
Di tutta la grande famiglia dei «fratelli riformati», gli anglicani sono quelli che più si avvicinano ai cattolici. Ciò è dovuto al noto senso di moderazione degli inglesi, che hanno saputo trovare un buon compromesso tra gli estremi. Il mirabile equilibrio fu raggiunto da una sovrana straordinaria, tollerante e di larghe vedute, che seppe contrastare il fanatismo religioso della sorella (Maria la sanguinaria) riuscendo a creare una fede che fosse veramente nazionale.
Elisabetta I fu la regina più amata della storia. Fu lei a saper capire il suo popolo come nessun altro; fu grazie a lei che l’Inghilterra si affermò come potenza mondiale; fu intorno a lei che i suoi sudditi si strinsero come un sol uomo nel momento del pericolo. Lei la regina adorata, osannata, celebrata, e dai più grandi poeti, come Gloriana, la Regina Vergine.
Tutto ciò è romantico e commovente; peccato che, come questo libro dimostra documenti alla mano, sia profondamente falso. Il regime elisabettiano fu, di fatto, un sistema totalitario tra i più amari della storia. Peccato che il mito di Gloriana sia stato sapientemente costruito, pezzo dopo pezzo, da una minoranza al governo che fece carte false per conservare il potere. Peccato che il popolo si sia visto perseguitato, impoverito, oppresso come mai prima di allora. Peccato che la tanto decantata «vicinanza» degli anglicani al cattolicesimo sia nata da un duplice desiderio fondamentalmente molto semplice e concreto: gettare fumo negli occhi dei sudditi e formare una gerarchia di agenti governativi travestiti da ecclesiastici. Peccato che l’evoluzione-involuzione degli inglesi sia costata migliaia di vite umane, molte delle quali (tra cui anche la Regina di Scozia) finirono immolate e squartate sul patibolo per alto tradimento.
Peccato che, come nel Mercante di Venezia shakespeariano, lo scrigno d’oro contenga soltanto un teschio.
In sette conversazioni con il giornalista e storico Luciano Garibaldi, Giovanni Terzi, 46 anni, attualmente assessore del Comune di Milano, rivela il rapporto di intensa stima e di amore nei confronti del padre, il grande giornalista e narratore Antonio Terzi, scomparso l’8 settembre 2001.
Il libro riavvolge il colorato gomitolo della vita di Giovanni dalla prima infanzia, all’ingresso in politica, alla maturità ora raggiunta, nell’abbraccio sereno di papà Giovanni e di mamma Luisa e nella complicità forte con il fratello maggiore Pietro.
Ma rivivono nelle pagine, nello stile avvincente di un esperto giornalista, anche quarant’anni di storia e di vicende non soltanto milanesi, ma italiane, ricostruite attraverso il tessuto di relazioni e i fatti salienti della parabola umana e professionale di Antonio Terzi, oltre che attraverso i ricordi e le esperienze dei due autori-biografi: dagli «anni di piombo» ai protagonisti delle vicende di storia e di cronaca (solo per fare un nome, Enzo Tortora) che hanno segnato la seconda parte del Novecento, per irrompere nell’attualità, seguendo il cammino politico e culturale di Giovanni Terzi, professionista nella Milano di oggi, dove ha promosso una serie di iniziative volte al futuro della metropoli (tra le tante: i grandi concerti in piazza Duomo, il «sindaco d’agosto», la maratona, la fondazione di «Sìamo Milano», l’associazione che riunisce tutti gli «immigrati» di successo, i milanesi d’adozione che – come ha scritto il Corriere della Sera – «vogliono pagare il debito di riconoscenza con la città che li ha ospitati e ha permesso loro di fare strada nella vita»)...
Questo volume è, in definitiva, la storia di una famiglia affiatata, nel respiro di una famiglia più grande, altrettanto accogliente e unita, quale resta, nonostante tutto Milano.
