Milano nei primi anni Settanta. Lui è ginecologo, lei è pediatra. Si sono appena laureati, hanno poco più di vent'anni. Stilano una lista di nozze molto particolare: invece di argenteria e servizi di piatti e bicchieri, chiedono attrezzature da sala operatoria per un reparto maternità che non esiste ancora ma che loro contribuiranno a creare e a far crescere in anni di durissimo ma gioioso lavoro. Mirella, il 15 luglio 1970, dopo la prima visita all'ospedale in costruzione, scrive una lettera a casa in cui, dopo aver evidenziato una lunga lista di problemi, conclude: "Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa". Mario Calabresi conosce questa storia da quando è bambino: Gigi e Mirella sono i suoi zii. Oggi ha scelto di raccontarla, perché è necessario provare a rispondere ai dubbi, allo scetticismo, allo scoraggiamento di tanti ragazzi che si chiedono se valga ancora la pena coltivare dei sogni. Quella di Gigi e Mirella, ma anche quella di Elia e la sua lampara che ogni notte prende il largo dal porto di Genova o quella di Aldo che rimette in moto le pale del mulino abbandonato della sua famiglia, sono le storie di giovani di ieri e di oggi che hanno saputo guardare avanti con coraggio. Sono storie di ragazzi italiani che non hanno avuto paura di diventare grandi.
Tutto in dieci anni. Da anonimo segretario fiorentino della Margherita a presidente del Consiglio. Questo libro racconta la vera storia di Matteo Renzi. Con una prefazione di Marco Travaglio.
Alan Turing ha dato il più grande contributo alla vittoria degli alleati sulla Germania nazista con la sua macchina per decrittare il famigerato codice enigma, il segreto sistema di crittografia con cui i nazisti comunicavano tra di loro. Ma il mondo è altresì in debito con il genio di Turing per molte delle intuizioni che hanno portato all'invenzione del computer moderno, è infatti considerato da molti il padre della scienza informatica. Figlio di un alto funzionario dell'Indian Civil Service, dato a balia a una rispettabile famiglia ritiratasi nella campagna inglese, fu chiaro fin dalla sua prima infanzia che il piccolo Alan fosse dotato di una mente prodigiosa. Imparò a leggere in appena tre settimane e la preside della scuola elementare che frequentava affermò: "Ho avuto ragazzi intelligenti e laboriosi, ma Alan ha del genio puro". Ma la vita di Turing non fu solo ricca di riconoscimenti per il suo lavoro svolto durante la guerra: a causa della sua omosessualità (considerata ancora un reato nella Gran Bretagna dell'epoca) fu incriminato e sanzionato con la castrazione chimica. Le umiliazioni fisiche e psicologiche che dovette subire lo segnarono profondamente. Il 7 Giugno 1954, a soli quarantuno anni e nel pieno della sua vita accademica, morì mangiando una mela avvelenata con cianuro di potassio. Questa è la sua storia.
Il volume contiene delle riflessioni, sotto forma di meditazioni spirituali, sulla basilica della Sagrada Familia, il maestoso monumento situato nel cuore di Barcellona (Catalogna) e consacrato alla Santa Famiglia di Nazaret. Di pari passo viene delineata la figura di Antoni Gaudí, il geniale architetto che seppe infondere in questo luogo sia la più pura espressione del suo talento, sia la sua fervente fede cristiana. Il libro si divide in tre parti come tre sono le facciate della basilica. Gaudí ebbe l'intuizione di portare fuori, sulle facciate della basilica, i retabli, quelle che in spagnolo sono le pale d'altare, raffiguranti i momenti più importanti della fede cristiana, prefigurando la proposta di papa Francesco di "una Chiesa in uscita", di uscire dalle chiese per andare verso le periferie.
Uno dei più grandi geni del Ventesimo secolo, questo è statò Alan Turing. Nato a Londra nel 1912, considerato tra i padri della moderna informatica - spiegò la natura e i limiti teorici delle macchine logiche prima che fosse costruito un solo computer - fu un matematico fuori dal comune. Durante la Seconda guerra mondiale mise le sue straordinarie capacità al servizio dell'Inghilterra, entrando a far parte di Bletchley Park, la località top secret della principale unità di crittoanalisi del Regno Unito, e contribuì in modo decisivo alla decifrazione di Enigma, la complessa macchina messa a punto dai tedeschi per criptare le proprie comunicazioni, ribaltando così le sorti del conflitto. Ma la sua fu anche una vita tormentata. Perseguitato per la sua omosessualità, fu condannato alla castrazione chimica. Umiliato, a soli 41 anni, si suicidò in circostanze misteriose morsicando una mela avvelenata con cianuro. Nel 2013, dopo oltre sessant'anni dalla sua morte, la Regina Elisabetta gli ha "concesso" l'assoluzione reale. Con la verve di una spy story, la biografia di Andrew Hodges ci restituisce l'ambiente e il clima culturale del periodo storico in cui Turing è nato e si è formato, le sue brillanti idee in campo matematico e scientifico, e ci fa conoscere il lato umano e personale di un genio inquieto.
Il racconto semiserio di una tranche di vita di una donna che insegue una forma di vita urbana fuori dagli schemi: dove sia più importante "essere-con" che avere; dove saper trovare la bellezza a un passo dalla monnezza; dove scovare perle di saggezza metropolitana sul bus come in condominio. Nella "città da condividere" l'autrice ha scopertola sua "vocazione", visto che non si erano aperte per lei le porte del monastero (era un 1° di aprile!).
Questo libro raccoglie gli articoli scritti da Gianni Minà su Cassius Clay-Muhammad Ali dal 5 marzo 1971 ad oggi. Minà, per il Tg2 della Rai, seguiva, dall’inizio degli anni ’70, l’avventura umana e sportiva del “mito americano con la faccia nera”, il più prestigioso pugile del secolo appena trascorso. Una sorta di diario accompagnato dagli articoli, dettati “a braccio” nella notte, da Los Angeles o da Las Vegas, da Kinshasa o da Manila, al Corriere dello Sport e poi anche a la Repubblica e altri giornali. Queste cronache delle sfide pugilistiche di The Greatest con Frazier, Norton e Foreman caratterizzavano gli Stati Uniti di quegli anni, quelli del riscatto degli afroamericani, di Malcolm X, di Martin Luther King, delle conquiste de “l’altra America”, l’America che lottava per l’affermazione dei “diritti civili”. Cassius Clay, che per abbracciare la fede musulmana aveva cambiato il suo nome in Muhammad Ali, non solo fu al centro di questi eventi sportivi e sociali, ma ne fu in molti momenti uno dei protagonisti. Da allora fino a tempi più recenti quando, nel 1991, si impegnò perfino per la liberazione di alcuni cittadini nordamericani sequestrati in Iraq da Saddam Hussein. L’idea di questo viaggio, nei ricordi di quell’epoca professionale di Minà, è nata quasi casualmente dalla curiosità di sua moglie Loredana che, mettendo in ordine alcuni passaggi dello sterminato archivio cartaceo del giornalista, si è imbattuta in alcune cronache delle imprese del campione di Louisville e ne ha scoperto il fascino, segnalandolo acutamente nella postfazione. Per capire il fenomeno è sufficiente considerare che, dopo il suo rifiuto, negli anni ’60, di andare a fare la guerra in Vietnam, è stata cambiata negli Stati Uniti la legge sull’obiezione di coscienza. Minà ha sempre avuto un’attenzione particolare per campioni complessi come Maradona, Mennea, Tommy Smith, Lee Evans, Baggio e Tomba. La sensibilità sulla vicenda di Cassius Clay, anche ora che il campione è afflitto dal morbo di Parkinson, ne è la prova e conferma la singolarità del libro, che, non a caso, è introdotto da un prologo di Mina, artista somma, ma anche indiscutibile esperta di boxe.