Come tutti gli uomini geniali, William Shakespeare sfugge a qualsiasi inquadramento: scrittore enigmatico per eccellenza, al punto che qualcuno dubita ancora che sia veramente esistito, e poeta profondissimo, universale, "per tutti i tempi", scrisse opere immortali. Ma, come ogni vero classico, Shakespeare è naturale pensarlo anche protagonista della sua epoca; e poiché visse nel secolo d'oro della letteratura inglese, la corrente Whig-protestante ne fece il poeta nazionale britannico e volle vedere nella sua opera l'esaltazione dello status quo. Tale lettura si è, però, rivelata assai superficiale e, nonostante le numerose falsificazioni apportate nei secoli, non concorda né con le opere, né con quanto sappiamo della vita; tanto più che il sistema elisabettiano è emerso, attraverso gli studi storici più recenti, come un regime totalitario e violentemente oppressivo. Ora, è possibile che un poeta tanto grande fosse il paladino di una dittatura, di cui furono vittime fino al martirio i suoi stessi parenti, amici e vicini di casa. Questo volume ripercorre la biografia e l'opera del Bardo dell'Avon seguendo il filo rosso della sua dissidenza e rivelando gli stretti rapporti che egli ebbe con il mondo sotterraneo del cattolicesimo inglese braccato dalle autorità. La sua passione per il teatro si fa quindi missione segreta; giacché le sue simpatie andavano alla minoranza perseguitata e le sue opere cercarono, più o meno cautamente, di dar voce a chi non aveva più il diritto di parlare
"Garibaldi seguì negli anni la vicenda Calabresi con passione civile e rigore di cronista, ne fece una battaglia di principio e di verità storica. Anche grazie a testimonianze come la sua, a Calabresi fu data dal presidente Ciampi, con trentadue anni di ritardo, la medaglia d'oro al valor civile. Un riconoscimento postumo, assai postumo, che si insinuava come una piccola parentesi nel fiume di parole, interventi, pressioni per la grazia a Sofri e Bompressi. Nell'immaginario collettivo del Paese, i martiri erano diventati loro, non Calabresi. La vicenda Calabresi resta una ferita profonda nella storia civile ma anche culturale del nostro Paese. Non possiamo dimenticare che si mobilitarono contro di lui, in un famigerato manifesto, i quattro quinti della cultura e dell'intellighentia italiana. Ottocento firmatari, l'intero establishment culturale, accademico, editoriale e giornalistico italiano, tuttora in auge, si schierarono contro di lui, lo squalificarono, lo delegittimarono. Garibaldi ripercorre in modo appassionato e incalzante, attento ai dettagli e alle sfumature, la vicenda Calabresi, preceduta dal caso Pinelli - che Garibaldi tratta col rispetto che merita - e dal caso Valpreda, con rimandi alla vicenda Tortora e al sequestro Sossi, per poi tuffarsi in quel tunnel misterioso delle stragi senza volto e senza mandante che restano come un macigno sulla coscienza civile e nella memoria divisa del nostro Paese". (Dalla Prefazione di Marcello Veneziani)
Gilbert Keith Chesterton: il più brillante giornalista dell'Inghilterra del XX secolo, scrittore poliedrico che seppe spaziare dai gialli, dov'era protagonista il suo personaggio più fortunato, il prete-detective Padre Brown, ai saggi storici, dalla politica alla filosofia, il tutto espresso con magnifica leggerezza, con l'uso magistrale del paradosso. Un uomo intenso, appassionato cercatore della Verità, un polemista che finiva per diventare amico dei suoi avversari. Un lucidissimo e profetico interprete della modernità.
A ottant'anni dalla sua morte Chesterton è più interessante che mai, e questo libro è la più completa guida al «Chesterton-pensiero» mai pubblicata.
Il volume è opera di Paolo Gulisano e don Daniele De Rosa.
Il Diario del capitano dei bersaglieri Giuseppe De Carli inizia il 10 luglio 1943, il giorno dello sbarco in Sicilia delle truppe alleate. L’«Operazione Husky» fu colossale: circa 1.400 navi con migliaia di mezzi da sbarco e circa 150mila uomini. Contrariamente a quanto si pensa, sia lo sbarco sia l’avanzata anglo-americana non furono agevoli. Le forze tedesche e i reparti italiani opposero una tenace resistenza, impegnando gli Alleati in duri combattimenti con notevole spargimento di sangue. Questo Diario inedito racconta con cruda verità il dramma di quei giorni, manifesta con impressionante evidenza lo sconvolgimento della coscienza di un capitano dopo l’8 settembre 1943 e, estendendosi il testo sin quasi alla fine della guerra, descrive la difficile con­dizione dei militari italiani nelle mani degli angloamericani dopo l’Armistizio e la dichiarazione italiana di guerra alla Germania.
Enrico Cattaneo è un ragazzo di 19 anni chiamato a portare le armi e spedito in Grecia quando lo Stato fascista aveva già arruolato tutte le classi militari idonee e da ultimo si era visto costretto a richiamare dei ragazzi che non avevano fatto il servizio militare e la cui istruzione fu rabberciata in pochi giorni. Disperso con altri pochi nella lotta coi partigiani greci, spinto dalla fame si consegna a un reparto tedesco. Poi dopo l’otto settembre, rifiutatosi di combattere con loro come militare dell’esercito fascista della Repubblica di Salò, viene fatto prigioniero e deportato in Russia ove attraversa vicende di ogni genere fino a che, miracolosamente, riesce a tornare a casa.
L’Introduzione è di Edoardo Bressan, storico, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli studi di Macerata.
La Presentazione del Diario di Enrico Cattaneo è di Luigi Trezzi, storico economico, professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano Bicocca.
Le Note storiche sono di Paolo De Carli, giurista pubblicista, professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano.
Di tutta la grande famiglia dei "fratelli riformati", gli anglicani, si sa, sono quelli che più si avvicinano ai cattolici; ciò è dovuto al noto senso di moderazione degli inglesi, che hanno saputo trovare un buon compromesso tra gli estremi. Il mirabile equilibrio fu raggiunto da una sovrana straordinaria, tollerante e di larghe vedute, che seppe contrastare il fanatismo religioso della sorella (Maria la sanguinaria) riuscendo a creare una fede che fosse veramente nazionale. Elisabetta I è la regina più amata della storia. Fu lei a saper capire il suo popolo come nessun altro; fu grazie a lei che l'Inghilterra si affermò come potenza mondiale; fu intorno a lei che i suoi sudditi si strinsero come un solo uomo nel momento del pericolo. Lei la regina adorata dal popolo e celebrata dai poeti: lei Gloriana, la Regina Vergine.
Tutto ciò è romantico e commovente; peccato che sia profondamente falso. Il regime elisabettiano fu, di fatto, un sistema totalitario tra i più amari della storia e il mito di Gloriana fu sapientemente costruito, pezzo dopo pezzo, da una minoranza al governo che fece carte false per conservare il potere. Sotto Elisabetta il popolo si vide perseguitato, impoverito, oppresso come mai prima. Quanto alla tanto decantata "vicinanza" degli anglicani al cattolicesimo, essa scaturì dal duplice desiderio di gettare fumo negli occhi dei sudditi e formare una gerarchia di agenti governativi travestiti da ecclesiastici. L'evoluzione-involuzione degli inglesi ebbe un prezzo inestimabile quanto a vite umane (molte delle quali immolate sul patibolo per alto tradimento). Le pagine si susseguono incalzanti e vanno a mostrare che, come nel Mercante di Venezia shakespeariano, lo scrigno d'oro contiene soltanto un teschio.
Margherita di Savoia, una donna che ha lasciato una traccia nella nostra storia: si pensi al termine Margheritismo coniato per definire il movimento culturale-sociale-artistico fiorito attorno alla sua corte o alla prima rivista di moda che si chiamò "Margherita" in suo onore. Regolo, già autore di due biografie su Elena e Maria José, le altre due regine d'Italia, conclude così un ciclo, portando a galla scritti e testimonianze su Margherita che, come scrive la principessa Maria Gabriella di Savoia nell'introduzione, persino tra i discendenti erano sconosciute. Dal rapporto difficile col patrigno, Rapallo, che sposò segretamente la madre Elisabetta di Sassonia, alle nozze combinate con il cugino Umberto I, col quale costruì un'alleanza «professionale» ma mai un rapporto coniugale. Anche col figlio Vittorio Emanuele Margherita alterna slanci e ansie materne a rigore e freddezza estremi dovuti anche al senso di colpa che le provocava l'aspetto dell'erede, di poco superiore al metro e mezzo d'altezza. Lettere inedite ricostruiscono il rapporto con il barone Peccoz, forse l'unico suo vero amore, seppure Margherita non sacrificò mai a esso il «culto» per la missione dinastica. Fu artefice instancabile di disgelo tra i Savoia e la Chiesa dopo la Presa di Porta Pia, ma anche cultrice del latino, musa di poeti come Carducci, referente privilegiata di altri reali, non ultimo il consuocero Nicola del Montenegro che se ne invaghì, capace di ammaliare persino Garibaldi. Le ricevute degli acquisti svelano una smania compulsiva per lo shopping, ma anche il suo perfezionismo, dai dettagl
"Tantissimi anni fa, per una collana chiamata "Invito alla lettura di...", fra tanti autori del nostro Novecento scelsi di scrivere su Dino Buzzati. Il clima culturale era ancora così palesemente influenzato dalle mode neorealistiche, che lo stesso direttore della collana, poco amante delle atmosfere e dello stile buzzatiani, tentò di modificare il mio testo in senso molto negativo verso l'autore, direi addirittura sprezzante. Non ci riuscì. Buzzati è un grande, ed è ormai un classico. Il deserto dei tartari continua ad affascinare i lettori ed è diventato proverbiale; le novelle dei primi libri hanno spesso una perfezione incantata, sembrano scolpite nel cristallo. E il mio piccolo libro mi pare ancora la chiave giusta per entrare nel suo mondo".
Pochi personaggi della storia sono stati oggetto di tanti studi e dibattiti come Michelangelo. Accanto a opere critiche e biografie d'incomparabile pregio, ce ne sono altre di pura fantasia che hanno diffuso l'immagine di un Michelangelo irritabile, nevrotico, asociale, schivo, esaurito, melanconico, frequentatore di bordelli, avido, celibe per scelta penitenziale. Questi eccessi stridono con i tratti evidenti e documentati dell'artista. Già a metà '500, nella Vita di Michelagnolo, Ascanio Condivi parlava del suo gran cuore, dell'elevata concezione dell'amore umano, della sua generosità e della sua profonda fede. Mal si accorda, del resto, l'opposta visione con l'estrema delicatezza della Pietà Vaticana e la possente devozione dei personaggi della Cappella Sistina. Com'era dunque realmente Michelangelo? Confrontando i dipinti e le sculture con le lettere e le poesie María Ángeles Vitoria ne restituisce in queste pagine un profilo autentico, libero dai cliché.
«Grandi, il miglior comandante di uomini che abbia mai conosciuto» (Nuto Revelli). «Puoi essere certo capitano Grandi, puoi essere certo, nessuno ti dimenticherà mai. Il tuo testamento sarà rispettato. Gli alpini del tuo Reggimento, del tuo Battaglione, della tua Compagnia ti hanno tutti nel cuore, la tua mamma e colei che si ricorda "del suo primo amor", anche la tua montagna, anche le tue frontiere. Non solo. Ma il tuo eroismo ti ha consegnato per sempre alla storia degli alpini e della Patria...» (don Carlo Gnocchi). «A Luca dispiacque vedere andar via il capitano Grandi: egli non lo conosceva che di vista, ma senza di lui si sentiva in qualche modo impoverito, tanto quell'uomo sconosciuto gl'ispirava fiducia: un vero padre nel senso alpino» (Eugenio Corti).
Andy Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987) è stato l'artista più influente del Novecento, l'uomo che ha creato un modo nuovo non solo di raffigurare, ma di guardare la realtà. Ma fece di sé stesso un'icona inseparabile dalla sua arte, un personaggio inafferrabile, un mix di timidezza, di ottusità, di curiosità, di glamour, di superficialità. A oltre trent'anni dalla sua morte ci si chiede se l'uomo Warhol fosse veramente così. E in questa inchiesta emerge un aspetto che quasi nessuno conosceva mentre egli era in vita: Warhol era un fervente cattolico, dedito privatamente alla preghiera, alla beneficenza, all'aiuto agli altri. La sua fede dovette però fare i conti con la sovraesposizione mediatica, e prima ancora con la sua omosessualità...